«L’agricoltura di precisione è democratica, perché accessibile a tutti i tipi di azienda agricola». Parola di Roberto Mancini, amministratore delegato di Diagram, società controllata dal fondo d’investimento Nextalia nata lo scorso aprile con l’acquisizione di Ibf-Agronica, realtà dedicata alla ricerca per la precision farming fondata da Bonifiche Ferraresi, che resta azionista della nuova compagine con una quota del 20%.
Mancini, qual è l’obiettivo di Diagram?
«Guidare la digitalizzazione del settore agricolo e diventare l’operatore di riferimento nella fornitura di piattaforme tecnologiche per aziende agricole, gruppi agroindustriali, istituzioni finanziarie e pubblica amministrazione».
Ambizioso. Non crede?
«Si ma abbiamo le carte in regola per centrarlo. Non a caso la prima acquisizione del nuovo gruppo è stata Abaco, realtà che ha già molte piattaforme tecnologiche che ben si integrano nell’offerta di Ibf-Agronica, tra cui software per i pagamenti dei contributi Pac. Lo scorso giugno c’è stata l’acquisizione di Agriconsulting, nome storico dell’agricoltura italiana per quanto riguarda i controlli in campo e assistenza ai piani di sviluppo rurale. Infine, nei giorni scorsi abbiamo acquisito Netsens, azienda che produce sensoristica, in particolare centraline meteo. In questo modo si completa la filiera della precision farming».
Ci può dare qualche numero?
«Il gruppo fattura 75 milioni di euro e punta ai cento nel 2025. Abbiamo 320 dipendenti e 400 agronomi nelle sedi italiane e del Regno Unito. Con i nostri software serviamo due milioni di ettari in Italia e 500mila all’estero».
Una delle criticità del settore primario italiano è la lentezza dei pagamenti dovuta anche a problemi di compatibilità tra software. Diagram potrebbe risolverli, del tutto o in parte?
«Il problema esiste. Molte Regioni hanno i loro organismi pagatori, ognuna con il loro sistema gestionale che crea problemi di interfaccia tra centro e periferia. Ma le cose stanno migliorando».
Che contributo potete dare?
«Innanzitutto il fatto di usare piattaforme nostre facilita il dialogo tra queste. Come Abaco poi siamo presenti sia nelle amministrazioni centrali sia in Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Lombardia, Emilia-Romagna, Abruzzo e Sardegna. Stiamo partecipando alla gara in Piemonte. Con Agriconsulting, oltre che in Lombardia. Emilia e Veneto, siamo in Puglia, Sicilia e Sardegna. Far evolvere i nostri servizi nella Pa è molto rilevante. Nel Regno Unito e a Malta, dove siamo presenti da dieci-dodici anni, i servizi funzionano alla perfezione».
Quanto tempo servirà per arrivare allo stesso livello in Italia?
«Le amministrazioni con le quali interagiamo a livello regionale e centrale si stanno impegnando molto. Stimo uno o due anni per andare a regime».
Gli imprenditori agricoli badano ai fatti più che alle parole. Inoltre, sono anche un po’ restii al cambiamento. In concreto cosa offrite loro?
«La resistenza culturale esiste, inutile nasconderlo. Per superare questa barriera abbiamo internalizzato le competenze agronomiche. Ci servono nella fase di ricerca: senza come potremmo sviluppare sistemi di supporto alle decisioni? E poi grazie alla conoscenza degli agronomi e al loro contatto diretto con il campo possiamo sviluppare servizi che rispondano alle esigenze concrete degli agricoltori e li aiutino a risolvere i problemi quotidiani. Infine, gli agronomi godono della fiducia degli imprenditori agricoli e se consigliano loro l’utilizzo dell’agricoltura di precisione avranno una forza di persuasione maggiore rispetto a una tecnologia e a un modo di fare agricoltura che per molti è nuova».
Bene, ammettiamo che si riesca a vincere la resistenza culturale. Resta quella economica. L’agricoltura fatica sempre di più a fare reddito, soprattutto le colture estensive.
«Vero. Ma anche in periodi di congiuntura favorevole gli agricoltori accettano di investire solo quando il costo è interamente o in gran parte coperto da contributi pubblici. Però qualcosa comincia ad aprirsi, anche perché sta passando l’idea che proprio nei momenti difficili bisogna reagire».
Qual è l’azienda agricola tipo destinataria del vostro sistema?
«Il servizio è modulare e flessibile, quindi è fruibile da aziende di tre ettari o di 500. Si possono utilizzare solo parti di esso o cominciare da un servizio base e poi implementarlo con gradualità per adattarsi alle reali esigenze delle aziende. L’agricoltura di precisione è democratica, non richiede grandi investimenti iniziali».
Perché un’azienda agricola dovrebbe scegliere proprio la vostra piattaforma di precision farming?
«Il cuore di tutto è il modello che elabora i dati. Abbiamo una storicità e un’esperienza di molti anni all’estero e in Italia grazie a Bonifiche Ferraresi. Quindi offriamo un servizio che cattura i dati degli appezzamenti, li carica su una piattaforma, li elabora e restituisce mappe di prescrizione per semine e concimazioni a rateo variabile, consigli e avvertimenti per irrigazione e difesa fitosanitaria e poi aiuta anche a compilare il quaderno di campagna digitale che a breve sarà obbligatorio. Ma c’è di più».
Prego.
«Oltre al modulo base abbiamo quello per la gestione del magazzino che permette di condurre in modo digitale un’azienda agricola, dalle più piccole alle più strutturate che magari fanno anche trasformazione e vendita».
Dopo quanto tempo si possono toccare con mano i vantaggi della precision farming?
«Già dalla prima semina si possono risparmiare dal 10 al 20% degli input come acqua, fertilizzanti e agrofarmaci a seconda della coltura. Poi c’è un aumento delle rese che va dal 3 all’8%. Il costo del servizio si ripaga in un periodo che va da tre mesi a un anno al massimo».
Su quali colture sono più efficienti i Dss?
«Sui seminativi sono molto testati ed efficaci. Sulle orticole e le arboree aiutano parecchio ma è sempre meglio valutare bene le reali situazioni in campo. In ogni caso l’ultima parola spetta sempre all’agronomo».
Oltre al servizio diretto per le decisioni agronomiche ce n’è anche uno indiretto che si diffonde lungo tutta la filiera.
«Mi verrebbe da dire che è il contrario, perché spesso l’esigenza di adottare la precision farming parte da un capo filiera che di solito è un’industria di trasformazione o un consorzio/cooperativa. Il movente è la tracciabilità del prodotto, sempre più importante per valorizzare gli alimenti agli occhi dei consumatori».
Il concetto di tracciabilità è ampio.
«Per come lo intendiamo noi è molto pratico e concreto: grazie ai dati che raccogliamo possiamo fornire al consumatore finale informazioni su dove le materie prime necessarie a realizzare un alimento sono state coltivate, addirittura l’appezzamento di terreno, con quali pratiche agronomiche, che impatto ambientale ha il processo produttivo dal campo alla tavola. Poi con il classico Qr code queste informazioni si possono leggere facilmente».
Un prodotto tracciato vale di più sullo scaffale, quindi anche l’agricoltore dovrebbe beneficiarne.
«Assolutamente. Molto di più. Ribadisco che questo tipo di esigenza nasce soprattutto dai capi filiera ed è di fatto un modo per diffondere l’agricoltura di precisione».
Si parla sempre di più di crediti di carbonio che potrebbero diventare una fonte di reddito per le aziende agricole. Riuscite a misurare lo stoccaggio?
«La nostra tecnologia è quella utilizzata dal Masaf per misurare lo stoccaggio di carbonio in conformità alle regole europee. Per ora il mercato è limitato ma presto si diffonderà».
E poi i dati sono e saranno sempre più importanti per banche e assicurazioni per valutare il rischio di un’azienda agricola.
«Sono già nostri clienti, perché forniamo loro report con rischio meteo, rischio erosione del suolo, indicatori di produttività e mercato, che permettono di capire come sta andando quell’azienda. Questo può abbassare i costi delle polizze e facilitare la concessione di credito agli imprenditori agricoli che vogliono investire, innescando un circolo virtuoso».