Apicoltura, in Piemonte si guarda con fiducia al 2025

apicoltura
Dopo un 2024 disastroso per la produzione di miele, soprattutto per acacia e castagno a causa del clima anomalo, la nuova stagione sembra partita con il piede giusto

Archiviato un 2024 da dimenticare per i drastici cali di produzione causati dalle bizzarrie del clima, gli apicoltori del Cuneese guardano con speranza alle fioriture di tarassaco e ciliegio, le prime della nuova stagione di raccolta. «I primi riscontri delle operazioni in campo sono positivi grazie alle piogge le piante dispongono di buone risorse per il polline, dopo anni di siccità che avevano avuto ripercussioni sulle piante e, di conseguenza, sull’attività delle api» annuncia sforzandosi di vedere il bicchiere mezzo pieno dopo un anno difficile Marco Bergero, tecnico di Aspromiele, associazione di produttori piemontesi che dà voce a una parte consistente dei 1.600 apicoltori attivi in Granda.

«Nel 2024 il volume delle precipitazioni è cresciuto del 75% rispetto all’annata precedente. Le piogge si sono concentrate fra maggio e giugno, durante il periodo delle fioriture, e il caldo dei mesi successivi non ha giovato al prosieguo della stagione».

Le ripercussioni sono evidenti se si analizzano i dati produttivi dei circa 60mila alveari censiti nel Cuneese, circa un terzo dei 194mila attivi in tutto il Piemonte. «Il raccolto di acacia è stato quasi nullo, in pochi casi si è arrivati a tre chili di miele per alveare, a fronte dei 10-15 delle ultime annate, che avevano già evidenziato cali rispetto agli indicatori del primo decennio del Nuovo millennio».

Deludente anche il castagno, «una fioritura capace, solitamente, di aggiustare i bilanci degli apicoltori ma che nel 2024 ha permesso di raccogliere 10-11 chilogrammi per unità contro gli ordinari 15-20». Dimezzate anche le produzioni del tiglio, appena cinque chili per alveare. Le piogge protratte hanno anche impedito alle api di immagazzinare il nettare destinato all’autoconsumo: «Alcune aziende hanno segnalato perdite di famiglie, molte sono intervenute con nutrizioni artificiali per scongiurare collassi e hanno comunque riscontrato indebolimenti delle popolazioni».

Marco Bergero

Alveari attaccati dai parassiti

Queste condizioni hanno creato terreno fertile per la diffusione di parassiti come Vaerroa destructor, un acaro dell’ape mellifera «vettore di virosi capaci di determinare, in casi gravi, la morte di intere colonie. Il parassita entra nell’alveare attraverso le api adulte e si riproduce nella covata: il suo ciclo di vita coincide con quello delle famiglie: lo sviluppo dell’infezione arriva al culmine fra giugno e luglio, riducendo le potenzialità lavorative dei pronubi».

All’infezione e ai danni del clima si sono aggiunti quelli della Vespa velutina. «Originario dell’Asia, Il calabrone si è diffuso, dal 2013, nel Monregalese e in Val Tanaro. Stiamo collocando trappole per neutralizzare le regine, ed evitare la proliferazione dei nidi primari e secondari». Il predatore, per il quale i pronubi sono la principale fonte proteica, può causare gravi problemi. «Pochi esemplari a caccia davanti a un alveare ne arrestano l’attività – spiega Bergero – le api, infatti, evitano di uscire alla ricerca di polline per difendersi. Se la situazione si protrae si rischia la morte di intere famiglie».

Le difficoltà del settore non scoraggiano gli apicoltori: «Aspromiele si batte perché venga loro riconosciuto non solo il ruolo di produttori, ma anche quello custodi di insetti cruciali per l’impollinazione e la regolazione degli equilibri ecosistemici, un servizio che ha ricadute, soltanto in Piemonte, per 300 milioni di euro l’anno».

Produzione buona in alta montagna

Marco Giordano

Marco Giordano apicoltore di San Rocco Cherasca, frazione collinare del comune di Alba, gestisce assieme alla compagna 160 alveari votati alla produzione, fra gli altri, del millefiori da flora alpina, varietà di miele presidio Slow food, ottenuta dai pascoli di Chianale, in alta Valla Varaita, a 1.900 metri di quota. I raccolti delle terre alte sono stati l’unica nota positiva in un 2024 decisamente negativo. «Dopo quattro anni di siccità il tarassaco non è fiorito mentre il ciliegio ha avuto grandi problemi per un ritorno di freddo. Risultato? Da due fioriture abbiamo ricavato 70 chilogrammi di miele impiegando 80 famiglie».

Risultati ancora peggiori si sono avuti per l’acacia, prodotta nell’Astigiano: «Le api erano in forma, ma dopo pochi giorni è arrivata la pioggia e le colonie hanno consumato quanto avevano immagazzinato per sopravvivere». Non è andata meglio con il castagno: i 35 alveari collocati a Pagno, in val Varaita, «hanno raccolto 140 chili di miele una quantità quattro volte inferiore rispetto ai risultati dell’anno precedente, mentre le fioriture estive in Alta Langa hanno registrato contrazioni del 50%». I raccolti d’alta montagna sono il dato in controtendenza: «A Chianale siamo riusciti a riempire due volte i melari, l’umidità diffusa ha impedito lo sfalcio dei fieni in quota, giocando a nostro favore», conclude Giordano.

«Con l'apicoltura non si vive più»

apicoltura
Ivo Boggione

Ivo Boggione ha iniziato a produrre miele nel 2010, affiancando l’attività ai lavori part-time, lasciati nel 2019 per dedicarsi, assieme alla sua famiglia, alle api: oggi accudisce 130 alveari a San Benedetto Belbo, in Alta Langa. «Con i soli redditi da apicoltura non si riesce più a sopravvivere: noi integriamo con l’allevamento di capre per la produzione di formaggi e le attività dell’apiario didattico. Alcuni colleghi hanno anche dovuto cambiare lavoro».

Le produzioni del 2024 sono state scarse: «Siamo riusciti a raccogliere del miele di ciliegio e 100 chilogrammi d’acacia nell’Astigiano. In Val Varaita abbiamo raggiunto medie di 10-12 chili per alveare, sui pascoli d’alta montagna, col castagno ci siamo fermati a dieci: sono quantità modeste ma quando si considerano le spese sostenute rimane ben poco. Una buona parte degli introiti del raccolto 2024, inoltre, sono serviti per l’acquisto di sciroppi biologici usati nelle nutrizioni artificiali d’emergenza degli alvear».

Le difficoltà vanno oltre l’orizzonte temporale della singola stagione: «Il problema non è tanto la mancata produzione dello scorso anno, ma il ripetersi di annate negative alle quali si aggiungono le patologie delle api». Le principali – virosi, conseguenza dell’abbondanza di varroatosi anche per reinfestazione, e micosi da Ascosphaera apis, responsabile della covata calcificata – combinate con «le carenze di nutrimento del 2024 hanno indebolito gli alveari, che, quest’anno, non riusciranno a essere performanti perché molti di essi sono meno popolosi».

La qualità non paga. Serve più trasparenza

Davide Colombo

L’incognita clima non è l’unica che le aziende devono affrontare. Sul mercato italiano i produttori fanno i conti con la concorrenza spietata di mieli provenienti da paesi Ue e al di fuori dell’Unione. Davide Colombo, presidente di Piemonte miele, cooperativa che conta 470 soci in tutta Italia – inquadra le dinamiche commerciali in atto. «Sul comparto si è abbattuta la “tempesta perfetta”: da un lato c’è il clima, che ha ridotto le capacità produttive degli alveari del 200% negli ultimi trent’anni, dall’altro l’invasione di prodotti venduti a prezzi compresi fra un euro e 20 e un euro e 80 centesimi il chilo con i quali non possiamo assolutamente competere, visto che i costi sostenuti non ci permettono di scendere sotto la soglia dei 6-7 euro. Non solo non è possibile valorizzare pienamente il prodotto italiano, con aumenti di prezzo normali quando un bene scarseggia, ma il nostro miele rimane invenduto nei magazzini».

Nelle annate normali nella sede di Cussanio, frazione di Fossano (Cn), Piemponte miele gestisce 15mila quintali di miele, «novemila in quelle scarse come il 2024». Controlli rigorosi e standard elevati sono il fulcro della politica aziendale, ripagate dall’affezione dimostrata dai clienti e da nuovi spazi di mercato. «Le partite conferite vengono classificate in tre diverse “scelte” in base alla qualità, il prodotto è interamente tracciato e venduto in purezza, senza miscele. Quest’anno abbiamo attivato una nuova linea di confezionamento: sul prodotto in vaso cresciamo ogni anno».

I bilanci in attivo non fanno passare in secondo piano, per Colombo, le sfide di mercato, a partire dal nodo etichette. «Le miscele di miele oggi in commercio specificano la sola provenienza della materia prima ma non le percentuali impiegate. La recente modifica alle norme di etichettatura, recepita da una direttiva europea, impiegherà tre anni per entrare in vigore, decisamente troppi per un comparto che sta già attraversando una profonda crisi e sopravvive soltanto grazie a cooperative che, come la nostra, garantiscono ai soci il ritiro e il pagamento del prodotto».

Apicoltura, in Piemonte si guarda con fiducia al 2025 - Ultima modifica: 2025-05-05T15:04:41+02:00 da Simone Martarello

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento
Per favore inserisci il tuo nome