Microrganismi azotofissatori, verso una riduzione della fertilizzazione azotata

Corn seedlings grow from fertile ground and have technology icons about minerals in the soil suitable for crops.
L’utilizzo di inoculanti microbici costituiti da microorganismi in grado di fissare l’azoto può portare ad una consistente riduzione della necessità di sopperire con la fertilizzazione a base di urea e nitrati alle carenze nutrizionali delle colture

Le potenzialità dei microorganismi azotofissatori sono ampie e ancora da sfruttare a pieno. Nell’attuale momento, caratterizzato da un forte incremento nel prezzo delle materie prime e dell’energia, quindi anche dei fertilizzanti a base azotata, il mercato della biofertilizzazione potrebbe trovare nuovi spazi e un ruolo rilevante nella produzione agroalimentare italiana, anche nell’ottica della transizione ecologica del Recovery Plan europeo.


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L’enorme impatto della fertilizzazione azotata e la nuova rivoluzione verde del microbioma

Nel 1910 fu diffusa a livello commerciale una delle invenzioni forse più importanti per la recente storia umana, la sintesi industriale dell’ammoniaca, che ha permesso di ottenere in gran quantità i fertilizzanti azotati di sintesi. Questo processo, conosciuto con il nome di sintesi di Haber-Bosch combina, in presenza di temperature e pressioni elevate, l’azoto molecolare (che costituisce circa il 70% dell’atmosfera) con l’idrogeno per ottenere ammoniaca, che è la base per poi produrre altri composti di azoto come i nitrati e i nitriti. Nel corso del XX secolo ci sono stati enormi sviluppi nelle tecniche agronomiche e nello sviluppo di nuove varietà che hanno contribuito in modo notevole all’aumento della produttività agricola, ma nessuna di queste ha avuto un impatto tale come la capacità di produrre fertilizzanti azotati di sintesi. Un secolo dopo la sua invenzione, infatti, il processo Haber è ancora sfruttato in tutto il mondo per produrre più di 100 milioni di tonnellate di fertilizzanti azotati per anno. Si stima che addirittura questo processo abbia determinato gran parte dell’incremento della popolazione mondiale avvenuto dopo il secondo dopoguerra. Quasi metà dell’attuale popolazione non esisterebbe senza l’invenzione della sintesi chimica dell’ammoniaca. Il processo, tuttavia, risulta dispendioso da un punto di vista energetico e complessivamente impiega l’1% dell’energia mondiale.

La produzione di fertilizzanti azotati a livello globale e l’impatto della fertilizzazione azotata sulla crescita della popolazione mondiale dopo l’invenzione del processo di sintesi chimica dell’ammoniaca (dati e grafici da https://ourworldindata.org/)

In assenza di questo metodo di sintesi, quali altre soluzioni avremmo potuto, e potremmo proporre oggi in relazione alla sostenibilità ecologica ed economica (basti pensare all’attuale costo dell’energia), per mantenere alta la produzione agricola? Ovviamente l’uso, tradizionale dei rifiuti organici sotto forma di concime animale, oppure aumentare la coltivazione di leguminose che possiedono, tramite la simbiosi con alcuni microorganismi del suolo (che spieghiamo sotto), la capacità di fissare l’azoto atmosferico in azoto utilizzabile dalla pianta (un processo chiamato azotofissazione biologica). Tuttavia, nonostante gli indiscutibili benefici nutrizionali e ambientali delle leguminose, queste piante compongono solo una piccola parte della dieta umana e tendono ad avere una resa minore rispetto a colture cerealicole. Comunque, non solo le leguminose ma tutte le piante, inclusi i cereali sono in grado di stabilire complesse associazioni con i microrganismi del suolo. Questi microrganismi nel complesso costituiscono il “microbiota” della pianta e ne influenzano la crescita e la salute. All’interno del microbiota possiamo poi definire una porzione di microrganismi, strettamente e comunemente associati alla pianta, i quali, indipendentemente dalle caratteristiche ambientali, sono in grado di migliorarne la crescita producendo fitormoni, mobilizzando nutrienti presenti nel suolo, fornendo protezione da stress vari (inclusi i patogeni) e soprattutto fissando l’azoto atmosferico. Lo studio e l’utilizzo di questo microbiota benefico sta suscitando interessi crescenti per la formulazione di bioinoculanti in grado di produrre azoto assimilabile da parte della pianta tramite il processo di azotofissazione biologica. L’utilizzo di questi bioinoculanti può permettere perciò di ridurre in modo significativo l’uso di fertilizzanti azotati di sintesi, e quindi i costi, migliorando allo stesso tempo l’impatto ambientale della produzione agraria.

 Gli azotofissatori e un enzima molto antico

Il processo di azoto fissazione microbica fu scoperto alla fine del XIX secolo ed è unicamente svolto da alcuni microrganismi procarioti che possiedono un complesso enzimatico, chiamato “nitrogenasi”, capace di catalizzare la conversione dell’azoto atmosferico (N2) in ammoniaca (NH3).La nitrogenasi è un enzima che appartiene alla classe delle ossidoreduttasi ed è uno tra ipiù complessi enzimi conosciuti fino ad oggi, ma anche uno dei più antichi sistemi che si sono evoluti nelle prime forme di vita quando ancora l’atmosfera terrestre era povera di ossigeno.Infatti, è necessario tenere in conto che la fissazione dell’azoto è un processo che viene represso dalla presenza dell’ossigeno, il cui effetto consiste nell’inattivazione rapida ed irreversibile della nitrogenasi. La nitrogenasi sfrutta l’idrogeno derivante dall’ossidazione dei carboidrati e si serve di ATP come fattore energetico per poter rompere il legame tra gli atomi di azoto molecolare e formare ammoniaca.

I bioinoculanti aiutano crescita e nutrizione minerale delle piante attraverso la produzione di fitoormoni, ad esempio auxine, direttamente a contatto o all’interno dei tessuti radicali, e di ammonio attraverso il processo di fissazione biologica dell’azoto atmosferico. Una microbica di bioinoculanti costituita da microorganismi azotofissatori produce ammonio direttamente dove avviene il suo assorbimento (radici), eliminando le perdite di azoto per dilavamento, presenti invece nel caso dell’uso di fertilizzanti di sintesi. Inoltre, l’uso di microorganismi specifici per diverse tipologie di colture permette, cioè geneticamente e fisiologicamente compatibili, aumenta ulteriormente l’efficienza del sistema in un’ottica di agricoltura di precisione.

I microorganismi capaci di fissare l’azoto possono svolgere questo processo con differenti gradi di autonomia e infatti si possono classificare in: (I) organismi acquatici, come i cianobatteri, (II) organismi che vivono liberi nel suolo, come Azotobacter, (III) organismi si associano con altri organismi come con funghi, animali e piante, ad esempio i batteri del genere Azospirillum con le radici delle piante, (IV) e infine i più importanti, i rizobi simbionti delle leguminose. Specie di Azotobacter, Bacillus, Clostridium, e Klebsiella rappresentano alcuni esempi di batteri che vivono liberi nel suolo e che fissano importanti quantità di azoto senza la diretta interazione con altri organismi. Questi ricavano energia ossidando molecole organiche rilasciate da altri organismi o da materia organica in via di decomposizione. Altri organismi (come Thiobacillus spp. e Paracoccus denitrificans) sono invece in grado di utilizzare composti inorganici come fonte di energia. Poiché la nitrogenasi è un enzima inibito dalla presenza di ossigeno, gli organismi che vivono nel suolo si comportano come anaerobi o microaerofili mentre fissano l’azoto. La scarsità di fonti di carbonio facilmente utilizzabili per questi organismi fa sì che il loro contributo al processo globale di azotofissazione sia limitato. Tuttavia, uno studio condotto in Australia in un sistema agricolo intensivo di grano ha dimostrato che l’insieme dei microrganismi azotofissatori che vivono nel suolo contribuisce ogni anno con 20 chilogrammi per ettaro di azoto (corrispondente al 30-50% del fabbisogno totale).

La distinzione dei vari microrganismi azotofissatori a livello della rizosfera tra coloro che vivono liberamente nel suolo e coloro che invece creano associazioni con altri organismi è piuttosto complicata. Quando si parla di batteri capaci di portare avanti la fissazione dell’azoto in associazione, ma non in simbiosi, con altri organismi, possiamo riferirci come esempio ad alcune specie di Azospirillum, capaci di dare origine ad associazioni strette con diversi membri delle Poaceae, incluse varietà di cereali agronomicamente importanti (come riso, grano, mais, avena e orzo). Questi batteri fissano notevoli quantità di azoto nella rizosfera delle piante ospite. Il livello di azotofissazione è determinato da diversi fattori, tra i quali si possono elencare la temperatura del suolo (alcune specie di Azospirillum prosperano meglio in ambienti temperati o tropicali), l’abilità dell’ospite fornire un ambiente con basse quantità di ossigeno, e la disponibilità di ospiti che possano fornire fonti di carbonio ed energia sufficienti (ad esempio la pianta con il suo apparato radicale e gli essudati della radice). In effetti nelle associazioni tra microrganismi e piantesi hanno spesso condizioni ideali per l’azotofissazione, che, come per i rizobi, può risultare in una relazione simbiotica. La pianta fornisce ai microrganismi zuccheri prodotti grazie al processo di fotosintesi e, “in cambio” della fonte di carbonio fornita, i microrganismi forniscono ammoniaca per i loro ospiti. Di gran lunga, il processo di azotofissazione più importante che avviene attraverso la formazione di associazioni simbiotiche è rappresentato dalla relazione di simbiosi che si instaura tra rizobi e piante leguminose. Erba medica, fagioli, lupini e soia si annoverano tra leleguminose più utilizzate in agricoltura, con la soia che rappresenta il legume più coltivato (è coltivata sul 50% del suolo agricolo destinato alla coltivazione di leguminose e rappresenta il 68% della produzione globale di legumi). In effetti la simbiosi tra rizobi e leguminose fornisce più della metà dell’azoto globale fissato biologicamente, ed è stato riportato che l’azoto fissato dai rizobi introduce circa 40-48 milioni di tonnellate all’anno di azoto nei sistemi agricoli.

L’uso dei microorganismi azotofissatori in agricoltura

Esistono in commercio numerosi prodotti a base di bioinoculanti azotofissatori, più propriamente definiti biofertilizzanti. Il mercato dei biofertilizzanti che nel 2016 valeva circa 800 milioni di Euro a livello globale si stima possa raggiungere i 3 miliardi di euro nel 2024. Una larga fetta di mercato è localizzata in nord America (circa il 28%), basti pensare che vi sono più di 150 tipi di biofertilizzanti in commercio nel solo Canada. L’Europa occupa il secondo posto in termini di produzione di biofertilizzanti (circa 500 milioni di Euro nel 2017). Europa e America Latina sono ad oggi i principali consumatori di biofertilizzanti, seguiti da Cina e India.

Le potenzialità di questi biofertilizzanti sono in prevalenza sfruttate nella coltivazione di leguminose nella quale la simbiosi tra piante e batteri rizobi è in effetti uno dei maggiori successi dell’uso dei biofertilizzanti in agricoltura. Basti pensare che delle circa 122 milioni di tonnellate prodotte per anno dall’azotofissazione biologica, circa 60 sono legate alle leguminose di cui ben 17 milioni di tonnellate alla sola coltivazione della soia inoculata con rizobi simbionti del genere Bradyrhizobium. Tuttavia, anche diverse colture di cereali hanno visto un incremento di resa legato all’utilizzo di biofertilizzanti azotofissatori. Uno dei primi paesi a commercializzare sementi confettate con biofertilizzanti è stato il Messico, con mais inoculato con batteri del genere Azospirillum. Su questo mais, esperimenti in campo svolti nell’arco di 5 anni mostrarono come l’azotofissazione legata alla biofertilizzazione contribuisse in un range dal 29% all’82% della nutrizione azotata del mais.

Altri esperimenti in campo condotti su orzo biofertilizzato con una miscela di microorganismi azotofissatori e in grado di solubilizzare i fosfati hanno visto incrementi di resa tra il 18% e il 27% e sul riso si sono avute stime di circa 30 Kg di azoto per ettaro ad anno, così come analoghi risultati su altre colture come la canna da zucchero in cui il biofertilizzante ha contribuito fino al 60% delle necessità di azoto della coltura. Va comunque ricordato che la presenza di azoto assimilabile nel terreno, quindi una concomitante fertilizzazione di tipo tradizionale, ha un forte impatto negativo sulle performance dei biofertilizzanti. Infatti, il processo di azotofissazione da parte dei microorganismi viene bloccato quando è già presente azoto (in forma di ammonio, nitrati o nitriti) nel terreno e le stesse leguminose non arrivano a formare la simbiosi nei noduli radicali con i rizobi. Occorre quindi tener presente i livelli di azoto nel terreno prima di programmare interventi di biofertilizzazione ed evitare o ridurre fortemente una concomitante fertilizzazione a base di prodotti azotati. Negli ultimi anni stanno infine emergendo anche altri microorganismi, come i cianobatteri, batteri in grado sia di effettuare fotosintesi che azotofissazione. Sono noti al grande pubblico come additivi nei cosiddetti functional foods, ad esempio i prodotti a base dell’alga (cianobatterio) Spirulina. Altri cianobatteri invece, come quelli dei generi Anabaena e Nostoc possono fissare fino a 60 Kg di azoto per ettaro a stagione e sono in corso prove in campo nelle colture di riso.

Va poi ricordato che riguardo i biofertilizzantisi stanno sempre più affermando miscele di microorganismi, che includono più specie dotate di attività non soltanto di azotofissazione, ma anche di promozione della crescita radicale (ad esempio attraverso il rilascio di fitoormoni, prodotti spontaneamente da questi microorganismi), di solubilizzazione di fosfati e di contrastonei riguardi di patogeni fungini. Queste miscele, spesso costituite da microorganismi dei generi Azospirillum,Azotobacter, Herbaspirillum, Pseudomonas, Bacillus, Klebisellae Trichoderma, permettono di avere un’ampia gamma di azioni, sinergiche rispetto alla sola azotofissazione. Inoltre, la presenza di tipologie diverse di azotofissatori sia liberi, che associati o simbionti, consente di adattare la miscela a varie specie di piante, così da massimizzarne l’efficacia.

Le potenzialità dei microorganismi azotofissatori utilizzabili come bioinoculanti dipendono dallo stato (simbionte, associato o a vita libera) del microorganismo e dalla quantità di energia disponibile per l’attività dell’enzima nitrogenasi e la contemporanea protezione dalla presenza di ossigeno (che inibisce l’enzima nitrogenasi). I microorganismi che entrano in associazione o in simbiosi dell’apparato radicale esprimono i maggiori livelli di fissazione e trasferimento di azoto alla pianta. Rientrano in questo gruppo i rizobi che formano le simbiosi con le leguminose ma anche i batteri dei generi Azospirillum e Herbaspirillum che colonizzano gli apparati radicali dei cereali.

Le biotecnologie genetiche a supporto dello sviluppo di inoculanti azotofissatori

Parlando di bioinoculanti microbici che devono associarsi con una pianta ospite, uno degli aspetti cruciali di cui occorre tener conto è che la tipologia del suolo, la specie e la varietà di pianta che si utilizza e le caratteristiche ambientali (es. clima) hanno un impatto notevole sulla capacità dei microorganismi di colonizzare la pianta e di persistere nel terreno fino al pieno sviluppo della coltura. Queste abilità dei microorganismi sono legate ai geni del loro genoma e negli ultimi anni si sono sviluppate un gran numero di ricerche che hanno come obiettivo l’identificazione dei geni che favoriscano tali abilità (colonizzazione, persistenza e ovviamente efficienza della azotofissazione). Sono in corso studi di analisi completa del genoma di centinaia di microorganismi che sfruttano le moderne tecniche di genomica e biologia dei sistemi (una disciplina che unisce le analisi biologiche con dei modelli matematici per capire il funzionamento cellulare). Tra i risultati di laboratorio principali ottenuti vi è la possibilità di formare ibridi (non transgenici) tra microorganismi azotofissatori per ottenere nuovi ceppi microbici migliorati e banche dati con le caratteristiche genetiche di ciascuno, così da selezionare i ceppi con le migliori performance di colonizzazione e azotofissazione in funzione del tipo di coltura e delle condizioni ambientali.

Microrganismi azotofissatori, verso una riduzione della fertilizzazione azotata - Ultima modifica: 2022-04-11T11:33:32+02:00 da Sara Vitali

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