«Le aziende italiane, ma in generale tutti i soggetti che li detengono, devono abituarsi a condividere di più i dati, altrimenti le potenzialità del supercalcolo non possono esprimersi al massimo e restituire risultati utili a risolvere i problemi». Questo l’invito fatto da Marco Becca, ingegnere elettronico, direttore di Ifab, acronimo di International Foundation Big Data and Artificial Intelligence for Human Development, Fondazione a cui aderiscono 37 tra aziende e associazioni, tra le quali Cnh industrial, Coldiretti Emilia-Romagna, Legacoop Bologna e Confcooperative Emilia-Romagna. Ifab è parte del Tecnopolo Manifattura, il centro di supercalcolo che sta nascendo nel capoluogo emiliano.
Direttore che cos’è Ifab e cosa fa?
«È un soggetto no profit che all’interno del Tecnopolo, grazie a un progetto europeo collega l’infrastruttura di calcolo (il supercomputer Leonardo gestito dal Cineca, capace di un miliardo di miliardi di operazioni al secondo, il quarto più potente al mondo ndr), con ricerca e aziende, promuovendo e animando lo sviluppo di competenze. Connettiamo le tecnologie e i servizi legati al mondo del supercalcolo con i bisogni delle imprese e della società, per dare vita a progetti innovativi e soprattutto utili».
E in che modo una realtà come la vostra può essere utile all’agricoltura?
«Per noi il settore primario è molto importante, sia per alcuni soggetti soci della Fondazione, sia perché i nostri progetti riguardano il clima, la salvaguardia del territorio e l’ottimizzazione dei processi produttivi. All’inizio non ce lo aspettavamo, ma oggi posso dire che l’agricoltura è uno dei settori dei quali ci occupiamo di più, forse perché è un po’ più indietro di altri sul monitoraggio dei processi e ci sono molte più domande alle quali bisogna dare una risposta rispetto alla manifattura o ai servizi».
Ad esempio?
«Beh penso ai cambiamenti climatici o alla difesa fitosanitaria. Ci sono colture in grande difficoltà che rischiano di sparire. Non si tratta solo di aumentare la produttività ma proprio di garantire la sopravvivenza di alcune filiere. Penso ad esempio al comparto della frutta, da sempre fiore all’occhiello per l’Emilia-Romagna, che negli ultimi anni proprio a causa di questi problemi sta perdendo i primati che aveva».
Intervista pubblicata sulla rubrica Attualità di Terra e Vita
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Del resto il primo mattone del Tecnopolo è stato il Centro europeo di meteorologia.
«Infatti. Il nostro primo progetto, nel 2021, ha riguardato proprio gli eventi climatici estremi. È un indice che misura la frequenza e la gravità degli eventi estremi. Prepariamo un report annuale».
Andiamo al sodo. Ci racconta qualche progetto di ricerca su cui state lavorando?
«Certo. Il primo si chiama “Tornatura” (dal nome dell’unità di misura della superficie agraria usata in alcune zone d’Italia, convenzionalmente definita come l’area che una coppia di buoi riusciva ad arare in una giornata ndr), pensato per provare a rispondere alle richieste degli imprenditori agricoli della Romagna, soprattutto frutticoltori, alle prese con gli effetti negativi del clima e con patogeni sempre più aggressivi. Il progetto sfrutta le immagini dei satelliti Prisma e Sentinel per mappare lo stato di salute delle piante e creare un indicatore di questo stato di salute. Oltre alle foto dei satelliti, al supercomputer saranno dati in pasto i dati di ricerche già svolte dall’Università di Bologna. E poi ci sono i dati meteo: temperatura, umidità, precipitazioni. Una volta elaborati i dati, il computer restituirà una mappa di rischio che servirà per indirizzare le azioni di contrasto: quando trattare, dove e con quali molecole».
Su quali colture e quali patologie si concentra lo studio?
«Stiamo lavorando in particolare sulla flavescenza dorata e peronospora della vite, poi la cimice asiatica che flagella pero e pesco. Una particolarità della ricerca è tenere conto della variabile contesto».
Cioè?
«Per valutare con precisione un problema in un campo e cercare di trovare una risposta per risolverlo o quantomeno mitigarlo, bisogna sapere cosa succede attorno. Ad esempio, se a fianco del mio vigneto c’è n’è uno abbandonato, il rischio di avere problemi fitosanitari aumenta. Per questo le immagini satellitari sono di grande aiuto».
Un simile Dss può servire anche per l’agricoltura biologica?
«Certo, anzi, soprattutto, dato che ci sono meno “armi” chimiche a disposizione, quindi sapere con un certo anticipo come potrebbe evolvere un fenomeno è di grande aiuto per contenere i danni».
Questo modello previsionale sarà disponibile in forma gratuita?
«Certo, tutti i dati saranno aperti. Poi creeremo una piattaforma più pensata per agronomi e tecnici che potranno utilizzarli per indirizzare le azioni in campo e poi ci sarà un’app che invierà degli alert agli agricoltori».
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Uno dei temi caldi per il settore agricolo sono i crediti di carbonio, sia per una questione di impronta ambientale, sia di reddito per le aziende. Ma l’ostacolo più grande da superare per creare un sistema che dia un valore economico a certe pratiche agronomiche è la misurazione del sequestro di CO2. L’intelligenza artificiale può aiutare in questo?
«Sì, abbiamo un progetto sperimentale che stiamo portando avanti in collaborazione con il Cnr. Ci sono dei sensori applicati ai tronchi delle piante che raccolgono dati. Però bisogna essere chiari: misurare l’assorbimento di anidride carbonica non è facile e credo che la legislazione in merito tardi ad arrivare proprio per questo. Però per quanto ci riguarda ci stiamo lavorando e siamo fiduciosi».
Avete altri progetti utili per l’agricoltura?
«Ne abbiamo uno finanziato in parte da noi e in parte con fondi Pnrr. Abbiamo raccolto una serie di dati per creare un modello previsionale che in base a determinate variabili restituisca scenari economici sul futuro delle aziende agricole. Ad esempio stiamo utilizzando un sensore applicato a un trattore da vigneto che passando tra i filari valuta lo stato dei grappoli e restituisce una previsione su quantità e qualità del raccolto. Oppure, cosa potrebbe succedere se un’azienda cerealicola destinasse una parte della sua Sau a vigneto o frutteto?».
Gli agricoltori tendono a fidarsi molto più della loro esperienza che di modelli elaborati da una macchina. Secondo lei il settore è pronto ad accogliere certe innovazioni?
«È vero, difatti a volte abbiamo problemi ad alimentare i modelli con dati corretti perché spesso gli agricoltori non seguono i consigli forniti dai Dss che già ci sono. Però la strada è questa e piano piano gli agricoltori, anche grazie al ricambio generazionale, capiranno l’importanza di questi strumenti».
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Ci sono altri lavori in ambito agricolo?
«C’è un progetto che sta studiando il microclima che si crea sotto i pannelli fotovoltaici. Siamo partiti con il vigneto. È molto difficile da misurare perché le variabili in gioco sono tante, però queste sono le sfide del supercalcolo».
Oggi droni e robot non si possono utilizzare in campo per le operazioni colturali, mentre i software sarebbero già in grado di guidarli.
«Noi facciamo la nostra parte, non possiamo intervenire in ambito legislativo. E comunque grazie ai big data le macchine agricole hanno fatto grandi passi avanti negli ultimi anni».
L’intelligenza artificiale ha grandi potenzialità ma ci mette di fronte anche ad alcune complessità legate alla sua gestione. Arriveremo ad avere l’agronomo virtuale?
«Non lo so, di certo bisogna l’intelligenza artificiale va maneggiata con cura, sia perché non la conosciamo ancora del tutto sia per non alimentare paure nell’opinione pubblica che tende a vederla come uno strumento che farà perdere posti di lavoro. L’agricoltura, come altri settori, richiede professionalità difficili da replicare con una macchina, penso ad esempio alla potatura di ulivi e viti. Ma il supercalcolo può aiutare molto a guidare le mani degli uomini».