Problemi agronomici nei campi e sanitari nelle stalle. Costi che superano i contributi concessi a ettaro e a capo. Riduzione della produttività e forti perplessità sui reali benefici ambientali che le pratiche adottate possono portare. Ma anche poca chiarezza delle norme e incertezza sui pagamenti, variabili in base alle superfici coinvolte. Alcuni tra i più importanti docenti universitari riuniti a Fieragricola in occasione del convegno “Un anno di ecoschemi: criticità e soluzioni per applicarli al meglio”, organizzato da Edagricole, hanno sonoramente bocciato almeno quattro dei cinque “Regimi per il clima e l’ambiente” costruiti dall’Italia e inseriti nel Piano strategico nazionale della Pac 2023-2027.
Il quinto, (l’eco 3 sulla salvaguardia degli olivi di valore paesaggistico), è stato “rimandato” perché a differenza degli altri non crea problemi agronomici (ma secondo qualcuno aumenta il rischio incendi), però ci sono forti dubbi sulla reale utilità ambientale delle pratiche che prescrive.
Un giudizio, quello espresso da alcuni tra i maggiori esperti delle materie coinvolte negli ecoschemi, che arriva dopo le perplessità già manifestate due anni fa sulle bozze degli impegni previsti, sempre durante un partecipatissimo convegno svoltosi alla kermesse di Verona. Una posizione netta, che legittima le manifestazioni di protesta degli agricoltori contro la Pac 2023-2027 iniziate dallo scorso dicembre in vari Paesi d’Europa e da metà gennaio un po’ in tutta Italia. Cortei e presidi destinati a proseguire anche nelle prossime settimane.
Qualche consiglio per applicarli al meglio
Però, fino al 2027 gli agricoltori italiani dovranno fare i conti con gli ecoschemi, ai quali, come imposto dall’Ue, sono stati destinati il 25% delle risorse della Pac (887,8 milioni di euro l’anno per cinque anni, quindi 4,44 miliardi di euro), l’incontro è servito anche per cercare di fornire alcuni consigli su come applicarli al meglio e soprattutto per stilare un elenco di modifiche da chiedere al Masaf per renderli più aderenti alle caratteristiche dell’agricoltura del nostro Paese.
Non è possibile aspettare il 2027, il problema è oggi o non serve.
Troppo restittiva
Riforma cervellotica, quella attuale, ed altamente dispersiva, almeno quanto concerne l’impegno, significativo, degli agricoltori commisurato ai loro esigui vantaggi.
Vorrei semplicemente sperare che servisse “da lezione” per coloro che in un prossimo futuro si troveranno a dover stabilire le nuove regole. Giusto perseguire la tutela della salute e dell’ambiente, ma c’è un discrimine che andrebbe considerato ed è, a mio avviso, il rapporto COSTI/BENEFICI.
Gli agricoltori protestano perchè, nonostante gli “aiuti” la sostenibilità del settore in molti suoi comparti è nulla. E chiedono una equa redistribuzione dei ricavi lungo una filiera che li vede sempre, desolatamente , ultimi stante un modestissimo potere contrattuale e solo beneficiari di quel che resta dopo che tutti (anche nell’ambito delle cooperative che li rappresentano, a loro volta schiacciate dallo strapotere delle GDO) hanno avuto riconoscimenti per le loro capacità, competenze, costi.
Tutti meno loro… Così non può continuare.
Se ci fosse lungimiranza e saggezza, al di là delle norme, basterebbe un “Patto di filiera” nel cui ambito a tutti fosse riconosciuto quel minimo costo di produzione (pur difficile da individuare) inutilmente invocato ed oggetto di una specifica legislazione europea , in Italia sporadicamente applicata.