Il testo unificato del progetto di legge per contrastare lo spreco alimentare recentemente approvato alla Camera, riprende diverse proposte di legge presentate negli ultimi mesi da tutte le forze politiche presenti in Parlamento.
Segno che il tema è molto sentito nel Paese, così come in Europa e nel mondo in particolare dopo l’inserimento dello stesso nella Carta di Milano per Expo 2015.
In attesa che si esprima il Senato si può dire che il progetto di legge raccoglie molte delle istanze espresse negli ultimi anni dai principali attori che, a vario titolo, nella filiera agroalimentare si occupano del recupero e della prevenzione delle perdite e degli sprechi.
Anche se non in modo esplicito nel testo di legge, è importante fare queste distinzioni.
Nella filiera bisogna distinguere ciò che si perde per varie cause, come ad esempio nel post-raccolta o nella conservazione, e si tratta essenzialmente di una questione di tecnologia o di organizzazione, da ciò che si spreca, soprattutto nelle economie domestiche, questione legata al comportamento del consumatore.
Così è altrettanto importante distinguere fra il recupero del cibo che si perde in qualche modo negli anelli della filiera, in particolare quelli commerciali, da destinare agli indigenti e la prevenzione che riguarda sia le imprese che il livello domestico.
Peraltro ciò che si spreca a casa non è recuperabile in nessun modo, diventa anzi un rifiuto che va smaltito con un doppio costo: economico e ambientale.
Per avere un’idea nel nostro Paese lo spreco domestico conta per oltre il 50% di quanto si perde negli altri anelli della filiera. Del resto è la stessa Europa che nella gerarchia dei rifiuti mette al primo posto la prevenzione.
Il miglior rifiuto, e per analogia il miglior spreco (prodotto ancora consumabile dall’uomo), è quello che non si fa.
In Italia secondo le indagini di Waste Watcher, l’osservatorio nazionale sullo spreco domestico, il valore di quanto cibo ancora buono si butta nella spazzatura è in una forbice compresa fra i 12 e i 13 miliardi di euro l’anno.
Una somma pari a una manovra finanziaria, che oltretutto non tiene conto del costo dello smaltimento dei rifiuti e del capitale naturale e umano utilizzato per la produzione agricola e alimentare.
Ciò detto il testo di legge interviene sia sul recupero che sulla prevenzione. In particolare sul recupero recepisce molte delle richieste contenute nel Piano nazionale di prevenzione degli sprechi alimentari (Pinpas) del Ministero dell’Ambiente, approvato nel 2013, sburocratizzando la raccolta da parte delle organizzazioni deputate e incentivando la donazione con uno sconto sulla tassa rifiuti, così come richiede l’introduzione dell’educazione alimentare nelle scuole e la predisposizione di una campagna di sensibilizzazione prendendo spunto da quella lanciata da Last Minute Market al Parlamento europeo nel 2010 (Un anno contro lo spreco), non istituzionale ma partita dal basso raccogliendo poi con la carta Spreco Zero l’adesione di centinaia di sindaci italiani.
Bisogna tuttavia che la legge si ponga degli obiettivi concreti e misurabili di riduzione degli sprechi allineati all’Europa.
Si tratta cioè di fissare un anno di riferimento e delle percentuali nei vari anelli della filiera.
La lettura al Senato potrebbe essere l’occasione per inserire questi obiettivi.
Altrimenti rimarrà una carta di buone intenzioni.
di Andrea Segrè
Presidente Fondazione Edmund Mach-Istituto Agrario di San Michele all’Adige