Mantenere alta la competitività delle Indicazioni geografiche. Garantire una gestione sempre più efficiente delle Ig con più risorse e nuovi strumenti. Riconoscere i Consorzi di Tutela come soggetti attivi nell’attuazione delle politiche di sviluppo. Dall’assemblea di Origin Italia (l’organismo che rappresenta oltre il 90% dei prodotti italiani a marchio Ig), arriva una corposa agenda per il 2021, colma di obiettivi, riforme, iniziative.
«A partire da una auspicata presenza significativa delle Ig al prossimo G20 2021, una vetrina unica, ma al contempo la sede giusta per poter far riflettere il mondo sul valore del patrimonio agroalimentare italiano ed europeo in generale», esordisce il presidente di Origin Italia Cesare Baldrighi, che aggiunge sul piatto delle sfide anche altri punti fondamentali da discutere. «Dai nuovi accordi commerciali, agli effetti della Brexit per le Indicazioni geografiche, così come la situazione dazi Usa da monitorare e migliorare dopo l’insediamento di Biden alla presidenza, oltre a una maggiore attenzione al valore “immateriale” dei prodotti a marchio, a partire dal concetto di sostenibilità guardando in maniera costruttiva al Green Deal. Ma anche la “battaglia” sul nutriscore per arrivare ad un’etichetta che garantista i prodotti ad indicazione geografica, senza dimenticare la nuova Pac e la riforma del sistema Ig sulla quale ci stiamo battendo da ormai anni, ma che contiamo di portare a buon fine entro l’anno».
L’agricoltura italiana, quella fatta anche di piccole aziende, che benefici può trarre dal sistema dei prodotti a marchio?
«Economici, sicuramente, perché un prodotto a marchio ha un valore di mercato maggiore, ma non solo: penso all’immagine stessa dell’azienda, alla sua visibilità, al valore come detto immateriale che può dare la produzione di un prodotto disciplinato da regole mirate non solo alla qualità del prodotto, ma anche al miglioramento del territorio in cui nasce. Spesso guardando al mercato si perde di vista il concetto di identità territoriale che invece è alla base della storia della nostra agricoltura, nostro compito è quello di riportarlo in superficie come valore primario».
Tuttavia spesso la filiera non ha un equilibrio economico e si rischia che il produttore sia la parte più debole.
«È proprio questo uno dei nostri obiettivi, lanciati e rimarcati in assemblea generale non solo dal sottoscritto. Rivedere il ruolo dei consorzi anche in questo senso, creando un rapporto sempre più stretto e diretto tra produttore e resto della filiera, per tutelarne il lavoro, quindi l’equo compenso di quello che produce e in questo il Consorzio è per natura il soggetto che più di ogni altro può controllare la filiera, ecco perché tra le riforme che prevediamo c’è proprio questa ridefinizione delle attività consortili».
Insomma più tutela al produttore.
«E non solo: tutelare l’economia del produttore vuol dire anche venire incontro a velocità più alta a quelli che sono i termini che regolano il Green Deal, per esempio, ma anche fare in modo che il concetto di sostenibilità sia supportato fin dal campo e infine che il prodotto che entra in commercio possa essere apprezzato dal consumatore finale per un giusto rapporto tra prezzo e qualità. In questo senso tra le iniziative già in programma per questi mesi, un tavolo tecnico in seno al Mipaaf al quale far sedere Consorzi delle IG e distribuzione, per tutelare la filiera di qualità dell’agroalimentare italiano».
Ha parlato di riforma dei consorzi come priorità nell’agenda 2021, che intende?
«Oggi per modificare un disciplinare di prodotto, anche per piccoli aggiustamenti, serve un iter che tra Mipaaf e Bruxelles supera i 12 mesi, intanto il mercato va avanti, la tecnologia pure. Serve uno snellimento di questa burocrazia che frena l’evoluzione dei prodotti di pari passo con lo sviluppo del consumo a livello nazionale e internazionale, a scapito dei prodotti di qualità quindi. Noi questa battaglia la stiamo portando avanti in sede europea e siamo convinti di poter ottenere risultati entro l’anno dando più operatività ai singoli consorzi e più margine di intervento diretto sui propri prodotti».
Green Deal per le Ig vuol dire cosa?
«Vuol dire opportunità. Opportunità per esempio di riscattare gran parte di quei valori immateriali di cui ho accennato prima. La sfida sarà quella di gestire al meglio la transizione ecologica che è in atto nel mondo e per farlo serve una partecipazione attiva di tutti i Consorzi di Tutela sui temi di questa riforma, soprattutto per quanto riguarda i due dossier più strategici: Farm To Fork e Biodiversity.
Ha parlato di battaglia al nutriscore: perché secondo lei non è da considerarsi uno strumento adeguato?
«Non è un sistema informativo nell’interesse primario del consumatore e non è in grado di valorizzare la qualità e la territorialità di DOP IGP. La contrarietà di Origin Italia a questo sistema di etichettatura la abbiamo sempre ribadito. Su questa faccenda non siamo gli unici in Italia a pensarla così, infatti le indicazioni geografiche e le eccellenze dell’industria agroalimentare italiana sono dalla stessa parte. Quella della trasparenza e corretta informazione del consumatore, questa deve essere la priorità e la linea condivisa da portare avanti in sede europea».
Valore immateriale dei prodotti agroalimentari: ma i marchi sono così importanti a livello commerciale all’estero?
«È un punto su cui la nostra associazione lavora insieme ai Consorzi da sempre, uno dei nostri obiettivi è proprio quello di far conoscere la differenza che fa il marchio in un prodotto agroalimentare. Se in Italia questo concetto è diventato sempre più riconosciuto dal consumatore finale, senza tuttavia smettere mai di ribadirlo, già in Europa facciamo più fatica. Il vero lavoro è quello che dobbiamo fare fuori Ue e lo stiamo facendo non solo con la promozione, ma anche con i tanti accordi bilaterali per la tutela dei nostri prodotti da fenomeni come l’italian sounding: noi tuteliamo i prodotti di questi paesi in Italia, loro ci danno una mano a tutelare i nostri. La strada non è facile, ma nemmeno impossibile. Inoltre stiamo lavorando affinché gli stessi marchi vadano a coprire anche prodotti non alimentari, come l’artigianato di qualità, così da avere una risonanza ancora maggiore».
Nell’anno del Covid-19 i marchi hanno aiutato il mercato?
«Possiamo dire che ci sono dei prodotti da retail, penso al Parmigiano, al Grana, per esempio, che hanno addirittura incrementato le vendite, sia in Italia che all’estero. Al contrario prodotti da ristorazione o da vendita al dettaglio e diretta, come per esempio lo Speck, hanno fatto molta fatica, pur trovando, grazie al lavoro dei Consorzi di riferimento, vie di sbocco sul mercato alternative».
I numeri dell'agroalimentare italiano a denominazione
312 Prodotti Dop, Igp, Stg riconosciuti (309 Dop e Igp, 3 Stg)
80.000 operatori
7,7 mld € di valore alla produzione
3,8 mld € di valore all’export
+57% di valore alla produzione in 10 anni
+162% di valore all’export in 10 anni