A meno che non si verifichino eventi eccezionali e imprevedibili, nel breve e medio periodo le quotazioni dei principali seminativi non saliranno. Quindi gli agricoltori italiani dovranno abituarsi a competere in questo scenario, sempre più influenzato dal contesto internazionale. Una situazione nella quale ci sono sempre meno margini di errore, pena la perdita anche di quella poca redditività che soia, frumento e mais sono in grado di garantire a chi li coltiva. Questo in estrema sintesi il messaggio lanciato da Bologna durante la riunione commerciale del comitato di Anb Coop, alla quale hanno partecipato tutti i principali rappresentanti delle filiere del Nord e del Centro Italia.
Quest'anno le superfici seminate a soia e grano duro sono in calo, mentre quelle a mais, che negli anni scorsi sono scese sotto la soglia psicologica dei 600mila ettari, fanno registrare una crescita del 2%.
Le ricette proposte per cercare di resistere alle pressioni sempre più forti esercitate dai prezzi bassi sono quelle ormai note: stipula di accordi di filiera, innovazione tecnologica e varietale per ridurre i costi e aumentare le rese, ma anche il riaccorpamento della proprietà agricola, dato che la superficie media delle aziende italiane supera di poco i tre ettari.
Soia, prezzi bassi e superfici in calo
Nulla di nuovo sul fronte della soia. Le quotazioni sono e resteranno basse «a meno che non ci siano due raccolti consecutivi che vanno male o un aumento della richiesta dell'industria» ha spiegato il presidente di Assitol Marcello Del Ferraro. Per ora il mercato internazionale è stabile quindi non è lecito aspettarsi variazioni importanti. La concorrenza del prodotto dell'Est Europa si fa sentire e non è facile collocare sul mercato la farina.
«In Italia quest'anno si prevede un calo di circa il 20% della superficie seminata a soia rispetto al 2018 - ha sottolineato Del Ferraro - in gran parte sostituita con il mais: saranno quindi 290-300mila ettari, contro i 370mila dell'anno scorso, sommando primo e secondo raccolto».
Questo scenario è in controtendenza rispetto al recente passato che aveva visto gli imprenditori agricoli credere nella leguminosa. Ma le rese poco soddisfacenti per problemi meteorologici o per l'attacco della cimice asiatica (1.100.000 tonnellate il raccolto 2018), uniti a una redditività scarsa, stanno facendo ricredere i coltivatori. «Di positivo c'è che per ora il clima del 2019 è molto simile a quello del 2014 - ha detto Del Ferraro - ultima annata in cui le rese furono buone».
Grano duro, per ora tutto fermo ma...
Le scorte nordamericane sono abbondanti e di alta qualità, perciò si prevede un calo della produzione statunitense e canadese dovuto a minori semine, ma questo non avrà effetti sui prezzi. In Europa la situazione per ora è stabile, ma potrebbe diventare critica nel giro di 12-15 mesi se continueranno a diminuire le superfici dedicate e con loro gli stock, dato che le semine scendono a un ritmo superiore al calo dei consumi. Ma per il frumento duro siamo quasi di fronte a un paradosso, perché se i prezzi non stimoleranno la coltivazione, nella campagna 2020/21 nel Vecchio continente potranno esserci problemi di approvvigionamento.
A scattare questa istantanea sulla situazione del grano duro è Nicolas Prevost, della società francese Durum. «Negli ultimi anni gli agricoltori italiani sono rimasti delusi dalla bassa qualità del prodotto e dai prezzi - ha ricordato Prevost - quindi si sono allontanati da questa coltura, ma se la tendenza continuerà potrebbero esserci problemi. Anche perché per il 2019 si prevede un calo della produzione mondiale dell'8,5%».
In Francia la situazione è simile all'Italia: si prevedono rese medie e per una buona qualità si spera che diminuiscano le piogge. Nel sud del Paese il duro sta perdendo terreno a scapito del grano tenero, che in questo momento garantisce guadagni maggiori.
Mais, il mercato tira ma i prezzi restano al palo
A livello mondiale i consumi di mais sono in crescita e le giacenze calano. Nonostante ciò i prezzi non salgono. Le cause sono due: la situazione meteorologica negativa nel Corn Belt e le tensioni tra Usa e Cina. In Europa la domanda è sostenuta (+16% nel 2018), trainata dall'alimentazione zootecnica, quindi aumentano le importazioni che hanno da poco superato i 20 milioni di tonnellate e si prevede arriveranno a 21,5 milioni entro l'anno. L'anno scorso l'Italia è scesa sotto i 600mila ettari di superficie coltivata a mais (591mila), ma quest'anno c'è una lieve ripresa (2%).
«In Italia i maiscoltori devono affrontare anche i problemi legati a piralide e aflatossine - ha ricordato il presidente di Ami Cesare Soldi - che uniti ai vincoli sulla genetica rendono più complicato competere con produttori di Paesi dove le regole sono diverse».
Soldi ha ricordato come a dicembre 2018 si sia insediato il tavolo tecnico ministeriale sul mais che sta lavorando sull'orientamento della produzione per fare in modo che sia più attinente alle richieste del mercato, sul miglioramento dell'immagine del mais agli occhi dei consumatori e sul recupero di competitività con l'aumento delle rese e la riduzione dei costi, obiettivi ottenibili con l'introduzione di nuove varietà. Un altro fronte su cui lavorare è quello comunitario, per fare in modo che la Pac sostenga maggiormente il settore. Per ora l'unico modo per spuntare una redditività più alta sono gli accordi di filiera.
Gambi, (Anb): «Agricoltori impegnati per un'agricoltura di qualità»
«Negli ultimi anni l'agricoltura italiana ha fatto passi da gigante, ci sono molte imprese professionali che utilizzano al massimo la tecnologia e fanno di tutto per restare in questo mercato sempre più difficile. Quindi il mondo industriale dovrebbe tralasciare per un momento le criticità, per concentrarsi sul miglioramento dei rapporti commerciali con i produttori che per come sono organizzati oggi spesso non aiutano il mondo agricolo». Così il presidente di Anb Coop Enrico Gambi ha commentato i dati sullo scenario dei seminativi in Italia, in sostanza aggiungendo un tassello a un puzzle piuttosto complicato.