«Il miglior seme dà il meglio se coltivato con cura»

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Il presente e il futuro del breeding secondo il dg della Sis Nicola Mozzini. Ricerca continua per ottenere varietà più performanti ma con le Tea si dimezzerebbero i tempi per portare sul mercato nuove sementi

Una storia cominciata quasi ottant’anni fa. Una capacità di lavorazione di circa un milione di quintali di cereali a paglia. Un catalogo sementi con 35 specie e oltre 200 tra varietà ed ibridi, sviluppati in 300 ettari di campi sperimentali e circa 25mila ettari di terreni per la moltiplicazione del seme. Sono alcuni dei numeri più significativi di Sis, Società Italiana Sementi, fondata a San Lazzaro di Savena (Bo), nel 1947, diventata nel tempo un punto di riferimento per gli agricoltori italiani.

Con il direttore generale Nicola Mozzini abbiamo fatto una chiacchierata sul presente e sul futuro del breeding. «Il miglior seme è importante per ottenere produzioni abbondanti e di qualità. E i semi certificati sono una garanzia. Le varietà da seminare però vanno scelte in base alle caratteristiche del territorio. Poi serve anche la migliore tecnica colturale. Per fare reddito il grano va seguito, concimato e mantenuto sano fino alla mietitura».

Perché un agricoltore dovrebbe scegliere le sementi Sis?

«L’agricoltore attento sceglie sulla base dei risultati e i numeri delle nostre vendite evidenziano la presenza nei nostri cataloghi di varietà eccellenti ma, più in generale perché in base alla nostra strategia c’è una volontà di offrire i prodotti migliori possibile. Lo facciamo attraverso due filoni principali: il miglioramento genetico e lo screening varietale. Testiamo tutto il materiale del nostro breeding ma anche quello che ci viene proposto dagli altri sementieri con i quali abbiamo degli accordi di partenariato. Se una varietà risulta interessante viene presa su licenza ed inserita nel catalogo perché l’obiettivo è proporre agli agricoltori il prodotto migliore».

Qualche esempio di sementi Sis che non hanno rivali?

«Se parliamo di grani di forza direi che un’eccellenza è sicuramente il Bologna che ha contribuito a portare i grani di forza in Italia. Ma anche Giorgione perché permette di produrre qualità di forza con ottime rese. Quindi alta qualità e ottima produzione, come Bellini e Ligabue».

Perché i grani teneri ma sempre più anche i duri sono francesi?

«Sul tenero la Francia ha investito molto, quindi hanno ottenuto risultati importanti. Tant’è che alcune varietà come Bologna e Passion le abbiamo realizzate in collaborazione con case sementiere francesi. Ma non dimentichiamo che Giorgione, Bellini e Ligabue sono varietà 100% italiane. Diverso il discorso per il duro. Delle prime dieci varietà seminate nel 2024 in base alle certificazioni del Crea, a parte una che è francese, le altre sono tutte italiane. E poi nel mercato del bacino Mediterraneo, Turchia, Grecia e Nordafrica, le varietà italiane vanno per la maggiore».

Quali sono le varietà di frumento duro più seminate in Italia?

«Nelle prime dieci varietà ce n’è una sola di origine francese, tutte le altre sono di genetica italiana e tra queste cinque di genetica Sis: Core, Simeto, Claudio, Furio Camillo e Marco Aurelio».

Sementi certificate. Cosa significa e qual è il loro valore aggiunto?

«La semente certificata è molto importante per chi vuole fare un’agricoltura moderna. Prima di tutto perché è rilasciata dal Crea attraverso un documento ufficiale che permette all’agricoltore di conoscere esattamente cosa semina con la certezza di non avere sementi di altre specie o difettose. I controlli su questo sono molto rigorosi e servono anche per eliminare diversi patogeni. Oggi è un dettaglio molto importante perché questa informazione è richiesta a valle della filiera, cioè dalla grande distribuzione organizzata e dai consumatori, sempre più attenti alla tracciabilità dei cibi. E poi c’è una questione agronomica importante».

Quale?

«Quando ti allontani molto dalla pianta scelta dal breeder cominci a perdere le caratteristiche che le aziende sementiere avevano selezionato e quindi si possono avere perdite di resa e minore resistenza a stress biotici o abiotici. Di fatto, quello che si risparmia nel costo della semente si perde ampiamente con minore quantità e qualità dei raccolti».

Qual è la vita media di una semente?

«Per il frumento la normativa prevede cinque anni di semente di base e due di semente commerciale. Andare oltre significa perdere caratteristiche; i test e le analisi compiute con sementi di tre o quattro anni dimostrano che vi sono cali produttivi intorno al 10%».

Una semente certificata quanto costa in più rispetto a una priva di certificazione?

«La differenza è minima. Innanzitutto, le quantità: se si utilizzano sementi non certificate normalmente si aumenta la densità di semina del 20-30% e questo contribuisce ad aumentare i costi coprendo la differenza. E poi ricordiamoci che c’è un lavoro di selezione anche nelle non certificate, quindi un ulteriore costo. Alla fine, ribadisco, la differenza è minima».

Perché gli agricoltori le utilizzano ancora poco nonostante gli incentivi Pac? Siamo intorno al 50%, anche meno.

«Non avendo dati certi in mio possesso, non posso rispondere».

Di certo un’indicazione sono le cifre del pagamento accoppiato sul grano duro per il 2024, il primo con l’obbligo di utilizzare sementi certificate per ottenerlo, da poco comunicate da Agea. Rispetto al 2023 c’è stato un aumento di 4,68 €/ha, dovuto solo in parte al calo delle superfici seminate.

«Non posso che ribadire quanto detto in precedenza e il motivo: utilizzare sementi non certificate non fa risparmiare, anzi».

Questione di conoscenze e di mentalità. Sis, ma in generale tutta la filiera, sta lavorando anche sulla formazione degli imprenditori agricoli e sulla comunicazione?

«Dobbiamo sensibilizzare di più la filiera. Dobbiamo poter affermare con certezza che dentro una pasta c’è la varietà x o y e l’unico modo per poterlo garantire è un seme di partenza certificato».

Per quanto riguarda la ricerca la sinergia pubblico privato funziona? Potrebbe funzionare meglio? Cosa si potrebbe migliorare?

«Può sempre migliorare, però da noi funziona. Sis è all’interno di un progetto che si chiama Agritech, dove siamo l’unica società sementiera presente insieme ai centri di ricerca pubblici nazionali come Crea, Cnr, le università di Bologna, Napoli, Pisa e della Tuscia».

Cosa fa il progetto?

«L’obiettivo è migliorare la qualità dei grani e abbiamo delle collaborazioni con i centri di ricerca pubblici mondiali come il Cimmyt messicano e Icarda che è il centro di ricerca d’eccellenza per le culture negli ambienti aridi. E poi abbiamo partecipato a progetti europei. Ricordo Neurice che ci ha permesso di ottenere materiali con resistenza alla salinità e alla Piricularia oryzae. Tra questi Paganini, varietà di riso Vialone Nano che abbiamo iscritto in collaborazione con il Crea».

Su cosa si sta concentrando la ricerca? Migliorare le rese, migliorare le resistenze, aumentare certe caratteristiche, pensando al grano, utili per l’industria di trasformazione?

«La possibile presenza di nuove malattie spinge la ricerca a trovare nuove soluzioni con varietà più tolleranti. È normale. Consideriamo poi che oggi si chiede all’agricoltura di produrre i medesimi quantitativi utilizzando meno input, e quindi cerchiamo di realizzare piante che abbiano un miglior assorbimento dell’azoto, un apparato radicale più ampio e quindi in grado di esplorare una parte maggiore del terreno alla ricerca di acqua e nutrienti. E poi una maggior resistenza agli attacchi fungini. Poi vi è la strada del miglioramento delle caratteristiche e, se parliamo di grano, noi di Sis siamo all’avanguardia con il Marco Aurelio; piante che producano granelle con un ottimo colore, un’alta quantità di proteine e una buona qualità di glutine. Quello che serve all’industria della pasta».

Qualche novità recente?

«Per il frumento tenero abbiamo trovato alcune varietà che hanno un tenore ridotto di asparagina che permette di avere più bassi livelli di acrilamide, un composto che può essere dannoso nei prodotti da forno. Le nostre varietà Passion e Giorgione tendono ad avere un quantitativo di asparagina inferiore rispetto agli altri grani».

Le Tea possono aiutare la vostra ricerca e in particolare per cosa?

«Di sicuro permetterebbero di rendere più rapidi i tempi che servono per ottenere varietà con caratteristiche interessanti. Oggi il tempo che serve tra l’ibridazione e la messa in commercio di una varietà è di diversi anni e quindi la risposta alle esigenze di campo non è immediata».

Possiamo quantificare questa riduzione dei tempi?

«Dipende da molti fattori, ma in generale possiamo dire che utilizzando il sistema di ibridazione più tradizionale servono 12-13 anni per ottenere una nuova varietà. Con lo speed breeding, i fitotroni (serre e celle con atmosfera controllata, ndr) e i doppi aploidi scendiamo a otto, con le Tea ne basterebbero cinque».

Come immagina il futuro del breeding?

«Punterà sempre di più sul cercare di aumentare produzione e qualità delle colture per dare le risposte alle domande degli imprenditori agricoli e del mercato. Per quanto riguarda Sis, entro un anno assumeremo cinque nuovi genetisti e costruiremo dei nuovi fitotroni per lo sviluppo delle piante».

«Il miglior seme dà il meglio se coltivato con cura» - Ultima modifica: 2025-07-03T08:57:32+02:00 da Simone Martarello

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