Il progetto Iris nasce nel 1978 da un gruppo di nove giovani, cinque ragazze e quattro ragazzi, dai 16 ai 23 anni. Erano figli di operai, prevalentemente braccianti, che facevano parte della stessa compagnia di amici, uniti dalla comune voglia di lavorare in agricoltura con l’idea, fin dall’inizio, che la terra dovesse essere una proprietà collettiva gestita sostenibilmente e che ci dovesse essere un rapporto diretto con il consumatore.
«Per noi terra, acqua e aria non dovevano avere padroni perché sono beni primari per il sostentamento di tutte le specie viventi - racconta Maurizio Gritta, socio fondatore e Presidente di Iris -. Infatti è la Cooperativa proprietaria della terra. Nello statuto è specificato: Iris è una società cooperativa agricola a proprietà collettiva che ha lo scopo di ottenere, tramite la conduzione dei terreni, continuità di occupazione lavorativa per giovani di ambo i sessi interessati al settore agricolo e ad uno sviluppo dell'agricoltura con metodo biologico...».
Il progetto
Il progetto Iris prevedeva già in embrione un’organizzazione strutturata con una cooperativa agricola, “la mamma”, fondata ufficialmente nel 1984, che detiene i terreni e il marchio; una società commerciale, Astra Bio srl (1999), controllata al 100% dalla Cooperativa, che si occupa della trasformazione e commercializzazione dei prodotti Iris e, infine, la Fondazione (2010), «nata per sostenere i beni comuni aria, acqua, terra, sapere», cui spettano le iniziative culturali e sociali del gruppo. Una organizzazione in linea con la Triarticolazione, il modello sociale ideato da Steiner, in cui i tre sottosistemi, economico, giuridico e culturale, autogestiti e relativamente autonomi, si bilanciano reciprocamente.
«Siamo cresciuti consapevoli del valore della terra, qui in Pianura Padana, dove anche un angolo di strada viene coltivato e dove c’è l’agricoltura industriale più spinta – afferma ancora Gritta – . Siamo localizzati tra il Po e l’Oglio, due dei più grandi fiumi d’Italia, in un terreno molto fertile. Mio padre era analfabeta e lavorava come bracciante presso un padrone che lo pagava in parte in denaro e in parte lasciandoci coltivare un piccolo orto. Quando da ragazzo gli chiesi perché nel nostro orto non utilizzasse i prodotti chimici che usava il suo vicino lui mi rispose “perché quello che coltivo qui lo mangiano i miei figli e lo mangio io”. Per noi aveva un grande valore riuscire a dimostrare che, anche nel nostro contesto, si poteva fare un’agricoltura diversa e più rispettosa dell’ambiente. È per questo che non abbiamo mai voluto usare concimi e diserbi chimici».
Un pioniere bio
«Avevamo le idee chiare ma la persona che più ci ha aiutato a svilupparle in modo concreto è stato Ivo Totti». Tante sono le aziende biologiche e biodinamiche italiane che devono molto a Ivo Totti, agronomo e pioniere dell’agricoltura biodinamica e biologica, scomparso nel 1993. «Lui e mio padre avevano questo dono: la semplicità per trasmettere sapere indispensabile nella giusta direzione». Dietro la schiena di Maurizio, incorniciata e appesa al muro, c’è una frase di Ivo Totti: “Non ci può essere una reale conversione dell'azienda agricola secondo i criteri dell'Agricoltura biologica se accanto alla sostituzione dei concimi e dei pesticidi di sintesi con prodotti naturali non si assiste parallelamente anche ad una profonda trasformazione della mentalità dell'agricoltore (Ivo Totti)”.
«Grazie ai suoi insegnamenti abbiamo subito iniziato a gestire la nostra attività applicando i principi e le tecniche della biodinamica, anche perché allora non esisteva ancora il regolamento europeo sul Biologico che uscì, poi, nel 1991».
Incremento della fertilità
Le coltivazioni, nei 40 ettari gestiti dalla Cooperativa, hanno un indirizzo cerealicolo/orticolo e subiscono una rotazione di 5 o 7 anni. «Il nostro impegno è cercare di incrementare la fertilità del terreno. Le rotazioni sono fondamentali. In più pratichiamo il sovescio come concimazione vegetale seminando un miscuglio di semi che, allo sbocciare delle inflorescenze, viene trinciato e interrato nei primi 20 centimetri del terreno, arricchendolo di sostanza organica. Oltre a questa concimazione di base, integriamo con stallatico o concime vegetale compostato, in particolare nelle culture asportatrici di azoto. Inoltre trattiamo i nostri ortaggi con i propoli, ottenendo ottimi risultati».
La Cooperativa coltiva grano duro e tenero, farro, grano saraceno, miglio, orzo da caffè, e diverse varietà di ortaggi. Tutto certificato biologico e biodinamico. «Il prodotto però per noi è sempre stato una conseguenza del rispetto della natura e del recupero delle biodiversità».
E questo approccio ha dato i suoi frutti, visto che, dai primi 9 fondatori, la cooperativa oggi conta 630 soci.
Autofinanziato e sostenibile
Nel 2012 l’assemblea dei soci ha emesso azioni mutualistiche come strumento di autofinanziamento per la costruzione di un pastificio ecosostenibile ed è riuscita a raccogliere 7 milioni di euro per realizzarlo. Oggi a Casteldidone, un piccolissimo comune della provincia di Cremona, sorge il bio pastificio di Iris che produce in un anno circa 112mila quintali di pasta biologica e biodinamica. È il pastificio più ecologico d’Europa, costruito seguendo i principi della bioedilizia, in legno, acciaio, vetro, canapa e formelle di argilla cotte in fornaci locali. L’intero stabilimento, grazie ai pannelli fotovoltaici nei tetti, è alimentato da energia rinnovabile. C’è la fitodepurazione per l’acqua e le vetrate da cui le persone, mentre lavorano, possono vedere il borgo medioevale. Anche questa infrastruttura è una proprietà collettiva, finanziata da tutti quei risparmiatori che condividono i valori di Iris. E gli interessi di queste azioni mutualistiche sono ripagate in parte in denaro (interessi del 2% lordo) e in parte in prodotti alimentari.
«La realtà di Iris ormai rappresenta una filiera composta dagli agricoltori e dai trasformatori biologici e biodinamici e dai soci consumatori, localizzati in tutta Italia. Questa filiera si basa su un elemento molto importante: il rispetto del reddito dell’agricoltore. Con i nostri soci agricoltori stipuliamo i contratti alla semina, fissando i parametri di qualità e di prezzo. Viene quindi garantito il ritiro e il prezzo minimo, con una premialità se vengono raggiunti i criteri di qualità».
Certificazione internazionale
I prodotti Iris sono venduti in tutto il mondo, e ne sono una dimostrazione le tante certificazioni ottenute. Oltre alla certificazione europea per il biologico e a quella Demeter per la biodinamica, le organizzazioni del gruppo Iris bio sono anche certificate:
- BRC (Global Standard for Food Safety) che garantisce che i prodotti siano ottenuti rispettando standard relativi alla sicurezza alimentare lungo tutta la catena di fornitura, un presupposto necessario per poter esportare i propri prodotti, ed uno strumento di garanzia sull’affidabilità aziendale;
- IFS (International Food Standard), una certificazione alimentare messa a punto dagli operatori della Grande Distribuzione Organizzata di Francia, Germania e Italia, con l'obiettivo di garantire la qualità e la sicurezza degli alimenti;
- il disciplinare JAS (Japanese Agricultural Standard), obbligatorio per poter esportare e commercializzare i prodotti biologici in Giappone,
- la registrazione FDAnecessaria per esportare prodotti alimentari negli Stati Uniti,
- la certificazione OFDC (Organic Food Development and Certification Center of China) e
- le certificazioni volontarie SGS e EBS. Quest’ultima, in particolare, è relativa alla certificazione del Bilancio del bene comune, uno strumento che evidenzia il contributo delle imprese in merito a dignità umana, equità e solidarietà, sostenibilità ambientale, giustizia sociale e cogestione democratica.
Serve più unità di filiera
«Noi ci auguriamo nei prossimi anni di riuscire a vendere di più in Italia, perché far viaggiare i nostri prodotti non è sostenibile ambientalmente. L’insalata che vendiamo in Danimarca ci viene pagata il doppio rispetto all’Italia. Poi però il prezzo che il consumatore danese paga per quell’insalata è addirittura inferiore di quello che si paga in Italia. Nel mercato Italiano c’è qualcosa che non funziona e tende a schiacciare l’agricoltore e il consumatore, gli anelli più deboli della catena. Il problema è che non siamo uniti, ma io penso che tra produttori biologici e consumatori un forte punto di unione dovrebbe essere proprio il fatto di non volere più che la terra venga avvelenata».
Il Convegno biodinamico di Firenze
La prossima occasione per rafforzare questa unione sarà il Convegno Internazionale di Agricoltura Biodinamica che si terrà a Firenze dal 27 al 29 febbraio. Il convegno sarà trasmesso in diretta streaming da www.agricolturabio.info.