La perdita economica sulle esportazioni agroalimentari italiane generata dall’embargo si può stimare in almeno 217 milioni di euro con “frutta fresca”, “carni “e “latte e derivati” che perdono rispettivamente 112, 57 e 48 milioni di euro rispetto al periodo pre-embargo. I prodotti più penalizzati sono uva, mele, kiwi, pesche, formaggi freschi e stagionati, carni bovine fresche e congelate.
Questi dati sono contenuti nel rapporto dell’Ismea sull’export agroalimentare italiano in Russia nel periodo compreso tra prima dell’embargo e negli anni a seguire fino al 2018.
Infatti a partire dal 2014, in attuazione delle restrizioni previste dall’embargo, si sono azzerate le importazioni russe dall’Italia di “frutta”, “carni”, “latte e derivati” e, fortunatamente, hanno preso quota alcuni prodotti prima del tutto marginali, quali i “tabacchi” e le “piante vive e prodotti della floricoltura”.
Secondo il rapporto Ismea il danno si è riversato su pochi settori e su circoscritti areali produttivi accentuandone gli effetti. Molte delle produzioni interessate al crollo dell’export in Russia, infatti, provengono da specifiche regioni come il Trentino Alto Adige (mele), Emilia Romagna (pesche e Parmigiano Reggiano), Puglia (uva) e Lazio (kiwi). Le poche filiere e i limitati territori interessati hanno quindi sostenuto gran parte della perdita, dovendo modificare velocemente le strategie di collocamento sui mercati esteri e gestire il surplus produttivo.
I settori che tengono
La perdita di fatturato dei prodotti interessati dall’embargo è stata quindi parzialmente compensata dalla crescita di altri comparti. Più nel dettaglio, i prodotti più tipicamente made in Italy che hanno continuato a registrare una performance positiva sul mercato russo dopo il 2014 sono: i “vini confezionati” (161 milioni di euro nel 2018 pari al 17% delle importazioni agroalimentari italiane dalla Russia); “olio vergine di oliva” (22 milioni di euro pari al 2,4% dell’import totale); “pomodori passate e concentrati” (11 milioni di euro pari all’1,2% del totale) e “pomodori polpe e pelati” (9 milioni di euro pari all’1% del totale). In controtendenza risultano i “vini spumanti”, con una flessione del fatturato sul mercato russo tra il 2018 e il 2013 in ragione della flessione dei valori unitari all’import a fronte di volumi in aumento e del “Vermouth e altri vini aromatizzati” a causa della flessione sia dei volumi sia dei valori medi all’import.
D’altra parte Ismea fa rilevare il calo delle importazioni della Russia successivo al 2013 dipende per la gran parte dall’embargo ma è anche da ricondurre alla fase di recessione dell’economia del Paese conseguente al crollo dei prezzi del petrolio che ha provocato una contrazione del PIL e un abbassamento del reddito disponibile.
La bilancia commerciale Italia- Russia nel 2018
Nel 2018, i prodotti agroalimentari incidono sulla bilancia commerciale della Russia per il 5,5% dell’export e circa il 12% dell’import. La bilancia commerciale del settore agroalimentare russo registra, quindi, un passivo di 4 miliardi di euro. A fronte di 21 miliardi di export, le importazioni sono superiori a 25 miliardi di euro e hanno mostrato una crescita del 60% tra il 2009 e il 2013, per poi ridursi del meno 23% tra il 2013 e il 2018.
In termini di posizione competitiva, sul mercato russo, tra il 2013 e il 2018, l’Italia ha guadagnato il primo posto per le vendite di vino confezionato era il 2° nel 2013, ed è passata dal 4° al 3° posto nei prodotti della panetteria e pasticceria. Confermata invece la leadership per i vini spumanti, vermut, paste alimentari, pomodori pelati e polpe, cioccolato e caffè torrefatto. Per tutti gli altri prodotti il ruolo dell’Italia è di grande rilievo, rientrando sempre tra i primi cinque fornitori.