La nuova Pac 2023-2027 sancisce l’introduzione degli eco schemi, i nuovi regimi ecologici che possono generare annualmente un pagamento disaccoppiato a superficie in favore degli agricoltori per l’esecuzione di alcune pratiche “che facciano bene al clima e all’ambiente”.
«Gli Stati membri – ha spiegato Michele Pisante dell’Università di Teramo in occasione del seminario svoltosi presso il Di3A dell’Università di Catania – sono chiamati a esprimere le loro scelte attraverso il Piano strategico nazionale o più precisamente Piano strategico per la Pac 2023-2027 (Psp)».
Una Pac che impone la sostenibilità
Entro il 30 giugno 2022 i Psp dovrebbero essere approvati in modo che la Pac divenga operativa a partire dal 2023, ma la Commissione europea ha giudicato la proposta italiana come non sufficiente, formalizzando 40 pagine di osservazioni. «Dal 1960 a oggi – ha continuato Pisante – l’impatto della Pac ha portato a una riduzione delle superfici coltivate compensate da un graduale aumento delle rese. In particolare, nell’ultimo ventennio, si è registrato un ulteriore calo portando l'Italia a essere deficitaria nonostante le statistiche europee parlino di indipendenza. Allo stato attuale, con la guerra e il blocco per i seminativi, permane il problema e questa situazione rappresenta di sicuro il maggiore impatto della Pac nel corso degli anni».
La definizione degli eco schemi, che incidono fino al 25% della dotazione per i pagamenti diretti, rappresenta la principale novità della riforma della nuova Pac. Le criticità degli eco schemi sono, tuttavia, numerose. Basti pensare al divieto di lavorazione del suolo durante tutto l’anno che crea dei problemi di competizione idrica e all’esiguo importo (120 €/ha/anno) che non copre i costi di gestione nemmeno in caso di inerbimento naturale. E ancora all’impossibilità di garantire la potatura degli oliveti con frequenza annuale o nel divieto di applicazione di formulati fitosanitari di sintesi nella sola coltura introdotta in avvicendamento e, per le colture a perdere di interesse mellifero, l’inadeguatezza delle risorse e la mancanza di un indicatore di risultato chiaro. Se poi si considera la somma di tutti gli eco schemi si arriva a trasformare gli impianti più a musei naturali che a sistemi produttivi.
L’Italia si trova ad affrontare la Pac con le strategie Farm to Fork, Fit for 55, biodiversity, Pnrr. C’è molta strada da fare ancora, ma l’agricoltura già da tempo contribuisce in modo rilevante. Dal 1990 al 2019 l’agricoltura ha ridotto e restituito suoli all’ambiente per circa il 20,6% e anche per ciò che attiene l’incidenza sulle emissioni di carbonio, l’agricoltura pesa solo per il 7,1%. La via, quindi, non è solo la sostenibilità, ma l’intensità della stessa. «Oggi le ambizioni possono essere seguite solo con le competenze – ha aggiunto Pisante –. Con il libero accesso ai satelliti si hanno a disposizione dati multispettrali e iperspettrali open source. A questo punto è indispensabile la formazione di tecnici in grado di interpretare questi dati in modo da avviare la transizione digitale».
Il ruolo centrale delle filiere
«In un contesto del genere – ha affermato il docente dell'Università di Catania Biagio Pecorino – non si può più parlare di politiche di investimento a livello aziendale, ma solo di progetti di sviluppo a livello di sistema o di filiera». Complessi da attuare, ancor più in Sicilia, rappresentano l’unica via da perseguire per mantenere il reddito degli agricoltori. È del 22 aprile la call del V bando per i contratti di filiera. Sono disponibili 1,2 miliardi di euro per le imprese che abbiano sottoscritto un accordo di filiera, in ambito multiregionale dove requisito di ammissibilità è avere almeno il 15% localizzato in un’altra regione.
Le agevolazioni saranno concesse come contributo in conto capitale e finanziamento agevolato, dipendenti dalla concessione di un finanziamento bancario. Sono ammessi investimenti in attività materiali e immateriali connesse alla produzione agricola, investimenti per la trasformazione dei prodotti e la loro commercializzazione, per l’adesione a regimi di qualità (100% per le piccole e medie imprese, 90% per le grandi imprese), per l’organizzazione e la partecipazione a concorsi e fiere, per progetti di ricerca e sviluppo e promozione (per le Pmi è al 100%). Il tutto per promuovere una riorganizzazione che serva a sostenere un Made in Italy che al momento è carente di produzione agricola.
«Bisogna considerare che la transizione ecologica non è un’opzione – ha ribadito il professor Stefano La Malfa – e l’innovazione è alla base della diffusione di tutte le specie vegetali». Innovazione che non si è mai fermata ed è indispensabile per il controllo delle malattie (si pensi all’attuale Greening ‐ Huanglongbing (Hlb), la precocità di produzione o la pigmentazione dei frutti. Ma l’innovazione riguarda anche il cambio di gusto dei consumatori sempre più rivolti a tipologie apirene, facilmente sbucciabili con un buon contenuto in antocianine.
«La variabilità può trasformarsi in reddito – ha continuato La Malfa – se si cerca di coniugare varietà e ambiente di coltivazione con scelte che siano programmate e che consentano di offrire al consumatore un prodotto di elevata qualità lungo il maggior arco temporale possibile e se ci si avvale della tracciabilità puntando sulle zone vocate». L’approccio biotecnologico ha sicuramente nuove potenzialità, basti pensare al sequenziamento del genoma del limone. In questo contesto anche la variabile cambiamento climatico è da considerare al fine di definire modelli di gestione efficienti e sostenibili.
Le filiere per le quali il concetto di vocazionalità ambientale è stato sublimato nella definizione dei terroir per gli importanti riflessi sulla qualità del prodotto (vitivinicoltura in primis) sono quelle che guideranno la definizione delle strategie di adattamento complessivo delle colture rispetto ai cambiamenti in atto e i possibili interventi agronomici per la loro mitigazione.
Arance protagoniste
L’Igp arancia rossa di Sicilia rappresenta oggi una realtà tangibile di un’agricoltura di qualità, largamente riconosciuta dai consumatori europei, che fa da traino alle vendite in misura doppia rispetto a quelle di prodotti simili non certificati. «L’Igp fattura circa 40 milioni di euro – ha sottolineato il presidente del consorzio Gerardo Diana –. In vista della riforma del sistema delle Dop e Igp si dovrebbe prevedere un meccanismo premiale che tenga conto della sostenibilità green delle imprese agricole. Oltre al bio, infatti, esistono e vanno valorizzate altre pratiche di agricoltura green come quelle a basso impatto ambientale o le filiere a residuo zero. Per gli imprenditori agricoli la sostenibilità deve essere innanzitutto economica e deve rappresentare un’opportunità di svolgere al meglio il proprio lavoro, senza appesantimenti burocratici aggiuntivi».
La presidente del Distretto Agrumi di Sicilia Federica Argentati ha evidenziato l’importanza non solo della comunicazione del prodotto, ma anche della ricerca a sostegno dei reali bisogni del territorio. Così sono nati i progetti promossi dal distretto con ricadute operative sulle aziende agricole. L’ultimo in ordine di tempo è il progetto A.c.q.u.a. sull’uso consapevole dell’acqua. La sua nuova edizione prevede un approfondimento sui metodi di irrigazione smart che consentono di distribuire l’acqua solo quando necessario, senza sprechi e garantendo la qualità del prodotto. Per questo è previsto l’uso di sensori di campo per la gestione efficiente dell’irrigazione, il telerilevamento tramite droni per il monitoraggio dello stress idrico, la certificazione sull’uso sostenibile dell’acqua tramite blockchain.
«Se è vero che la ricerca scientifica e l’amministrazione pubblica elaborano percorsi innovativi – ha concluso Argentati – è anche vero che bisogna applicarli in azienda tramite agronomi con competenze diversificate, sintesi dell’integrazione delle discipline utili alla comprensione e gestione della complessità dei fenomeni. Difatti servono manager della cooperazione».