Periodi di siccità prolungati, inondazioni di portata vasta ed episodi grandinigeni sono gli eventi estremi che più preoccupano gli agricoltori. E sono tutti in aumento a causa del cambiamento climatico. Ma mentre la grandine viene oggi tenuta sotto ragionevole controllo dal mondo agricolo da un oculato equilibrio tra polizze assicurative e reti di protezione, in che situazione si trova l’agricoltura italiana rispetto a siccità e inondazioni?
Secondo i dati del Modello idrologico nazionale “Bigbang” realizzato e gestito dall’Ispra, il 2023 ha confermato il trend negativo delle precipitazioni e positivo dell’evaporazione, evidente ormai da parecchi anni in Italia, a causa del quale la disponibilità della risorsa idrica nel nostro Paese si è ridotta, nel 2022, del 24% rispetto al periodo di riferimento 1951-2022, e del 18% nel 2023. Questa diminuzione non è uniforme sul territorio nazionale: guardando ai distretti idrografici, si va da una diminuzione del 36% del Po, al 30% delle Alpi Orientali, al 28% della Sicilia e al solo 7% dell’Appennino Centrale.
Ma è ben noto che il clima che cambia non si limita a temperatura medie e precipitazioni totali, ma agisce intensamente proprio su frequenze e intensità degli eventi estremi. Ecco allora che il 2023 è stato anche l’anno dell’alluvione in Romagna. In maggio (ma in misura minore anche in Sicilia, guarda caso) è caduta una quantità di pioggia, concentrata in pochi giorni, pari a più del doppio delle precipitazioni mediamente attese per quel mese. E per salvare la città di Ravenna da danni catastrofici, parte dell’agricoltura romagnola ha dovuto pagare un prezzo altissimo in termini di perdita di raccolto, lasciandosi inondare volontariamente i campi coltivati.
Anteprima di Terra e Vita 24/2024
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Altro caso emblematico la Sicilia, che nel 2023 ha avuto una quantità spropositata di precipitazioni e nel 2024 ha dichiarato lo stato d’emergenza per siccità per una durata di 12 mesi. Perché altre regioni con problematiche simili non lo fanno, per esempio quelle del bacino del Po? È possibile che parte del problema sia dovuto a un progressivo cambiamento dei regimi pluviometrici, secondo i quali piove sempre di più per periodi brevi e in modo troppo intenso (precipitazioni convettive) e sempre di meno in periodi lughi di precipitazioni moderate, quelle che servirebbero a ricaricare le falde.
Ma allora sarebbe più che opportuno programmare la costruzione di più bacini di ritenzione della risorsa (non necessariamente grandi, anche reti di piccoli bacini a diretto servizio dell’agricoltura), e occuparsi del problema delle perdite del sistema distributivo della risorsa idrica, che nel sud e nelle isole si attestano al di sopra del 50%, dal doppio al triplo di quelle delle regioni più virtuose del nord, e in ogni caso anni luce lontane dal 7% della Germania (che di acqua ne ha e ne avrà anche troppa). Tutti interventi di adattamento al cambiamento climatico.
La speranza risiede nel Pnrr. Con oltre 4,3 miliardi di euro, contiene quattro misure che, se realizzate, avranno grande impatto: due miliardi per nuove infrastrutture idriche (per esempio nuovi invasi), 900 milioni per manutenzione e modernizzazione delle reti, in modo da diminuire sostanzialmente le perdite, oltre 800 milioni per il potenziamento e l’ammodernamento del sistema irriguo nel settore agricolo e 600 milioni in investimenti per la depurazione delle acque reflue da riutilizzare in agricoltura.
di Stefano Tibaldi
Cmcc, Centro euromediterraneo sui cambiamenti climatici