Ci sarà un motivo per cui il settore agricolo si chiama “primario”. A scuola ci hanno insegnato che il settore primario è quello che include tutte le attività alla base delle esigenze e dei bisogni primari dell’individuo.
Non ci siamo quindi stupiti quando il comma 4 dell’articolo 1 del Dpcm 11 marzo 2020, ha stabilito che, nonostante il blocco di gran parte delle attività per il contenimento del coronavirus, “Restano garantite (omissis) le attività del settore agricolo, zootecnico, di trasformazione agro-alimentare comprese le filiere che ne forniscono beni e servizi”.
Ci saremmo semmai preoccupati del contrario, bloccare anche le attività che mandano avanti il settore primario, sarebbe stato un suicidio, non solo economico e ci piace immaginare (siamo degli inguaribili ottimisti) che il Governo ci abbia pensato da solo.
Disponibilità dei mezzi tecnici
Tra le altre cose, lo scopo del decreto è quello di non far mancare i mezzi tecnici per l’agricoltura. Non dimentichiamo che siamo all’inizio della stagione più importante e, di conseguenza, agli imprenditori agricoli deve essere garantito l’approvvigionamento di sementi, fitosanitari, fertilizzanti, piantine e quant’altro occorra per affrontare le primavera con tranquillità.
Fin qui teoria e burocrazia. Di là dal testo di un decreto e dalle dichiarazioni autoreferenziali lette qua e là, non possiamo dimenticare che, fuori, c’è il mondo reale, dove i settori primario, secondario e terziario devono fare i conti col drammatico momento che stiamo vivendo.
Un sistema di distribuzione complesso
Prendiamo, ad esempio, il comparto fertilizzanti. In Italia ne importiamo circa 2,3 milioni di tonnellate che arrivano o per mare (65%) o via terra (gomma), oltre i due terzi della produzione nazionale si realizza in 5-6 siti produttivi e la distribuzione è affidata a migliaia di punti vendita (commercianti, consorzi agrari e cooperative) sparpagliati lungo tutto lo stivale, isole comprese.
Non è difficile capire che per far arrivare e riconsegnare milioni di tonnellate di fertilizzanti, occorre una struttura logistica di enormi proporzioni con migliaia di autotreni che ogni giorno caricano da qualche parte (prevalentemente al Nord) e scaricano a centinaia di chilometri di distanza.
Colpito un comparto vulnerabile
Già in epoca normale, il sistema di distribuzione va in crisi, pertanto l’emergenza coronavirus è andata a colpire un comparto già vulnerabile con ricadute che riusciremo a valutare solo a stagione finita. Non è bastato scriverlo nel decreto. Adesso si devono trovare autisti disposti a lavorare in condizioni di disagio, magazzini di carico (produzione o confezionamento che sia) messi in condizione di lavorare in sicurezza, punti vendita col personale al completo, insomma un intero sistema che funzioni a dovere. Questa è la vera sfida che ci attende.