I “conti” dell’agricoltura oggi non tornano e non è solo un problema di bilanci, ma anche di sostenibilità del comparto. Il ricambio generazionale nel settore primario stenta a decollare e vacilla il presidio del territorio, soprattutto nelle zone interne, perché di fatto, per molti, non è più economicamente conveniente mantenere l’azienda agricola.
Quali interventi per scongiurare questa parabola negativa?
In primis, ricalibrare subito la Pac riscrivendo alcuni passaggi cruciali che si stanno rivelando inadatti a costruire un modello vincente per l’agricoltura del nostro Paese.
La Pac, che nasce con una precisa ratio, sta andando contro la sua missione originaria, ovvero salvaguardare il reddito degli agricoltori, garantire cibo sano ed equo alla popolazione, incentivare il rilancio delle aree rurali e favorire l’ingresso di addetti e imprenditori nel settore.
Una riforma come quella attuale, non all’altezza delle istanze e dei bisogni delle realtà imprenditoriali agricole, non ci serve quindi, anzi rischia di affossarci. Per questo, la prossima revisione di medio termine della Pac rappresenta una chance da cogliere senza indugi. Non basta un semplice “restyling” di questo quadro normativo, ma è necessario “riaprire” i regolamenti di base. È questa la strada da seguire se si vogliono mettere le imprese nella condizione di accedere più agevolmente agli strumenti finanziari, crescere e rimanere sul territorio, e più in generale, per assicurare agli agricoltori, italiani ma anche europei, un futuro stabile e certo.
Poi c’è l’aspetto legato a commercializzazione del prodotto e redditività dell’impresa agricola: non è pensabile continuare con lo schema attuale, che vede riconosciuti in media solo 10 centesimi all’agricoltore per ogni euro creato nella filiera del valore. Servono accordi diversi da quelli odierni con garanzie di equità nella distribuzione dell’utile. Il Governo deve sovraintendere tale processo e varare misure di vigilanza per il reale rispetto delle regole.
Allargando il discorso sul tema della commercializzazione e del mercato, sarà dirimente seguire con attenzione l’approdo del TTIP. Con quel trattato, se otterremo il riconoscimento dei nostri standard produttivi e qualitativi come nel caso delle indicazioni geografiche, potremo sul serio contrastare l’italian sounding, che sottrae grandi spazi ai nostri prodotti. Al contempo, occorre attivare sinergie con i Paesi dell’area nordafricana, ma devono essere frutto di trattative e regole.
In ultimo, c’è l’annosa questione “burocrazia e sprechi”. Basterebbero poche mosse per garantire un effettivo risparmio economico, con la possibilità di reinvestire nel settore queste risorse.
Un esempio per tutti: una riduzione del 25% del carico dell’apparato burocratico, che nel nostro Paese pesa per il 4,5% sul Pil, può determinare un taglio di oltre 5 miliardi di euro. In questa direzione è positivo anche l’impegno, in parte già assunto dal Governo, per la razionalizzazione di enti, società e agenzie collegate al Ministero delle Politiche agricole.
La riforma degli enti agricoli è prioritaria, tanto che calcolammo il loro costo in 363 milioni di euro. Riordinare vuol dire recuperare efficienza. Vuol dire andare sulla strada di una maggiore semplificazione, a tutto vantaggio delle imprese agricole.
Per questo risulta inaccettabile sapere che c’è ancora da qualche parte, e neanche troppo “sottotraccia”, la volontà di rimettere in piedi strutture e sovrastrutture che la storia ha già bollato come fallimentari.
di Dino Scanavino
Come sempre l’analisi è perfetta, come sempre i punti individuati tra le criticità sono quelli giusti;
di tutti questi problemi non ne verrà risolto uno, anzi alla burocrazia verrà aggiunta altra burocrazia, al già misero reddito sarà sottratto ancora qualcosa, come sempre appunto. Non è pessimismo è storia:
Mauro Baldacci