Seminare o non seminare? Questo è il dilemma.
Parafrasando William Shakespeare, questo dubbio amletico tormenta molti agricoltori italiani.
Il problema riguarda marginalmente gli agricoltori della Pianura Padana, dove le alternative colturali sono molteplici. Ma al centro-sud Italia, dove i seminativi permettono poche alternative alla rotazione tra grano duro, oleaginose e leguminose, gli agricoltori si stanno interrogando, in vista delle prossime semine autunnali.
I prezzi dei cereali e delle oleoproteaginose ora sono talmente bassi che la redditività dei seminativi è vicina allo zero, se non addirittura negativa. Si potrebbe pensare che questa situazione sia un fenomeno congiunturale – come molti sperano – e che i prezzi risalgano nel 2017. Ma nei prossimi mesi la situazione non migliorerà, visto che il mercato mondiale continua a ristagnare, dominato dalla constatazione di grandi raccolti in Nord America, e non trova motivi per invertire la tendenza.
Osservando le crisi dei cereali (2004 e 2009) vediamo che i prezzi sono risaliti dopo due anni. Se così fosse, possiamo attenderci una ripresa a giugno 2018.
La causa dell’attuale crollo dei prezzi è l’eccesso di produzione, quest’ultimo dovuto a due motivi: clima favorevole e aumento delle superfici.
La volatilità, o meglio l’incertezza, dei mercati è un fenomeno strutturale e non congiunturale, poiché i mercati sono globali e le politiche di stabilizzazione (ammasso pubblico, set aside, esportazioni sovvenzionate) sono state abbandonate già da 10 anni.
Quindi se vogliamo continuare a fare gli agricoltori, è necessario trovare strategie di successo in condizioni di incertezza.
Cosa fare?
In primo luogo, occorre un’attenta valutazione economica della situazione aziendale. Quanto mi costa la coltura? E quanto una tonnellata di prodotto? A quanto ammontano i costi fissi e variabili? Solo i conti economici permettono di avere elementi per fare scelte.
I conti però vanno fatti sulla media di cinque anni, non su uno-due anni. Ad esempio, se osserviamo i prezzi medi degli ultimi cinque anni, il grano duro non ha tradito le attese, attestandosi a circa 270 euro/t. Se, come media di 5 anni, i conti economici sono negativi, occorre cambiare strategia aziendale. Ci sono alternative, bisogna cercarle, imitando gli agricoltori più innovativi; in alcuni casi, bisogna anche decidere di smettere l’attività agricola.
In secondo luogo, bisogna gestire la volatilità dei prezzi organizzando l’offerta: aggregazione del prodotto, accorciamento della filiera, contratti. Questa strategia attenua la volatilità, anche se non la elimina, e consente all’agricoltore la certezza del collocamento del prodotto e una fissazione anticipata del prezzo o dei criteri per la sua definizione.
Poi, bisogna anche dialogare e gestire meglio le relazioni di filiera, affinché l’agricoltore possa recuperare valore aggiunto nella catena del valore. In questa l’agricoltore ha poco peso, e tale situazione contrasta con l’organizzazione dell’offerta: contratti e aggregazione (in cooperative o OP). Sempre facendo i conti su un arco di cinque anni.
Il futuro passa attraverso la lettura attenta della realtà (è già un bel segnale che gli agricoltori si chiedano se seminare o no!). È un periodo di grande selezione; molti si troveranno in difficoltà, ma le imprese, quelle vere, troveranno il modo di far evolvere i processi di produzione e gestire il mercato.
Anche la politica può aiutare, incentivando i contratti e l’organizzazione dell’offerta. Invece succede spesso che i politici scendano in piazza a protestare a fianco degli agricoltori, assecondando la “pancia” di questi, ma poi non fanno nulla e non cambia nulla.
Le crisi sono ricorrenti e non vanno subìte, ma prevenute e gestite dagli agricoltori, magari con il sostegno della politica.
Dopo aver fatto i conti e aver organizzato l’offerta, si decide se seminare, non seminare o cambiare strategia aziendale.
di Angelo Frascarelli
Università di Perugia
angelo.frascarelli@unipg.it