Nella guerra Boeing-Airbus combattuta a suon di sussidi (ritenuti illegali dal Wto) anche l’Italia finisce per essere colpita. L’Organizzazione Mondiale per il Commercio ha infatti autorizzato gli Stati Uniti ad applicare dazi aggiuntivi su un ammontare di 7,5 miliardi di dollari di merci importate dall’Unione Europea e Trump ha deciso di non risparmiare nessuno.
Editoriale di Terra e Vita 31
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Bastonate alla Francia
Ovviamente il pegno più alto viene pagato dai paesi che hanno fatto parte del Consorzio Airbus, vale a dire Francia, Germania, Regno Unito e Spagna, per i quali oltre a un dazio del 10% applicato sull’export di aerei commerciali (per la Francia si traduce in una “gabella” aggiuntiva su oltre 3,5 miliardi di dollari di esportazioni) e a dazi del 25% su altre merci come prodotti tessili, elettronici e meccanici (l’export di questi ultimi vale quasi 400 milioni di dollari per la Germania), l’Amministrazione statunitense ha deciso di inserire nella “black list” anche i prodotti agroalimentari, andando così a “tassare” pure gli altri paesi europei.
La strategia di Trump
Nell’applicazione dell’imposta aggiuntiva, Trump ha adottato una strategia “diversificata” per paese, scegliendo di colpire i prodotti con una posizione di leadership nel mercato Usa - spaccando così la formazione di un’eventuale fronte comune in ambito comunitario - e favorendo nel contempo quei produttori statunitensi che da tempo si battono per ostacolare la diffusione di taluni prodotti europei (in particolare quelli Dop/Igp) che tanto piacciono ai consumatori americani ma che, ahimè, hanno il difetto non solo di essere più buoni ma di utilizzare denominazioni che a loro avviso rappresentano nomi divenuti ormai generici e che nulla hanno a che vedere con patrimoni culturali e culinari di millenaria memoria che gli europei si sono inventati solo per fare concorrenza sleale al loro parmesan del Wisconsin (si leggano a tale proposito le posizioni del Consortium for Common Food Names).
I prodotti colpiti
Seguendo questa strategia bidirezionale, nel settore delle importazioni agroalimentari, il dazio andrà a colpire i vini fermi francesi (risparmiando lo Champagne) su un valore di 1,3 miliardi di dollari, vale a dire il 20% dell’import totale food&beverage in Usa di origine transalpina, i formaggi italiani su 235 milioni di dollari (9% dell’import agroalimentare), l’olio d’oliva spagnolo per 307 milioni di dollari (13%) nonché il whisky scozzese (nel 2018 l’import di tale distillato è valso ben 1,6 miliardi di dollari, benché venga specificato che il dazio non si applicherà all’intero valore ma solo ad una sua parte). Soffermandoci solo sui dazi che ci riguardano, oltre ai formaggi (in gran parte Dop), gli altri prodotti di origine italiana che vengono colpiti sono i liquori (167 milioni di dollari di import nel 2018), altri 56 milioni di dollari interessano importazioni di carni trasformate mentre i rimanenti 24 milioni di dollari si suddividono tra conserve ittiche e prodotti vegetali. Complessivamente, l’ammontare dei nostri prodotti venduti negli Usa che viene colpito dai nuovi dazi è di circa 482 milioni di dollari, vale a dire il 9% del totale di import agroalimentare di origine italiana che nel 2018 è stato di 5,48 miliardi di dollari.
La palla passa ora nel campo della diplomazia, quanto mai necessaria per evitare una guerra commerciale che non porterebbe benefici a nessuno e che rischierebbe di penalizzare il nostro settore agroalimentare già alle prese con ulteriori e pesanti incognite sul proprio futuro come la recessione in Germania e la Brexit, vale a dire due “spade di Damocle” sul primo e quarto mercato di export del food&beverage italiano.