Negli ultimi anni il settore dei biostimolanti sta vivendo una crescita senza precedenti, trainato da un mercato globale che vale ormai diversi miliardi di dollari e continua a espandersi a ritmi sostenuti. Questa evoluzione rapidissima offre nuove opportunità per l'agricoltore, ma porta anche a porsi molte domande sul loro corretto utilizzo.
La ricerca scientifica sta contribuendo a risolvere questi dubbi, studiando i meccanismi d’azione di questi prodotti e il loro aiuto nella risposta delle piante agli stress abiotici.
Uno degli ambiti più promettenti riguarda l’applicazione dei biostimolanti in ambiente protetto, dove il controllo del microclima permette di valorizzare al massimo il potenziale di questi prodotti.
Con Andrea Ertani, professore associato del dipartimento di scienze agrarie dell'Università di Torino, proviamo a capire perché serre e tunnel rappresentano uno dei contesti più efficaci per l’impiego dei biostimolanti, quali risultati stanno emergendo nelle diverse colture e quali innovazioni stanno arrivando dalla ricerca.
Un ruolo crescente nelle colture protette
L’impiego dei biostimolanti in serra e tunnel sta aumentando in modo significativo. Questi prodotti attivano il metabolismo della pianta e stimolano la formazione dei peli radicali. Le radici, di conseguenza, esplorano meglio il substrato e migliorano l’assorbimento dei nutrienti apportati con la fertilizzazione.
Le principali categorie di biostimolanti includono:
- estratti di alghe,
- idrolizzati proteici,
- acidi umici,
- microrganismi benefici come Trichoderma, Bacillus,
- funghi micorrizici.
Perché i biostimolanti funzionano meglio in serra
L’ambiente protetto offre un microclima controllato rispetto al pieno campo: i parametri ambientali, come temperatura, umidità e luce possono essere regolati con precisione.
Questa stabilità riduce la variabilità ambientale tipica del pieno campo e permette ai biostimolanti di agire con più efficacia.
In serra, i composti bioattivi – amminoacidi, polifenoli, fitormoni e microrganismi utili – mantengono più a lungo la loro attività e vengono assorbiti con maggiore efficienza. Studi recenti mostrano risposte fisiologiche più marcate rispetto al pieno campo, con trattamenti più uniformi e ripetibili.
Il controllo microclimatico permette di applicare i biostimolanti nei momenti più delicati del ciclo colturale. Fasi come trapianto, fioritura e allegagione rispondono in modo ottimale quando l’ambiente è stabile.
Inoltre, sistemi di fertirrigazione automatizzati e sensori consentono dosaggi precisi, riducendo gli sprechi e migliorando la ripetibilità dei risultati.
Gli effetti fisiologici sulle piante
L'ambiente protetto sostiene, inoltre, una migliore efficienza fotosintetica e traspiratoria. Le piante trattate mostrano:
- maggiore attività fotosintetica,
- miglior regolazione stomatica,
- radici più sviluppate,
- maggiore produzione di biomassa.
Per esempio, «la stabilità del microbioma radicale in ambiente protetto amplifica l’efficacia dei biostimolanti microbici come Trichoderma harzianum e Bacillus subtilis, migliorando la capacità della pianta di tollerare gli eventuali stress», spiega Ertani.
Le principali modalità di applicazione
Le applicazioni cambiano in base alla coltura e al tipo di prodotto. In ambiente protetto si utilizzano soprattutto:
- fertirrigazione, ideale per prodotti solubili e microrganismi che colonizzano la rizosfera;
- trattamenti fogliari, efficaci per estratti di alghe e idrolizzati proteici;
- immersione delle piantine prima del trapianto, per favorire attecchimento e sviluppo delle radici secondarie.
«Un aspetto cruciale è la tempistica di applicazione: i trattamenti più efficaci si effettuano in corrispondenza di momenti di stress prevedibili, come variazioni di temperatura o passaggi fenologici sensibili (per esempio, allegagione o ingrossamento dei frutti)», aggiunge Ertani.
Risultati dalle prove in serra
Colture orticole: in fragola, pomodoro e peperone si sono osserveti aumenti di resa del 10–25%. Le piante sviluppano più peso secco, radici più robuste e una maggiore capacità di assorbire nutrienti.
Colture floricole: gerbera, crisantemo e rosa hanno mostrato:
- aumento fino al 20% dei fiori commercializzabili,
- colorazione dei petali più intensa,
- maggiore durata postraccolta.
Piante officinali: basilico, menta e lavanda hanno registrato un incremento fino al 25% degli oli essenziali e un aumento di polifenoli, flavonoidi e terpeni. Il miglior contenuto di composti bioattivi favorisce le filiere cosmetiche e fitoterapiche.
Le nuove frontiere della biostimolazione
La ricerca, spiega Ertani, sta aprendo nuove prospettive:
• La personalizzazione dei biostimolanti in base alle specie coltivate e alle condizioni microclimatiche dell’ambiente di coltivazione;
• L’integrazione con tecnologie digitali e sensori intelligenti per monitorare in tempo reale le risposte fisiologiche delle piante;
• Lo sviluppo di biostimolanti microbici consorziati, che combinano più ceppi per un’azione sinergica sulla rizosfera e sulle difese endogene.
Per migliorare produttività e qualità in modo sostenibile
L’uso dei biostimolanti in serra è una pratica efficiente, sostenibile e sempre di più sotto la lente della ricerca. Il controllo dell'ambiente protetto permette di valorizzare al massimo i prodotti, migliorando produttività, qualità e resilienza delle colture.
In un contesto di cambiamenti climatici e richiesta di sostenibilità, la serra rappresenta un modello di gestione integrata che può includere con successo i biostimolanti.









