«Durante questo momento di restrizione sanitarie per il coronavirus possono uscire tutti gli apicoltori che hanno regolarmente denunciato i loro alveari all'Anagrafe Apistica Nazionale. Chi non l'ha fatto risulta fuori-legge, passibile di una multa fino a 4mila euro». Così Raffaele Cirone, presidente del Fai (Federazione apicoltori italiani), sgombra ogni dubbio sulla possibilità di movimentazione dei produttori apistici, ovviamente sempre per indifferibili esigenze lavorative come accade per altri comparti. Anche i produttori di miele fanno parte dell'#AgricolturaCheResiste.
Con una precisazione importante: «chiamare hobbista l’apicoltore è sbagliato, perché non è una figura riconosciuta da una norma e quindi, non essendoci riconoscimento giuridico, il termine non va usato».
Come spiega Cirone, sono tre le categorie riconosciute di apicoltori:
- l'apicoltore inteso come colui che detiene e conduce alveari;
- l'imprenditore apistico, inteso come colui che opera ai sensi dell'articolo 2135 del Codice civile;
- l'apicoltore professionista, inteso come colui che opera a titolo principale.
Quali sono i documenti che ne attestano l’attività ovvero l’appartenza al codice ateco 01 che è quello che comprende l’agricoltura? «Il titolo di "apicoltore" è riservato - risponde il presidente Cirone - a chi detiene e conduce alveari e ciò comporta sempre l'obbligo di denuncia alla Banca Dati dell'Anagrafe apistica nazionale istituita dal ministero della Salute di concerto con il ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali. Questa attività è attestata da uno specifico certificato di iscrizione».
Chi possiede alveari è un allevatore
Questa situazione, come spiega sempre Cirone, deriva dalla legge n. 313 del 2004 che disciplina l’apicoltura e introduce il principio che la conduzione zootecnica delle api, denominata "apicoltura", sia considerata a tutti gli effetti un’attività agricola ai sensi dell'articolo 2135 del codice civile, anche se non correlata necessariamente alla gestione del terreno.
«Ci sono ovviamente regioni o aree con restrizioni particolari - ha fatto sapere ancora il presidente del Fai - dove comunque gli apicoltori che hanno alveari al loro interno possono far accesso con specifiche autorizzazioni dei prefetti o i sindaci dei Comuni competenti. In Calabria, in particolare, ci sono restrizioni ulteriori per gli apicoltori conseguenti l'emergenza sanitaria veterinaria dovuta alla presenza del parassita esotico Aethina tumida. Si tratta di restrizioni già vigenti prima dell'avvento dell'era Covid-19».
Ecco la consistenza del patrimonio apistico nazionale
Il patrimonio apistico nazionale è il frutto del censimento, condotto dal ministero della Salute, di tutti coloro che detengono e conducono api; persone fisiche e giuridiche che al 31 dicembre 2019 risultavano essere n. 56.665 (di cui n. 38.464 in produzione per autoconsumo e n. 18.201 in produzione per commercializzazione) per un totale di n. 1.835.776 colonie (di cui n. 1.579.666 alveari e n. 256.110 sciami o nuclei).
«È grazie a questo importante patrimonio apistico nazionale - aggiunge ancora Cirone - che nel nostro Paese, viene assicurato un capillare e indispensabile servizio di impollinazione alla biodiversità vegetale e all'intera filiera ortofrutticola, sementiera e agroalimentare italiana».
Apicoltori avvantaggiati rispetto a chi produce pomodori nell'orto?
Se tutti gli apicoltori, quindi, possono uscire per esercitare la loro professione di allevatore, anche quelli che non hanno partita Iva, si può affermare che siano avvantaggiati rispetto all’agricoltore che produce per autoconsumo? Ma siamo sicuri che, in base al dpcm del 22 marzo 2020, in questo momento di emergenza coronavirus, l'hobbista, ossia colui che ha l'orto, e che ovviamente produce per autoconsumo (ne sono piene le campagne), non possa muoversi? E come sarà per quello che ha un pollaio fuori-città e ovviamente non ha la partita Iva? Gli muoiono tutte le galline perchè non può accudirle? La differenza la fa l'iscrizione, forse, alla Banca Dati dell'Anagrafe apistica nazionale.
Una riflessione specialmente sulla ultima parte dell’ articolo: io sono un apicoltore amatoriale e detengono le arnie per motivi di studio e di impollinazione (sono uno studente in agraria). È assurdo dover abbandonare la campagna (posseggo 200 piante di olivi, 50 alberi da frutto e un apprezzamento di vigneto) in un momento così importante,dove si richiedono cure culturali non rinviabili e l’andamento stagionale richiede irrigazioni di soccorso. Oltretutto molti come sono impossibilitati ad effettuare lavorazioni per gli orti estivi,con pesanti ripercussioni sui bilanci familiari… mi è stato detto che senza partita Iva non si può fare: in campagna altro che distanze di sicurezza di 1.8 metri fra le persone! Come se poi un infezione virale facesse distinzione fra partite Iva o giuste motivazioni: qui serve il non senso… va bene camminare entro 200 metri da casa dove incontro 60 persone,ma in mezzo a un campo sono pericoloso….
Gentile lettore, l’applicazione difforme dei decreti #IoRestoaCasa ha determinato spesso l’elevazione di sanzioni o l’inibizione dello svolgimento dell’attività lavorativa dalle Forze dell’Ordine per chi si trova nelle condizioni che descrive. Al proposito segnalo i numerosi successivi articoli con cui Terra e Vita si è occupata di questo tema e in particolare, nell’eventualità di dover ricorrere contro le sanzioni, l’articolo raggiungibile da questo link https://terraevita.edagricole.it/leggi-e-fisco/agricoltori-professionali-e-hobbisti-sanzionati-quali-chance-per-un-possibile-ricorso/