L’innovazione che vogliamo di Beatrice Toni
Italia leader in Europa per l’utilizzo dell’agricoltura di precisione. Le tecnologie dell’efficienza, agricola e non. Satelliti, droni e dintorni. Lo slogan lo lancia il ministro dell’Agricoltura Maurizio Martina che annuncia un tavolo tecnico per scrivere il primo piano nazionale ad hoc. La benzina verrà dai Psr (1 miliardo di euro di qui al 2020); da prestiti agevolati fino al 100% delle spese grazie a convenzioni Regioni-Organismi pagatori-Abi. Le strategie tecniche le fornirà la ricerca del nascituro Crea e delle università in partnership virtuosa con la tecnologia dei privati. La promessa è il varo a fine anno.
Dunque iniziativa pubblica e strumenti finanziari per aumentare o ridare competitività alle imprese. La partita in realtà non è solo o semplicemente tecnologica.
L’innovazione dovrebbe essere una politica ed essere anzitutto diffusa; detto più chiaramente: non solo per pochi. Dovrebbe qualificare le imprese: studiamo come. Dovrebbe incentivare, fra l’altro (e non solo naturalmente), quei piccoli laboratori ambulanti del rinnovamento che già fanno precision farming: sono i contoterzisti. Perché i Psr ancora li ignorano?
L’innovazione (la politica per) dovrebbe accelerare su internet: veloce e ovunque nei campi. Non solo per elaborare dati tecnici (a proposito, parliamo di proprietà di quei dati!), anche per tagliare la palude burocratica anziché moltiplicarla.
L’innovazione dovrebbe andare, semplicemente, verso le imprese per aiutarle a crescere. L’ultimo tassello è quello dei mercati al momento poco premianti: più aperti, più trasparenti? Magari.
Altrimenti confonderemo le tecnologie (gli strumenti) con le soluzioni. O lasceremo l’iniziativa in altre mani: potrebbe essere un bene? Non ne siamo affatto certi.
Ricerca di...concretezza di Dario Casati
Economista Agrario, Università di Milano
Agricoltura di precisione, improvvisamente sembra la scelta che metterà d’accordo tutti: produttori di mezzi tecnici, agricoltori, consumatori, ambientalisti, carta stampata e, perché no, anche politici. Gli agricoltori veri scuotono la testa: dov’è la novità? Punta sulla specificità di ogni contesto, vuole analisi del terreno, delle colture, dei nutrienti, delle avversità, dell’umidità per arrivare a ottimizzare il profitto, la sostenibilità. Insomma, quello che il buon agricoltore ha sempre fatto.
Ma la realtà non è così semplice. Perché richiede satelliti e droni, mezzi di produzione adatti e ben calibrati alla coltivazione in un certo luogo, raccolta ed elaborazione dati con un buon software. Una miscela di ingredienti, in parte nuovi, in parte meglio usati, complessivamente costosi. Buoni per alcuni, ma non per tutti.
È innovazione di processo di tipo addizionale, non un processo nuovo. Richiede investimenti e dimensioni aziendali adeguate, merce rara nell’agricoltura italiana. Ben venga la ricerca per cui il Ministro annuncia un piano specifico, ma quella vera che l’agricoltura aspetta da decenni: che innova i prodotti, che ne migliora qualità e produttività, che dà redditi più elevati, con un rapporto più equilibrato con le risorse impiegate.
Una ricerca che non ha bisogno di piani, ma di concretezza: negli obiettivi e nelle verifiche dei risultati. Non basta ottimizzare l’esistente, serve innovare processi e prodotti.