L’unione fa la forza. Ma la forza è nulla se non si sa dove applicarla.
Tra guerre, calamità naturali, emergenze fitosanitarie, pandemie e volatilità dei prezzi l’agricoltura italiana non se la passa bene e anche per il mondo della cooperazione la classica ricetta dell’aggregazione va aggiornata con altri obiettivi come quelli dell’innovazione e degli investimenti strutturali.
Ne è convinto Raffaele Drei, fresco di nomina a presidente di Confcooperative Fedagripesca Emilia-Romagna, organizzazione che riunisce 385 cooperative agroalimentari con oltre 51mila soci, 18.400 addetti e un fatturato che supera i 9,5 miliardi. Un sistema che ora avverte tutto il peso delle tensioni internazionali. L’agricoltura viene però spesso considerata un settore anticiclico.
Intervista pubblicata su Terra e Vita 18
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Può arrivare dal comparto primario la risposta per uscire dalla crisi?
Di ricette semplici non ce ne sono – risponde Drei – temo che l’agricoltura questa volta non possa essere considerata quell’elemento di solidità a cui aggrapparsi come nelle precedenti crisi legate al mondo della finanza. Oggi siamo di fronte a qualcosa di completamente nuovo, con una sovrapposizione di situazioni pesanti e negative come mai in precedenza.
Serve un’attenzione più alta da parte delle istituzioni?
Chiediamo interventi straordinari da parte della politica e la richiesta più immediata è quella di valide misure per il contenimento dei costi. Ci si concentra troppo sull’aumento del prezzo del grano e dei generi alimentari senza considerare i rincari dell’energia e di materie prime come concimi, mangimi, carta, vetro, cartone, plastiche e trasporti. Tutte queste voci pesano sui bilanci delle strutture cooperative con incrementi almeno a doppia cifra. Occorre individuare le contromisure più efficaci per evitare speculazioni, ne va della sostenibilità dell’intera filiera agricola. Anche perché il problema non è solo il costo, ma spesso addirittura il reperimento. Emblematico è il caso del vetro, la cui carenza mette in difficoltà le cantine nella fase di imbottigliamento. E per il confezionamento dell’ortofrutta pesa la mancanza degli imballaggi.
Una tempesta inflattiva che fa scricchiolare le più consolidate esperienze di aggregazione, come salvarle?
Ribadendo che quello di filiera è un approccio obbligato, il nostro sistema agroalimentare non può rinunciare all’integrazione. Ma occorre anche ricordare che in queste esperienze manca spesso l’ultimo anello, quello del collegamento con il mercato. La crisi spinge con urgenza a rivedere la distribuzione del valore aggiunto lungo le filiere, che negli ultimi anni ha sempre penalizzato gli anelli più a monte. La grande distribuzione non sembra però disposta a rispondere in maniera “benevola” alle difficoltà del tessuto produttivo. È giusto difendere il potere d’acquisto dei consumatori, ma la tentazione di fare da “tappo” all’inflazione rischia di innescare una forte decrescita della struttura produttiva nazionale di cui pagheremo le conseguenze negli anni a venire.
tab. 1 La tempesta inflattiva | |||||
Petrolio($/barile) | Gas naturale($/mmbtu | Urea($/t) | Dap*($/t) | Trasporti(Gofi) | |
Dic 2021 vs dic 2019 | +13% | +723% | +309% | +213% | +93% |
apr 2022 vs dic 2021 | +42% | -15% | +4% | +28% | +9% |
L’emergenza pandemica e la guerra in ucraina spingono i prezzi internazionali di input produttivi e trasporti*Fosfato diammonico. Fonte: elaborazione dalla relazione di E. DiTullio (Nomisma) all’assemblea “La cooperazione nella transizione dell’agroalimentare italiano”, Bologna 20 maggio |
Una perturbazione destinata a durare è quella legata al cambiamento del clima, con eventi estremi sempre più frequenti ed emergenze fitosanitarie difficili da arginare.
Ogni anno il climate change presenta il suo conto in maniera imprevedibile: le colture pluriennali come vite e frutta sono particolarmente esposte e negli ultimi anni hanno sofferto in maniera ripetuta l’impatto di gelate tardive, grandine e attacchi dei patogeni. Oggi sul tavolo ci sono proposte di utilizzo delle risorse Pac per costituire fondi di mutualità per gli eventi calamitosi straordinari. Una strada che va percorsa con coraggio, ma non può essere l’unica risposta. La straordinarietà di queste situazioni sta infatti spingendo chi fino a ieri era l’attore principale nel campo della difesa passiva, ovvero il comparto delle assicurazioni, ad allontanarsi sempre di più da questo mercato. Servono nuovi strumenti di copertura in particolare per le produzioni intensive. La salvaguardia dei redditi si può ottenere solo affiancando strumenti di difesa attiva e passiva. Anche perché le filiere italiane hanno bisogno di qualità, ma anche di produzione, altrimenti rischiamo di lasciare importanti quote di mercato ai competitor internazionali.
I produttori stanno reagendo. In Emilia-Romagna gli impianti frutticoli protetti sono in deciso aumento.
Le strutture organizzate dei nostri territori hanno fatto il massimo per sostenere finanziariamente le aziende agricole, con risorse proprie e sollecitando le istituzioni a mettere a disposizione i fondi del Psr in particolare per la diffusione dei sistemi di difesa attiva contro brinate e gelate tardive. Occorre andare avanti con questi investimenti. Il cambiamento climatico porta infatti con sé anche effetti più subdoli, come le ondate di insetti e patogeni alieni non più controllabili come in passato. Non si può però pensare di proteggere tutte le colture con reti anti-insetto: nel giro di pochi anni i frutticoltori si trovano nella necessità di investire pesantemente per sostenere un livello produttivo accettabile, con un aggravio dei costi che ne mette in discussione la sostenibilità economica.
La risposta può arrivare dalla ricerca?
L’innovazione è fondamentale per costruire il futuro dell’agricoltura. In Emilia-Romagna con il centro di ricerca RiNova stiamo lavorando soprattutto sul fronte della ricerca genetica: è evidente che davanti ai cambiamenti climatici servono piante più resilienti, se non altro per reagire alle limitazioni tecniche che ci sta imponendo l’Ue. Se dobbiamo produrre in condizioni più difficili e con minori strumenti tecnici a disposizione, è ovvio che la ricerca di varietà più adatte ai cambiamenti climatici diventa fondamentale per il nostro percorso. La digitalizzazione, a mio modo di vedere, rappresenta invece uno strumento con cui l’imprenditore può diventare più efficiente nella gestione della propria azienda agricola. Un’esperienza, quella di RiNova, che dimostra che anche negli investimenti in ricerca e sviluppo conviene essere aggregati per poter fare investimenti importanti ripartendone il peso e anche il beneficio.
Nell’attesa dei frutti di questi investimenti, la transizione ecologica del Green Deal è alle porte. La forte condizionalità della Pac post 2022 rischia di dare il colpo di grazia a sistemi produttivi già così stressati?
C’è qualcosa che non convince nella svolta green della politica comune. Bruxelles chiede all’agricoltura di essere il giardiniere d’Europa, mettendo in secondo piano il tema dell’approvvigionamento alimentare. La crisi ucraina mostra che serve più prudenza. Anche perché la transizione ecologica non si fa dalla sera alla mattina, l’agricoltura italiana è in transizione ecologica da decenni con un percorso di rispetto ambientale fatto di un progressivo abbandono di molecole attive ritenute pericolose per ambiente e salute e la progressiva riduzione di pratiche non positive attraverso l’applicazione di precisi disciplinari e in questo l’Emilia-Romagna è stata trainante nel nostro Paese. Dobbiamo continuare, ma se oggi si chiede all’agricoltura di accelerare questa transizione senza un adeguato accompagnamento di carattere tecnico, si rischia di commettere un errore strategico. La prima missione dell’agricoltura è di garantire la sicurezza alimentare alle popolazioni, come accaduto nei mesi del lockdown, dove tutti hanno riscoperto l’importanza del settore primario. Questo è il nostro compito e dobbiamo essere aiutati a farlo nel massimo rispetto del Pianeta.
L’identikit
Cinquantasette anni, faentino e titolare di un’azienda frutticola e viticola, presidente per oltre 20 anni della cooperativa Agrintesa di Faenza (leader a livello europeo nel comparto ortofrutticolo e vitivinicolo), Raffaele Drei è attualmente presidente del centro di ricerca Ri.Nova di Cesena e vicepresidente di Conserve Italia, il Gruppo cooperativo dei marchi Valfrutta, Cirio, Yoga, Derby Blue e Jolly Colombani. La sua elezione al vertice di Confcooperative Fedagripesca Emilia-Romagna è arrivata al termine dell’assemblea regionale che si è svolta il 20 maggio al Savoia Regency Hotel di Bologna davanti a 130 delegati.
Drei è stato eletto guiderà la Federazione regionale per i prossimi quattro anni, ricevendo il testimone dal presidente uscente Carlo Piccinini (vicepresidente della Cantina di Carpi e Sorbara), che ha completato i due mandati rimanendo in carica per otto anni.