La crescita delle vendite sui mercati internazionali per l’agri-food italiano non si arresta. Trainato dalla spinta dello scorso anno, il nostro agroalimentare all’estero, sebbene registri un lieve rallentamento, mette a segno un +2,3% nel primo semestre del 2018 rispetto al medesimo periodo del 2017. Il 2017 si è rivelato un anno record che ha registrato un giro d’affari al di fuori dei confini italiani del 24% (a fronte di un 20% di cinque anni prima), superando, in termini assoluti, i 40 miliardi di euro (+27% su base quinquennale e +5,6% rispetto al 2016).
A trainare tale incremento sono sia i mercati tradizionali, i cosiddetti Paesi bandiera, quali Germania (export italiano pari a 6,9mld di € nel 2017, +16,5% tra 2012 e 2017), Stati Uniti (4mld di €, +48,9%), Regno Unito (3,3mld di €, +27,8%), Canada (809mln di €, +24,3%), Giappone (794mln di €, +13,1%), che da soli valgono il 40% del nostro export agroalimentare, sia i mercati emergenti (Paesi frontiera), su tutti Polonia (833mln di € nel 2017, +58,1% sul 2012), Australia (530mln di €, +41,7%), Cina (423mln di €, +78,5%), Corea del Sud (221mln di €, +68,8%) e Messico (103mln di €, +23,8%).
Questi, in sintesi, i dati presentati a Roma (nella sede di Confagricoltura) da Denis Pantini, responsabile Area Agroalimentare di Nomisma, in occasione del convegno “The Italian Food Style: Nuove Terre, Nuovi Modelli” promosso da Agronetwork, l’associazione fondata da Confagricoltura, Nomisma e Luiss per progettare il futuro dell’Agroalimentare ed innovare i rapporti di filiera, in collaborazione con Bnl Gruppo Bnp Paribas. Durante la conferenza è stato presentato un apposito indicatore sulle potenzialità dell’agri-food italiano: “Nomisma Italian Agrifood Mkt Potential Index”
Fare sistema per aggredire nuovi mercati
«I mercati esteri richiedono l’agri-food italiano - ha spiegato Massimiliano Giansanti, presidente di Confagricoltura - ma al contempo si aspettano innovazione e capacità nella trasformazione da parte delle nostre imprese. Serve un progetto organico e una strategia forte per l’export agroalimentare. Il futuro nel nostro settore è strettamente legato alla sua capacità di cogliere i benefici e le opportunità dei mercati esteri».
Sebbene la crescita sia costante come sopra specificato, c’è ancora molto da fare per sfruttare pienamente le potenzialità dell’agri-food made in Italy. Oggi esportano, infatti, solo 4,5 aziende su 10. Di queste, due terzi dell’export (67%) rimane in Europa, il 7% va nei Paesi europei non Ue, il 10% negli Usa e in Canada, il 7% in Asia, il 3% in Medio Oriente e solo il 6% in Africa e America Latina. I nostri prodotti top sono vino, pasta e formaggi.
In alcuni Paesi di frontiera la presenza italiana è in ritardo e in tal senso scontiamo difficoltà note del nostro sistema distributivo, meno concorrenziale di altri Paesi: l’Italia non ha le portaerei della Francia, della Germania, del Regno Unito e degli Stati Uniti nella distribuzione moderna all’estero.
«Occorre continuare a lavorare nella direzione dell’internazionalizzazione – ha precisato Luisa Todini, presidente di Agronetwork - e chiamare il governo a fare sistema per incrementare il trend positivo».
Sui punti critici del sistema è intervenuto anche Pantini specificando che «per i Paesi bandiera è sicuramente più semplice; per i Paesi frontiera bisogna cercare degli strumenti di maggiore condivisione del rischio imprenditoriale, in particolare per le Pmi, favorendo scelte più coraggiose, capaci di sedimentare la nostra presenza all’estero e grazie all’Ice la migliore conoscenza delle nostre tradizioni e produzioni alimentari».
Mentre il segretario generale di Agronetwork Daniele Rossi, ha evidenziato quanto la limitatezza delle risorse del nostro sistema agroalimentare, unito alla ridotta dimensione economica delle imprese e alla crescente complessità delle conoscenze necessarie per l’esercizio imprenditoriale e per penetrare all’estero, «inducano a raccomandare politiche di sostegno ancora più incisive e comprensive di una pluralità di strumenti, da quelli informativi e di scouting a quelli finanziari, fino a quelli regolativi e societari».
Cosa ci aspetta nel prossimo futuro
Secondo l’indice elaborato da Nomisma, su 10 mercati target (5 bandiera e 5 frontiera), per il prossimo quinquennio, gli Stati Uniti rappresenteranno il mercato con le maggiori opportunità di sviluppo futuro per l’agri-food made in Italy con un valore dell’indice pari a 100. L’indice prende in considerazione variabili di diversa natura tra cui il reddito pro-capite, i consumi alimentari, l’import agroalimentare, il ruolo dei prodotti italiani e la presenza di dazi e altre barriere agli scambi commerciali. Gli Usa, come sottolinea Pantini, pur essendo un mercato tradizionale e consolidato per il nostro export (peso del 10%), grazie all’elevata capacità di spesa di parte della popolazione, all’enorme dimensione del mercato in termini di potenziali consumatori e ad un import di prodotti italiani che per ora risulta concentrato (oltre la metà) in soli cinque stati (California, New York, Texas, Illinois e Florida), saranno il primo mercato. «Le importazioni statunitensi di prodotti agri-food dall’Italia sono destinate a crescere ad un tasso medio annuo (Cagr) del +6,5% nel periodo 2017-2022», spiega Pantini.
Gli altri mercati con le maggiori potenzialità per l’agroalimentare nazionale saranno la Germania (Indice pari a 97) e la Cina (94): si stima che in tali mercati la domanda di prodotti agroalimentari italiani crescerà ad un Cagr 2017-2022, rispettivamente, del +4% e del +12%. Seguono Canada (73), Giappone (72), distanziati da Polonia (52), Regno Unito (42), Corea del Sud (38), Australia (29) e Messico (15).