Secondo recenti studi condotti da docenti delle università siciliane sull'Isola produrre un chilo di grano duro, a seguito degli aumenti dei prezzi di fertilizzanti e carburanti, costa 80 centesimi. In questa cifra sono compresi tutti gli oneri e le spese, ammortamenti e interessi compresi, che in genere l’imprenditore agricolo non mette in conto. «Perfino con il sostegno al reddito dei premi Ue lavoriamo in perdita», affermano gli agricoltori siciliani.
Amareggiati assistono allo sbarco di grano duro estero, in prevalenza canadese. Uno degli ultimi carichi tra i più massicci - trentamila tonnellate giunte dallo stato canadese del Quebec di cui 27mila di duro e tremila di tenero - arrivato nel porto di Pozzallo nel Ragusano lo scorso 26 febbraio, è stato pagato 47 centesimi+Iva al chilo. Il frumento duro dell’Isola a quella data non veniva pagato più di 37 centesimi. Adesso la quotazione è perfino scesa a 34-35 centesimi al chilo.
La beffa di Foggia
Per chiudere le contrattazioni ci si rifà alla quotazione della borsa merci di Foggia, ma chi acquista fa strumentalmente la cresta e dalla quotazione ufficiale detrae il costo del trasporto (fino a Foggia, appunto). Ma perchè il prezzo di riferimento è quello della borsa pugliese? In assenza di borse merci funzionanti nell’Isola, si fa riferimento alla più vicina.
Una situazione davvero paradossale che è stata sottolineata da Biagio Pecorino, docente di Economia Agraria all’Università di Catania e presidente della coop Valdittaino, nel corso della prima assemblea plenaria del Distretto produttivo cereali Sicilia che ha eletto un nutrito board rappresentativo di tutti gli attori della filiera e ha scelto per acclamazione Giuseppe Russo del Consorzio di ricerca Gian Pietro Ballatore come presidente. Il Consorzio ha già pronto un progetto di filiera che sottoporrà al Dipartimento regionale dell’Agricoltura che qualche settimana fa ha pubblicato un invito a presentare proposte. L’idea è quella di mettere in cantiere bandi a valere sul Psp per le filiere che si dichiarano già con li idee chiare sul da farsi.
Dubbi sul grano duro importato dal Canada
Nel frattempo sul tema del grano duro estero, alla Procura della Repubblica di Ragusa è arrivato un esposto-denuncia. Lo ha depositato un gruppo di agricoltori e consumatori lo scorso primo marzo dopo la protesta che li ha visti protagonisti al porto di Pozzallo durante lo sbarco delle ultime 30 mila tonnellate di grano canadese. Vogliono sapere a chi (pastifici e molini) fosse destinato quel grano che sui documenti di trasporto affidati agli autisti degli autotreni è definito “nazionalizzato”. Ma anche da chi sarà utilizzato: forni, pasticcerie e pizzerie.
Il motivo? «Dopo avere visto quella granella e avere sentito certi odori, non abbiamo alcuna intenzione di consumarlo», afferma Agostino Cascio, cerealicoltore 67enne di Caltanissetta, promotore dell’iniziativa “giudiziaria”. «Vogliamo tutelare la salute dei siciliani e le nostre produzioni locali. Per questo sproniamo l’autorità giudiziaria a indagare sulla qualità del prodotto che arriva nei nostri porti e che, benchè sia risaputo che viene portato a maturazione con trattamenti massicci a base di glifosate in pre raccolta (pratica proibita in Italia) e forse anche carico di micotossine, viene perfino pagato più del grano duro che si produce in Sicilia».
Controlli costanti
«Dalla stiva della nave attaccata a Pozzallo sono stati prelevati campioni di grano e sono stati inviati all’Istituto Zooprofilattico della Sicilia per le analisi di rito, esattamente come accade ogni qualvolta attracca una nave carica di frumento destinato ai pastifici e ai molini siciliani» si è affrettato a dire l’assessore regionale all’agricoltura, Luca Sammartino.
L’ultimo in ordine di tempo riguarda il carico di frumento di una nave francese attraccata ancora una volta a Pozzallo lo scorso 5 marzo. In genere, l’esito dei controlli di routine, si conosce entro una settimana. Ma circa il carico del 26 febbraio, oggi a distanza di dieci giorni, ancora non si sa nulla. Lo scorso anno i controlli effettuati dal Noras sui carichi di grano estero giunti in Sicilia sono stati otto. Le analisi svolte da laboratori accreditati dall'Ispettorato centrale tutela della qualità e repressione frodi (Icqrf) del ministero dell'Agricoltura hanno verificato la loro conformità ai valori di legge.
«Non ci saremmo aspettati esito diverso», affermano gli agricoltori. Il problema, infatti, non è rispettare i limiti massimi delle sostanze considerate pericolose per la salute umana, ma avere innalzato anni fa i valori massimi. «Il limite massimo dei residui di glifosate, ad esempio, è stato elevato dalla Ue sulla base di un assunto sbagliato. E cioè che il consumatore europeo consumi non oltre 5 chili di pasta in un anno. Sarà pure vero per uno scandinavo o un tedesco - osserva Agostino Cascio - ma siamo sicuri che per i consumatori italiani quel limite calcolato su un basso consumo sia sicuro? Per noi che pratichiamo la dieta mediterranea e consideriamo la pasta di grano duro elemento centrale della nostra alimentazione, le quantità di contaminanti che potremmo assumere sulla base del nostro consumo medio annuo, sono ancora entro i limiti della non pericolosità?».
Nel dubbio, in molti cercano la pasta fatta con il grano italiano. Nella speranza che le etichette non mentano. Per essere sicuri sarebbe necessario un sistema di tracciabilità efficace. C’è già, si chiama Granaio Italia, ma ancora - per le resistenze di molti - stenta a decollare. Ma questa è un’altra storia.
La solita storia: lo strano piacere di farsi del male da soli.