Sul riparto dei fondi europei della transizione destinati allo sviluppo rurale, la Conferenza Stato-Regioni si è divisa ancora una volta. Anche l’ultimo tentativo di conciliare le due posizioni assunte dal blocco delle regioni del Centro-Nord e da quello del Sud e dell’Umbria, è andato a vuoto. La pausa di riflessione e di approfondimento chiesta dal ministro delle politiche agricole, Stefano Patuanelli, durante l’ultima riunione dell’organismo di consultazione multiregionale, non è servita ad avvicinare le posizioni tra i due schieramenti.
Il ministro ha provato ancora una volta ad ammorbidire la posizione dei difensori ad oltranza dei criteri storici. Ma evidentemente non è bastato. E così anche la nuova proposta ministeriale presentata, che ricalca in pratica quella precedente anche se con percentuali diverse, ha dovuto incassare il secco no dei governatori di Basilicata, Calabria, Campania, Puglia, Sicilia e Umbria.
Sei Regioni contrarie a ogni proposta alternativa
Dall’altra parte della barricata, com’è noto, ci sono tredici Regioni agguerrite e due Province autonome (Trento e Bolzano), che sostengono invece l’adozione di criteri “oggettivi” e la possibilità di intervenire sulla ripartizione dei fondi dello sviluppo rurale in base all’accordo raggiunto nel 2014. Accordo che prevedeva la disponibilità di tutte le Regioni a concordare modifiche ai criteri di ripartizione, in occasione della programmazione 2021-2026.
Come si ricorderà, l’ultima proposta bocciata dal blocco del Sud, prevedeva che per il 2021 la ripartizione avvenisse per il 70% sulla base dei criteri storici e per il 30% sulla base dei nuovi criteri definiti “oggettivi”, e che si basano con diversa ponderazione su cinque parametri: Plv, Sau, numero delle aziende agricole, superficie forestale e popolazione nelle aree rurali C e D. Per il 2022, invece, era stata proposta l’adozione dello stesso meccanismo, ma a proporzioni invertite.
Simile nell’impianto la nuova proposta del ministro, ma ancora una volta diversa nelle proporzioni: 90% sulla base dei criteri storici e 10% sui nuovi criteri per il 2021, 70% sulla base dei criteri storici e 30% sui nuovi criteri oggettivi per il 2022.
Dalle sei Regioni resistenti, e che da sempre sostengono l’adozione dei criteri storici, è arrivato un altro secco no, mantenendo così inalterata una posizione da molti definita addirittura “di rottura”.
Le carte a favore dello status quo
Ma a queste accuse di intransigenza, le sei Regioni rispondono con le carte. E tirano fuori la comunicazione del 3 marzo scorso, in cui il Commissario europeo all’Agricoltura, Janusz Wojciechowski, afferma che “le disposizioni del regolamento 1305/2013 relative alla ripartizione della dotazione nazionale del Feasr tra i programmi regionali non sono modificate dal regolamento 2020/2220 e si applicano anche durante il periodo di transizione”.
E non è tutto. Alla riunione del 21 aprile, infatti, è stata anche evidenziata la nota recentissima del Mef, a firma del ragioniere generale dello Stato Biagio Mazzotta, nella quale si afferma che “l’ammontare delle risorse assegnate al cofinanziamento nazionale dello sviluppo rurale per gli anni 2021-2022 dovrà essere quantificato secondo i criteri già definiti per la programmazione 2014-2020 dalla legge n.147 del 2013 (articolo 1, commi 240-241) e dalla delibera del Cipe n.10 del 2015”. Un ennesimo documento che non è stato affatto preso bene dalle Regioni del Centro-Nord che, adesso, sicuramente presenteranno al ministro le loro controdeduzioni.
Dopo l’ennesima fumata nera in Commissione Stato-Regioni, la palla passa ancora una volta al ministro delle Politiche Agricole. Toccherà proprio a Patuanelli presentare al Consiglio dei ministri la sua proposta di ripartizione dei fondi per lo sviluppo rurale. Impossibile prevedere la prossima mossa. Potrebbe confermare l’ultima versione portata in Conferenza Stato-Regioni, oppure farne una nuova. Non c’è da invidiarlo: comunque vada, si farà dei nemici.