Il rapporto sul Dialogo Strategico sul futuro dell’agricoltura nell’Ue presentato alla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen mostra molte criticità, a partire dall’assenza pressoché totale del principio di sicurezza alimentare. Un punto che già la scorsa Commissione aveva ignorato, ipotizzando un Green Deal in buona parte basato sullo smantellamento della produzione agroalimentare del Vecchio Continente. Un meccanismo inaccettabile se pensiamo che oggi la food security è uno dei principali elementi che condiziona la geopolitica.
Tant’è che i 25 Paesi più instabili al mondo (localizzati in Africa e Medio Oriente), dipendono per oltre il 50% del loro approvvigionamento alimentare dalla Russia. E la Cina, che considera la food security uno dei pilastri per la sicurezza del Paese, detiene il 50% degli stock globali di grano. Perciò, non considerare la sicurezza alimentare al centro della futura strategia agricola comunitaria sarebbe un grave errore.
Anche il rapporto sulla competitività europea presentato da Mario Draghi riconosce la necessità da parte dei 27 Paesi membri di garantire il proprio approvvigionamento di beni essenziali, identificando intelligenza artificiale e innovazione come leve per fare dell’agroalimentare uno degli asset più competitivi.
Il modello da seguire per aumentare la produzione agroalimentare in Europa deve essere quello italiano, caratterizzato da una tecnologia che consenta di ottenere il massimo valore aggiunto agricolo con il minor impiego possibile di input e il più basso impatto ambientale. L’Italia ha un valore aggiunto agricolo di 65 miliardi di euro (tra i più alti in Europa) con emissioni di CO2 equivalenti pari ad appena 30 milioni di tonnellate (circa un terzo di quelle francesi e metà di quelle tedesche).
Anteprima di Terra e Vita 29/2024
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Pertanto, il nostro Paese è la dimostrazione scientifica di come gli agricoltori debbano essere protagonisti assoluti di quella transizione verde che senza di loro non sarebbe possibile. Tuttavia, affinché tale transizione non coincida con uno smantellamento della nostra capacità produttiva, bensì con un aumento della competitività europea a livello globale, serve un adeguato supporto economico da parte dell’Unione europea.
Chi critica la Pac non sa che i 370 miliardi che attualmente la finanziano vanno a vantaggio dei cittadini consumatori prima che dei produttori. Infatti, tale aiuto serve a compensare i maggiori costi di produzione che gli agricoltori europei sostengono per rispettare standard tra i più alti al mondo. Se non ci fosse, avremmo un deciso rialzo dei prezzi e un aumento della disuguaglianza alimentare.
Gli studi effettuati dall’Usda, dal Jrc e dall’Università di Wageningen sull’impatto che il Green Deal (nella versione iniziale proposta da Timmermans) avrebbe avuto, evidenziavano un incremento dei prezzi dei prodotti alimentari che in alcuni casi avrebbero superato il 25% dei valori attuali. Rendendo di fatto gli alimenti prodotti nell’Ue accessibili solo ai consumatori dotati di maggior potere d’acquisto e obbligando quelli con un reddito inferiore ad acquistare cibi con standard di qualità e sicurezza più bassi provenienti dai Paesi terzi.
È questo il motivo per cui siamo orgogliosi di aver bloccato molte delle proposte Timmermans e vigileremo attentamente affinché con la nuova Commissione ci sia un significativo cambio di passo. Se ciò non avvenisse, si sceglierebbe di fare il gioco delle poche multinazionali globali il cui obiettivo è sostituirsi agli agricoltori proponendo alimenti creati in laboratorio e ultra-processati per garantirsi il controllo dell’alimentazione futura del pianeta.
di Luigi Scordamaglia
amministratore delegato di Filiera Italia