Tutti gli ostacoli alla diffusione dell’agricoltura digitale

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Produzione, industria e politica riunite attorno a un tavolo concordano sul fatto che l'agricoltura italiana ha bisogno di un programma di sistema per vincere la sfida della digitalizzazione e dell'internazionalizzazione

Ridotte dimensioni aziendali, difficoltà a creare reddito e quindi capitale da investire in innovazione, digital divide, mancanza di competenze per utilizzare in pieno i nuovi strumenti, poca spinta nello sviluppo delle filiere agroalimentari, età avanzata degli imprenditori agricoli. Ma anche burocrazia, scarsi investimenti in ricerca, problemi di accesso al credito e ritardi nei pagamenti dei fondi Psr. Questi i principali ostacoli alla diffusione dell'agricoltura 4.0 in Italia di cui si è discusso al convegno “Agricoltura Futura, tra strumenti e nuove tecnologie”, organizzato da Confagricoltura Emilia Romagna al Granarolo Auditorium di Bologna.
Tanti i temi toccati durante la tavola rotonda a cui hanno partecipato il primo vicepresidente della commissione Agricoltura del Parlamento europeo Paolo De Castro, il parlamentare europeo e membro della commissione Agricoltura Herbert Dorfmann, l'assessore all'Agricoltura della Regione Emilia-Romagna Simona Caselli, il deputato della Lega e suinicoltore Guglielmo Golinelli, il presidente di Granarolo Giampiero Calzolari, il presidente nazionale di Confagricoltura Massimiliano Giansanti e quello dell'Emilia-Romagna Eugenia Bergamaschi. Il dibattito ha preso spunto da un'indagine di Nomisma condotta su oltre mille aziende agricole italiane e 55 contoterzisti a gennaio 2019, con l'obiettivo di fare luce sugli aspetti che limitano la diffusione delle nuove tecnologie nelle campagne, illustrata da Denis Pantini.

Granarolo: la qualità si paga

«L'innovazione, l'agricoltura digitale, il ritorno dei giovani in agricoltura sono concetti condivisibili – ha detto Gianpiero Calzolari – ma se alle nuove generazioni non garantiamo un reddito non si va da nessuna parte. Per farlo servono prodotti di qualità e sostenibili. I consumatori più giovani chiedono a chi produce di farlo senza sprecare e senza consumare il Paese; chiedono che gli animali siano rispettati. Sostenibilità vuol dire meno acqua, meno antibiotici, meno emissioni, meno diserbanti, più diritti per chi lavora, più trasparenza sull’origine, meno plastica. Ma sostenibilità deve comportare una remunerazione decorosa del lavoro dell’imprenditore. Agli agricoltori, agli allevatori compete dunque mettere a punto nuove professionalità, producendo con più efficienza e meglio prodotti più salubri, in armonia con l’ambiente e il territorio; all’industria dare valore alle materie prime, alla distribuzione e al consumatore responsabile farsi carico, per quanto di competenza, dei costi di un cibo più buono e più giusto».

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Da sinistra: Guglielmo Golinelli, Simona Caselli, Herbert Dorfmann, Eugenia Bergamaschi, Massimiliano Giansanti, Paolo De Castro, Gianpiero Calzolari

De Castro: serve più forza sul mercato

«Nel nostro sistema produttivo manca una dimensione organizzativa e commerciale adeguata per trasformare in reddito la qualità dei prodotti agroalimentari italiani – ha sottolineato Paolo De Castro – bisogna produrre quello che il mercato chiede e non produrre quello che si vuole e poi pretendere che il mercato ci premi». De Castro ha citato il recente caso dei produttori di latte sardi della filiera del Pecorino Romano come esempio negativo in tal senso.
Un altro tema sempre più attuale che rischia di penalizzare il valore dei prodotti agroalimentari italiani è il sentiment dell'opinione pubblica verso: da un lato la sempre maggiore sensibilità dei consumatori verso i temi ambientali e del benessere animale, dall'altro una percezione dell'agricoltura come nemica dell'ambiente e produttrice di cibi pericolosi per la salute. «È vero il contrario – ha ribadito l'ex ministro – ma per spiegarlo alla gente dobbiamo comunicare meglio ma anche utilizzare le tecnologie che ci permettono di ridurre gli input e i costi». Un altro problema che impedisce al sistema agroalimentare italiano di ottenere un riconoscimento economico adeguato al livello degli alimenti che produce dal punto di vista organolettico, di sicurezza e sostenibilità è quello delle regole. Oggi in aiuto agli agricoltori ci sono il regolamento Omnibus e la Direttiva contro le Pratiche sleali. Due strumenti che non sciolgono tutti i nodi, ma di certo aiutano a essere più competitivi.

Caselli: tecnologia ai piccoli grazie ai Goi

«La diffusione delle nuove tecnologie nei campi è tra le priorità della nostra azione. Più di tante parole, lo testimoniano i 50 milioni di euro stanziati attraverso il Psr 2014-2020 a sostegno dei progetti di innovazione dei Gruppi operativi, partnership tra centri di ricerca e imprese – ha ricordato Simona Caselli –  si tratta dell’investimento più alto tra tutte le regioni italiane ed europee, un primato che si rende orgogliosi. Nello specifico finora abbiamo finanziato sei progetti nel campo dell’agricoltura di precisione, per un contributo complessivo di oltre 1,4 milioni di euro. Per noi sarà cruciale utilizzare l’agricoltura di precisione integrandola nelle filiere dei prodotti Dop e Igp per una digitalizzazione totale anche della tracciabilità e dei controlli».
L'attivazione di tutti questi progetti di ricerca che hanno coinvolto anche aziende di piccole dimensioni, ha permesso una diffusione capillare delle nuove tecnologie.

Giansanti: all'agricoltura italiana serve programmazione

«Gli agricoltori devono capire che la Pac del premio accoppiato non tornerà più – ha esordito Massimiliano Giansanti – bisogna pensare a un nuovo modo di fare agricoltura, ma per farlo serve una programmazione e una strategia: l'ultimo ministro che ha fatto un piano agricolo è stato Giovanni Marcora negli anni Settanta!». Giansanti ha anche ribadito l'importanza di creare una sinergia tra mondo agricolo e industria, cercando di invertire una rotta che tradizionalmente ha visto contrapposti questi due comparti. Il numero uno di Confagricoltura ha anche auspicato un cambio di paradigma della ricerca, che deve uscire dalle Università e applicarsi di più sui campi.
«L’agricoltura 4.0 è già una realtà e ha un mercato di 100 milioni di euro, il 2,5% di quello globale che vale 3,5 miliardi; si avvale di 300 nuove soluzioni tecnologiche, dalle innovazione in campo al packaging, che è anch’esso “intelligente” – ha spiegato Giansanti – però, nonostante i progressi conseguiti, meno dell’1% della superficie coltivata è gestita con soluzioni smart. Serve un’opera di informazione e divulgazione, per facilitare le imprese a diventare più digitali, ma va pure avviato un nuovo corso di promozione dell’innovazione superando i problemi connessi all’esiguità delle risorse disponibili».

Tutti gli ostacoli alla diffusione dell’agricoltura digitale - Ultima modifica: 2019-05-07T17:13:46+02:00 da Simone Martarello

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