«Quando affermiamo che un alimento è ricco di qualche composto benefico o utile per la nostra alimentazione, lo facciamo sulla base dei dati di analisi emersi in laboratorio».
«Ciò comporta una notevole responsabilità per chi produce quei dati, e rende necessario un costante lavoro di miglioramento dei metodi di analisi, perché possano offrire informazioni sempre più attendibili e aderenti alla realtà».
«Perciò anche per i microortaggi (o microgreens), un piccolo “scrigno” di nutrienti, i ricercatori hanno ravvisato la necessità di fare un lavoro accurato per mettere a punto un metodo di analisi dei carotenoidi, di cui queste piantine sono molto ricche».
È così che Pietro Santamaria, docente di Orticoltura del Dipartimento di Scienze agro-
ambientali e territoriali (Disaat) dell’Università di Bari, presenta un recente lavoro pubblicato sulla rivista Foods da un gruppo di ricerca costituito, oltre che da lui, da Vito Michele Paradiso, Maria Castellino e Francesco Caponio del Dipartimento di Scienze del suolo, della pianta e degli alimenti (Disspa) dell’Università di Bari e da Massimiliano Renna dell’Istituto di Scienze delle produzioni alimentari (Ispa) - Cnr di Bari.
Alto contenuto di micronutrienti e composti bioattivi
Tradizionalmente utilizzati per guarnire piatti gourmet, i microortaggi sono stati riconsiderati negli ultimi anni come ingredienti di base in diversi tipi di piatti nonché per il loro potenziale nel migliorare le diete umane a causa del rilevante contenuto di micronutrienti e composti bioattivi, inclusi i carotenoidi.
«I carotenoidi sono tra i fitochimici presenti nei microortaggi in quantità considerevoli e possono essere significativamente influenzati da vari fattori endogeni ed esogeni».
«I carotenoidi sono una delle principali classi di sostanze fitochimiche e la loro importanza nella dieta non è legata solo al ruolo di precursori della vitamina A, ma anche alle attività antiossidanti anti-tumorali e al ruolo nella regolazione della funzione genica, nella comunicazione gap-junction e ormone e modulazione immunitaria. Inoltre, non possono essere sintetizzati dagli animali e devono essere consumati attraverso la dieta. In tale contesto, le fonti vegetali di carotenoidi stanno ottenendo un grande interesse».
I carotenoidi nei microortaggi
Diversi articoli, aggiunge Vito Michele Paradiso, hanno valutato il contenuto di carotenoidi in microortaggi, riportando risultati che variano in una vasta gamma. «A tal fine, indipendentemente dalle concentrazioni assolute, le foglie verdi mostrano un pattern carotenoide qualitativo abbastanza costante, indicato come un pattern carotenoide cloroplastico, con:
- luteina (circa 45%),
- β-carotene (25-30%),
- violaxantina (10%),
- neoxantina (10%).
«Questi erano i carotenoidi più rappresentati. La lattucaxantina è un altro importante carotenoide nella lattuga. In particolare la luteina, la xantofilla più rappresentata, è stata determinata in microortaggi di genotipi diversi e coltivata in condizioni diverse in quantità che vanno da 13 a 191 mg/kg in peso fresco. Nella maggior parte dei casi questi contenuti sono molto più alti di quelli osservati nella frutta e verdura comuni».
«Quantità eccezionalmente più elevate (da 105,7 a 503,5 mg/kg, con un contenuto medio di 291,6 mg/kg di luteina) sono state rilevate in microortaggi di Brassicaceae coltivate in diverse condizioni di illuminazione. Per quanto riguarda il β-carotene, il carotene più abbondante, gli intervalli osservati in letteratura sono ancora più ampi: da 0,11 a 121 mg/kg. L’ampia gamma del contenuto di carotenoidi nelle verdure può essere spiegata dalla variabilità genetica (biodiversità all’interno e tra le specie), nonché da diverse condizioni di crescita».
Le questioni analitiche nell’estrazione dei carotenoidi
Tuttavia, rimarca Santamaria, le questioni analitiche, in particolare nell’estrazione dei carotenoidi, non devono essere ignorate. «I carotenoidi sono facilmente degradabili da diversi fattori e mostrano una diversa affinità con i solventi di estrazione, a causa della loro ampia gamma di polarità. Ad esempio le xantofille, essendo molecole ossigenate, possono essere estratte con solventi polari come alcoli, acetone e miscele di acetone/acqua, mentre i caroteni sono più facilmente estratti da solventi non polari».
«Pertanto, a seconda del solvente di estrazione adottato, potrebbe essersi verificata una possibile sottovalutazione di alcuni carotenoidi, come in alcuni studi in cui è stato usato acetone acquoso all’80% come solvente di estrazione. Inoltre, alcuni fenomeni sottovalutati (degradazione, isomerizzazione) potrebbero verificarsi anche quando la procedura di estrazione prevede estrazioni notturne o alcune fasi analitiche, come la saponificazione, destinate a diversi schemi carotenoidi (ad esempio esteri di carotenoidi di frutta) o metodi di rilevamento (ad esempio spettrofotometria diretta senza separazione cromatografica)».
Scopo dello studio, creare un’estrazione ottimizzata di carotenoidi
L’analisi dei carotenoidi è quindi problematica, a causa della loro suscettibilità termica e chimica, nonché della loro diversa polarità.
«Da tale punto di vista, l’estrazione è il passo più critico, rispetto alla separazione e alla rilevazione cromatografica – sottolinea Paradiso –. Pertanto l’affidabilità dei dati sui carotenoidi dovrebbe essere garantita da una costante attenzione alle problematiche analitiche, con adeguati adattamenti a ciascuna matrice di campioni. Partendo da tali osservazioni, lo scopo dello studio è stato creare un’estrazione ottimizzata di carotenoidi focalizzata su microortaggi di lino e di lattuga come matrice alimentare specifica. L’obiettivo generale è stato valutare criticamente la composizione del solvente, gli effetti della polarità del solvente, il tempo di estrazione, il rapporto solvente/campione e le estrazioni ripetute. Il protocollo messo a punto permette un recupero del 97,2% e limiti di rilevabilità di 5,2 µg/g per la luteina e di 15,9 µg/g per il ß-carotene».