Sgravi fiscali, interventi contro i rincari e misure a favore dei giovani, queste le principali richieste di Cia al governo in questa delicata fase di protesta dei trattori che attraversa tutta Italia e diversi Paesi d'Europa. Sul versante Ue, la confederazione chiede cambiamenti sostanziali alla proposta della Commissione sui terreni incolti, oltre alla riduzione dell’impatto del Green Deal sulle aziende. La posizione del presidente di Cia-Agricoltori italiani Cristiano Fini nei confronti delle manifestazioni è chiara: «Le problematiche ci sono ma devono essere esposte e ricondotte nelle sedi opportune».
Quella che abbiamo visto sfilare sulle strade italiane e presidiare Bruxelles in queste settimane è una protesta che coinvolge agricoltori, e non solo, che prende di mira governo, confederazioni agricole e l’Europa considerata causa di tutti i mali. Tra la bandiera bruciata della Coldiretti a Viterbo e quella dell’Europa a Torino, qual è la sua chiave di lettura?
«È una protesta molto variegata in cui troviamo argomenti diversi, come il sovranismo sanitario totalmente fuori luogo. Vari i movimenti che si sono aggregati e alcune parti politiche l’hanno strumentalizzata, anche se il filo conduttore rispetto alle problematiche agricole è più che legittimo. È una protesta che nasce da un dato di fatto: nelle campagne si sta vivendo una situazione drammatica accentuata da un 2023 disastroso in cui crisi climatica, calo produttivo, incremento dei costi di produzione e decremento del contributo Pac alle aziende agricole – ridotto fino al 40% – ha creato un enorme disagio nel settore».
Secondo lei protestare contro l’ideologismo ambientalista di Bruxelles facendo tanto rumore affinché in Europa ci si accorga, forse, con un po’ di allarmismo, che bisogna cambiare rotta senza perdere troppo tempo è una strategia corretta?
«No. Noi, pur condividendo alcune rivendicazioni di questi comitati spontanei continuiamo a pensare che serva una forte e persistente azione politico-sindacale nelle sedi istituzionali: parlamento, governo e Commissione europea. Questi movimenti fanno emergere sicuramente con forza le problematiche, ma ritengo che queste debbano essere esposte e ricondotte nelle sedi opportune».
Da presidente di un'organizzazione professionale agricola, come risponde a quegli agricoltori che stanno criticando duramente anche il ruolo e l’azione delle rappresentanze sindacali?
«Rispondo con i fatti. Da tempo Cia porta avanti richieste, proposte e rivendicazioni. Siamo scesi in piazza a Roma il 26 ottobre con tre mila agricoltori contro i rincari dal campo alla tavola e un’Europa che continua a mettere vincoli dannosi. Abbiamo inoltre fatto la battaglia sul grano portando una petizione di 70mila firme, coinvolgendo consumatori e sindaci per cercare di proteggere i grani made in Italy. E ancora, lo scorso 30 novembre abbiamo presentato ai leader politici un piano nazionale per l’agricoltura».
Nello specifico Cia cosa chiede al governo italiano? Quali sono i punti principali sui quali sarebbe opportuno intervenire tempestivamente.
«A livello nazionale al governo chiediamo una legge per riequilibrare il valore lungo la filiera. Una legge che possa risolvere l’annosa questione della fauna selvatica. Un piano per la risorsa idrica basato su grandi invasi. E ancora, sgravi fiscali: dall’Irpef sui redditi agricoli, all’esonero contributivo per gli agricoltori, oltre a una maggiore compensazione dell’Iva zootecnica (bovini e suini). Sul fronte delle giovani imprese riteniamo necessario l’esonero contributivo per gli agricoltori under 41 e il rifinanziamento del “Fondo più impresa”. Mentre per sostenere i comparti più deboli, si intervenga con un immediato utilizzo delle risorse del fondo per le emergenze e facilitazioni nell’accesso al credito».
E all’Europa?
«In Europa serve un cambio di paradigma: l’agricoltura deve essere considerata una risorsa e non un male. Dobbiamo modificare al più presto la Pac, che si è dimostrata del tutto inadeguata. Reputo essenziale la proroga alla deroga del 4% per l’incolto, con periodicità triennale e senza vincoli ambientali legati alle scelte produttive dell’azienda. È altresì urgente una maggiore semplificazione delle regole sui pagamenti Pac al fine di rispettare le tempistiche previste. Si introducano, inoltre, le deroghe approvate in parlamento sui prodotti agroalimentari nel “regolamento imballaggi”.
L’Europa se vuole è in grado di fare l’Europa agricola. Lo abbiamo visto con il ritiro della proposta di regolamento sull’uso dei fitofarmaci. Ci siamo battuti fin da subito per sostenere l’impraticabilità di un taglio netto del 50% dei fitofarmaci al 2030 senza valide alternative e con la crisi climatica in atto. Alla fine il passo indietro è giunto, ora chiediamo all’Europa di promuovere davvero una politica graduale, realista e gestibile per giungere ai target green, riequilibrando le esigenze produttive agricole con gli obiettivi di sostenibilità ambientale, sviluppando la difesa integrata e investendo di più su ricerca e innovazione».
Come giudica l’azione del nostro governo nell’affrontare le criticità del comparto?
«A livello europeo ha tenuto la nostra medesima linea e siamo riusciti a fare squadra e bloccare scelte scellerate da parte della Commissione. A livello nazionale sono stati affrontati diversi temi con determinazione ma ne rimangono altri da risolvere, come: fauna selvatica, manodopera, voucher inutilizzabili. Mi auguro che il tavolo tecnico permanete convocato dal ministro Lollobrigida per lavorare alla revisione della Pac tenga conto di queste priorità».
Le tre organizzazioni agricole spagnole Asaja, Coag e Upa hanno annunciato un calendario di protesta per chiedere un “cambio nelle politiche europee e un piano shock di interventi del governo a favore dei territori contro la crisi che vive il settore”. Crede che avere delle confederazioni agricole a livello nazionale divise sia un punto di debolezza in Europa e a livello nazionale?
«Sicuramente. È un punto di debolezza. Andare avanti in maniera unitaria permette di avere più possibilità di portare a casa il risultato. La Cia lavora da sempre per l’unitarietà tra le organizzazioni professionali e continuerà a farlo. Ora più che mai non è il momento delle divisioni. Credo che le organizzazioni professionali debbano trovare compattezza, pur mantenendo ognuno la propria identità. Ma è necessario cercare una visione unitaria».
In merito a un vostro avvicinamento alla Coldiretti cosa risponde? Qual è la situazione ad oggi?
«Abbiamo evitato, come invece avveniva in passato, rotture sui temi e questo ha portato a un dialogo».
E il coordinamento Agrinsieme, che rappresenta le aziende e le cooperative di Cia, Confagricoltura, Copagri e Alleanza delle cooperative agroalimentari, che fine farà?
«Agrinsieme rimane un contenitore e non si abbandona».
Dopo il voto dovremmo cominciare a costruire la nuova Pac, che dovrebbe abbracciare il periodo 2028-2034, a quali necessità primarie dovrà rispondere secondo Cia?
«Gestione del rischio, per garantire reddito agli agricoltori alla luce delle crisi climatiche. Sostegno alla competitività delle filiere sulla parte agricola, quindi sulla produzione, attraverso investimenti mirati. Impiegare risorse aggiuntive, non ricomprese nel budget della Pac, per avviare una vera e propria transizione ecologica dell’agricoltura sul modello americano Farm Bill».