24,5 miliardi di euro: il volume d’affari complessivo delle agromafie messo a segno nel 2018, +12,4% rispetto allo scorso anno. Questa è la fotografia evidenziata dal sesto Rapporto Agromafie 2018 elaborato da Coldiretti, Eurispes e Osservatorio sulla criminalità nell’agroalimentare. Il business delle agromafie continua a crescere di anno in anno e sembra non risentire della stagnazione dell’economia italiana e internazionale, immune alle tensioni sul commercio mondiale e alle barriere circolazione delle merci e dei capitali. Una rete criminale che, come evidenziato dal rapporto, si incrocia perfettamente con la filiera del cibo, dalla sua produzione al trasporto, dalla distribuzione alla vendita, riuscendo a sfruttare i vantaggi della globalizzazione, delle nuove tecnologie, dell’economia e della finanza. E così troviamo sulle nostre tavole, solo per citare due esempi, il pesce vecchio rinfrescato con un lifting al cafados e la mozzarella sbiancata con la soda.
A farne le spese: la concorrenza, il libero mercato legale e l’imprenditoria onesta. Il risultato? La moltiplicazione dei prezzi, che per l’ortofrutta arrivano a triplicare dal campo alla tavola, i pesanti danni di immagine per il Made in Italy in Italia e all’estero e i rischi per la salute con 399 allarmi alimentari, più di uno al giorno nel 2018 in Italia (elaborazioni Coldiretti sui dati del Sistema di allerta rapido dell’Unione europea RASFF).
«Le agromafie vanno contrastate a tutti i livelli: dalla produzione alla distribuzione fino agli uffici dei colletti bianchi dove transitano i capitali da ripulire, garantendo al tempo stesso la sicurezza della salute dei consumatori troppo spesso messa a rischio da truffe e inganni solo per ragioni speculative» afferma il Presidente della Coldiretti Ettore Prandini.
Gian Maria Fara, Presidente dell’Eurispes e Gian Carlo Caselli, Presidente del Comitato Scientifico della Fondazione “Osservatorio Agromafie”, spiegano la natura delle mafie: «Organizzazioni che esprimono una “governance multilivello” o più “governance multilivello” sempre più interessate a sviluppare affari in collaborazione che non a combattersi». L’effetto sul comparto agroalimentare, che si presta ai condizionamenti e alle penetrazioni, è rovinoso. «Poter esercitare il controllo di uno o più grandi buyer significa – sottolinea Caselli - poter condizionare la stessa produzione e di conseguenza il prezzo di raccolta, così come avere in proprietà catene di esercizi commerciali o di supermercati consente di determinare il successo di un prodotto rispetto ad altri».
Fara specifica poi che la struttura intelligente «Si può ormai ragionevolmente parlare di mafia 3.0, si pone al servizio trasversale delle diverse organizzazioni, accogliendone le disponibilità finanziarie per valorizzarle e accrescerle attraverso modalità dall’apparenza lecita. La prima necessità è quella di aggiornare e potenziare l’attuale normativa in materia agroalimentare. Quella vigente è obsoleta e controproducente, deve essere riformata. Invece di svolgere una funzione deterrente, spinge a delinquere, essendo a tutto favore dei benefici (ingenti guadagni) il raffronto con i rischi (sanzioni per irregolarità)».
Presenti al convegno, tra gli altri, anche i ministri dell’Interno Matteo Salvini e della Giustizia Alfonso Bonafede.
Matteo Salvini ha esortato a una riforma di sistema che dia risultati efficaci «L’agricoltura è per l’Italia quello che è il petrolio per l’Arabia Saudita». Il ministro ha ricordato che sono 168 le aziende agricole confiscate alle mafie. «L’anno scorso, grazie a nuove normative, sono stati denunciati 548 caporali e 604 sfruttatori di lavoratori senza permesso di soggiorno». Salvini ha poi parlato di etichettatura «Occorre fare passi in avanti anche in sede europea per la tutela del “Made in”, l’etichetta non può essere un bollino di pochi millimetri sul retro della confezione. Il consumatore deve essere messo in condizione di capire cosa comprando». Il ministro ha poi affrontato le questioni infrastrutture «La rete infrastrutturale deve essere più efficiente per combattere la malavita» e latte: «Non può costare 60 centesimi al litro dobbiamo arrivare almeno a 1 euro, sarà questo il mio impegno, già questa sera la tavolo convocato al Ministero con tutte le parti interessate». Vedi video
Istituire e far partire, entro marzo, un tavolo per monitorare gli effetti della legge sul caporalato, al fine di individuare lacune e carenze su cui intervenire: è l’impegno dichiarato dal ministro della Giustizia Alfonso Bonafede. Per il Guardasigilli «il provvedimento contro il caporalato è un passo in avanti. Ora dobbiamo continuare a lavorare per monitorare gli effetti di quella legge e per studiare soluzioni che possano colmare le voragini ancora in atto. Per questo rinnovo la mia piena collaborazione con l’Osservatorio Agromafie». Vedi video
Secondo Cafiero de Raho, procuratore nazionale antimafia, contro le mafie: «Non è mai sufficiente quello che si fa, siamo indietro, nonostante una legislazione così avanzata come la nostra. Le mafie riescono ad evolversi ed infiltrarsi sempre più nei mercati. Il rapporto di oggi evidenzia quanti siano i settori in cui le agromafie si inseriscono. Per questo, deve essere creata una barriera fatta non solo di repressione, attraverso la magistratura e la polizia giudiziaria, ma anche di istiuzioni e associazioni. Penso che siano proprio i coltivatori diretti i più interessati ad impedire che le mafie si insinuino nei settori di loro competenza».
In conclusione, Ettore Prandini, ha sottolineato la necessità «Di tenere alta la guardia e di stringere le maglie ancora larghe della legislazione con la riforma dei reati in materia agroalimentare. L’innovazione tecnologica e i nuovi sistemi di produzione e distribuzione globali rendono ancora più pericolose le frodi agroalimentari che per questo vanno perseguite – conclude Prandini - con un sistema punitivo più adeguato, con l’approvazione delle proposte di riforma dei reati alimentari presentate dall’apposita commissione presieduta da Giancarlo Caselli».
I settori agroalimentari più colpiti da truffe e reati
I settori agroalimentari più colpiti da truffe e reati nel 2018 sono il vino con +75% nelle notizie di reato, la carne dove sono addirittura raddoppiate le frodi (+101%), le conserve con +78% e lo zucchero dove nell’arco di dodici mesi si è passati da zero e 36 episodi di frode.
Nell’ultimo anno sono stati sequestrati 17,6 milioni di chili di alimenti di vario tipo per un valore di 34 milioni di euro con lo smantellamento di un’organizzazione fra Campania, Puglia, Emilia Romagna, Sicilia e Veneto che importava zucchero da Croazia, Isole Mauritius, Serbia e Slovenia e poi lo immetteva nei canali del mercato nero attraverso fatture false per rivenderlo a prezzi stracciati a imprenditori che lo usavano per adulterare il vino.
Più di un italiano su cinque (17%) è stato vittima di frodi alimentari nel 2018 con l’acquisto di cibi fasulli, avariati e alterati.
A riguardo Ettore Prandini ha affermato: «Oltre ad applicare l’indicazione d’origine su tutti i prodotti va anche tolto in Italia il segreto sui flussi commerciali con l’indicazione delle aziende che importano materie prime dall’estero per consentire interventi mirati in situazioni di emergenza anche sanitaria che si ripetono sempre più frequentemente».
Consumi, Eurispes: 8 italiani su 10 scelgono il made in Italy
L’indagine condotta dall’Eurispes nel 2018 suun campione di 1.101 cittadini dimostra che l’82,7% dei consumatori italiani prediligono i prodotti alimentari Made in Italy. Il 67,7% controlla l’etichettatura e la provenienza dei prodotti. I prodotti di stagione sono privilegiati dal 73,7% dei consumatori, il 56% acquista i prodotti con marchio Dop, Igp, Doc e senza olio di palma (55,8%). Quasi la metà (49,3%) privilegia i prodotti a Km 0. I prodotti biologici scelti dal 41,3% del campione. Eppure superano un terzo (37%) i consumatori che, indipendentemente dalla provenienza, scelgono i prodotti più economici.
Invitati dal sondaggio Eurispes ad indicare l’elemento che influisce maggiormente sulle loro scelte di acquisto di prodotti alimentari, gli intervistati si dividono: per il 18,3% conta soprattutto quel che legge nell’etichetta, per il 15,2% la garanzia offerta dalla marca, per il 13,4% l’esperienza diretta di parenti e amici, per il 12,5% l’offerta speciale sul prezzo, per l’11,8% il fatto che sia un prodotto italiano, per il 10% il prezzo, per il 9,3% la fiducia nel punto vendita, per l’8,5% la presenza di marchi Dop, Bio, ecc.; la pubblicità sembra costituire l’aspetto determinante solo per l’1%.
La netta maggioranza degli italiani (67,9%) si dice disposta a pagare di più per un prodotto alimentare con materia prima interamente italiana, a fronte di meno di un terzo (32,1%) che si pronuncia invece sfavorevolmente.
Attualmente attraverso la Gdo passa circa il 70% degli acquisti alimentari.