Più che una revisione a medio termine della Politica agricola comune (Pac), in vigore per il quinquennio 2023-2027, forse ci sarebbe da preoccuparsi per la prossima programmazione, che dovrebbe abbracciare il periodo 2028-2034. «Siamo in ritardo, se ne parlerà almeno agli inizi del 2025, quando avremo le nuove istituzioni europee e tutta l’attenzione si concentrerà sul budget della nuova Pac». Parola Angelo Frascarelli, docente di Economia agraria all’Univdiersità di Perugia, già presidente di Ismea e fra i massimi esperti di Pac.
Possibili piccoli aggiustamenti nazionali
Se in passato le riforme della Politica agricola comune nel corso del periodo di applicazione erano sottoposte a degli “Health check”, dei controlli sullo stato di salute e delle modifiche anche a volte profonde, «questa volta la revisione a medio termine di questa Pac, che qualcuno chiede, non è praticabile – spiega il professor Frascarelli –. Si potranno fare piccolissimi aggiustamenti, soprattutto a livello nazionale, ma siamo al secondo anno di applicazione della riforma, e nell’ipotesi che si attivi una proposta di revisione non potrebbe comunque andare in porto nell’anno delle elezioni. Se ne discuterebbe nel 2025 e, quindi, al massimo potrebbe interessare gli ultimi due anni e, francamente, ha poco senso».
L’attuale politica europea dedicata agli agricoltori, che assorbe un budget significativo a livello di Ue-27 per circa 387 miliardi di euro, ha avuto un percorso travagliato a causa del Covid, emergenza che l’Unione europea ha dovuto fronteggiare con impegno. La stessa approvazione dagli organi di Bruxelles è arrivata dopo sei anni di dibattito, «partiti nel 2017 con uno scenario molto diverso, che ha portato a un compromesso tra esigenze economiche, ambientali e sociali», ricorda Frascarelli.
La protesta degli agricoltori
«Le manifestazioni degli agricoltori degli ultimi giorni rappresentano un allarme per farci capire che bisogna dare maggiore attenzione al mondo agricolo – commenta Frascarelli – ma finora è stata una protesta con poca proposta. Le motivazioni sono chiare: da una parte c’è l’incertezza sui mercati, prezzi molto volatili, che non sono sempre bassi, ma sui quali non si può fare affidamento». Il mais, coltura simbolo del Nord Italia a vocazione zootecnica è un esempio: «Tre anni fa il prezzo si aggirava intorno ai 200 euro a tonnellata, poi è salito a 380 euro e ora è ritornato a 210 euro alla tonnellata. Questo significa che anche quando sono alti non si può fare affidamento che siano stabilmente alti».
Costi di produzione, insicurezza climatica e inflazione
Pesano «i fattori di incertezza sui mercati e sui costi di produzione e l’insicurezza climatica, che ha colpito l’Italia nel 2023, con rese basse nel settore dei cereali a paglia, dell’olio, del vino, della frutta – specifica Frascarelli –. A questo si aggiunge l’incertezza legislativa, con l’agricoltore che non solo ha normative impegnative, ma sempre diverse».
Anche sul fronte delle risorse della Pac è arrivata la doccia gelata. «La Pac ha garantito per l’Italia fino al 2027 circa 7,4 miliardi di euro, ma per effetto dell’inflazione l’incidenza reale della Pac sul bilancio cala tra l’11 e il 15%».
Tre anni di programmazione hanno portato ad una PAC ancora peggiore della precedente. Ancora l’ITALIA ha la PAC vincolata ad titoli storici disomogenei del 2003.Si è cercato di raddrizzare il tiro con una convergenza ,fatta da calcoli incomprensibili ma che ancora creano disparità fra aziende agricole locali e non. Ancora oggi al di la di 20 anni terreni limitrofi, stessa coltura, stessa tipologia e morfologia del terreno hanno titoli PAC diversi che creano sul mercato una concorrenza sleale. Con l’aggiunta poi di Ecoschemi che impongono regole colturali che penalizzano soprattutto le zone interne del paese. Le associazioni di categoria lo sanno e lo hanno sempre saputo favorendo ciò. Ma questo lo devo dire io che sono un semplice contadino o lo dovevano dire loro cercando di porre rimedio a ciò.