Quella della sovranità alimentare è una partita che si gioca in Europa

Paolo De Castro non boccia il concetto di "sovranità alimentare" messo in risalto dal nuovo Governo, «a patto che sia declinato nel modo corretto»

Il nuovo nome, o meglio l’appendice al nome del ministero dell’Agricoltura voluta dal nuovo esecutivo formato da Giorgia Meloni, non è un’idea originale. Molto vicino a noi, in Francia, proprio il presidente Macron ha deciso che il dicastero guidato da Marc Fesneau si chiamasse Ministère de l'Agriculture et de la Souveraineté alimentaire. Ma il termine ha un’origine più antica. È stato coniato alla fine del secolo scorso dall’organizzazione internazionale di agricoltori “Via Campesina” e ripreso nei programmi di molti Paesi, dall’America Latina al Canada, oltre che dall’Onu e dalla Fao.

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Sono assolutamente a favore di questa scelta, a patto che il concetto di sovranità alimentare non sia sinonimo di autarchia o intenda in qualche modo tarpare le ali al commercio agroalimentare internazionale che vale 60 miliardi di euro l’anno per l’Italia e 200 per l’Unione europea. Deve essere invece inteso come difesa e tutela della sicurezza alimentare nazionale. Il percorso da fare è simile a quello che è stato intrapreso per ridurre la dipendenza dalle forniture di gas dalla Russia. La drammatica invasione dell’Ucraina da parte di Putin ci ha fatto capire bene quanto per alcuni prodotti, come i semi oleosi, l’Europa dipenda troppo dalle importazioni dai Paesi terzi. Quanto alle proteine vegetali, il Vecchio continente importa oltre l’80% della soia da Sudamerica e Stati Uniti. Cosa succederebbe se ci fosse qualche problema di fornitura?

A mio avviso dobbiamo prima di tutto aumentare la consapevolezza di questo problema. Se venissero a mancare i 400 milioni di tonnellate di soia che l'Europa acquista ogni anno dall’estero non si produrrebbe un solo litro di latte che serve per fare il Parmigiano Reggiano o il Grana Padano. Oppure non faremmo i prosciutti perché non avremmo un elemento importante per l’alimentazione dei suini. Quello che serve, quindi, è un piano strategico per le proteine vegetali: ne abbiamo parlato tante volte in Commissione Agricoltura al Parlamento europeo ma non è mai stato messo nero su bianco. Con la sospensione delle aree Efa abbiamo aumentato gli ettari disponibili per la coltivazione, ma ovviamente questo non basta.

I nostri agricoltori, se stimolati nel modo adeguato sono in grado di produrre in quantità e qualità. Prendiamo l’esempio del latte. Fino a qualche anno fa ne importavamo molto, oggi ne produciamo a sufficienza per il nostro fabbisogno e quasi quasi cominciamo a esportarlo. Questa è la prova di quanto sia dinamico il settore primario se messo nelle condizioni di aumentare la produzione.

Dal nuovo ministro mi aspetto che attui un gioco di squadra con la Commissione Agricoltura e con il Parlamento Ue per venire a capo delle criticità oggi più importanti: il nuovo Regolamento sui fitofarmaci e la revisione della Direttiva sulle emissioni industriali che tocca da vicino il settore zootecnico. C’è da correggere una posizione ideologica della Commissione. Non si possono paragonare le stalle a centrali nucleari, così come per ridurre l’utilizzo della chimica in agricoltura servono alternative concrete che consentano di continuare a coltivare. Penso alle nuove biotecnologie sostenibili, alle Tea, che nulla hanno a che vedere con gli Ogm. Faccio quindi il mio più sincero in bocca al lupo a Francesco Lollobrigida, perché lo attendono parecchie sfide a livello europeo che riguardano la sovranità alimentare italiana. La vera partita si gioca a Bruxelles.

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Quella della sovranità alimentare è una partita che si gioca in Europa - Ultima modifica: 2022-10-24T15:16:01+02:00 da Simone Martarello

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