In anni in cui i prezzi agonizzano e le rese raggiungono a malapena le medie storiche, qualche euro in più al quintale può fare davvero comodo; soprattutto se in cambio l’agricoltore può, oltre a produrre, dare un beneficio al territorio, adeguandosi alle prescrizioni di legge in materia di fitofarmaci e macchine per trattamenti.
Le filiere sono, in questo senso, soluzioni in cui tutti hanno da guadagnare qualcosa: gli agricoltori, per il prezzo maggiorato e la certezza del conferimento, le industrie, perché sanno di portare a casa un prodotto tracciabile e di qualità, e infine l’ambiente, favorito da metodi di coltivazione attenti alla sostenibilità.
Una delle ultime nate, in materia di filiere, ha preso vita nella scorsa stagione in provincia di Alessandria, grazie al molino Nova di Felizzano, che per conto di una primaria industria del settore dolciario ha allestito un nuovo protocollo di produzione, coinvolgendo, in veste di coordinatore tecnico, Cadir Lab e Sata di Quargnento (Al), ma anche il Consorzio Agrario del Piemonte Orientale, che ha svolto un ruolo di collettore del prodotto raccolto e con l’appoggio di Coldiretti .
La prima stagione, quasi sperimentale, ha coinvolto una decina di produttori dell’Alessandrino, per un totale di 90 ettari. La campagna che si aprirà tra poche settimane ha però visto quintuplicare la superficie, con circa 400 ettari sotto contratto. «Sintomo che il sistema funziona e i produttori hanno avuto fiducia nell’iniziativa», commenta Pao-lo Rendina, che ha coordinato il progetto per Cadir Lab e Sata.
Trattamenti e tracciabilità
Le filiere possono essere di vario tipo, più o meno vincolanti e rigide. Quella allestita nell’Alessandrino lascia ai produttori libertà su diversi punti, a cominciare dall’approvvigionamento delle sementi e dei mezzi tecnici. Per le prime è stato stilato un elenco di varietà tra cui l’agricoltore può scegliere, mentre per i secondi si lascia ai cerealicoltori la facoltà di libero acquisto sul mercato. «L’elenco delle varietà consigliate è stato redatto dopo la valutazione delle caratteristiche agronomiche e molitorie di decine di cultivar. Alla fine ne sono state selezionate 10 – 7 panificabili e 3 biscottiere – che, a nostro avviso, rappresentano il meglio del mercato per i nostri scopi e per i terreni alessandrini”, spiega il tecnico.
Gli altri aspetti salienti del disciplinare sono quelli soliti. Si parte dalla tracciabilità: tutti i passaggi devono essere registrati e ogni carro che arriva allo stoccaggio è campionato e mappato, così da poter risalire dal prodotto finale al campo di coltivazione del grano. C’è poi l’agricoltura integrata: chi partecipa alla filiera deve applicare i principi base e rispettare le normative in materia di fitofarmaci e controllo delle macchine per la distribuzione. Non manca, infine, la formazione: tecnici del molino e del Cadir Lab-Sata si preoccupano di sensibilizzare i produttori sugli aspetti più delicati della coltivazione. La società di servizi agricoli di Quargnento, inoltre, fornisce anche servizio di assistenza tecnica e agronomica. «Le prescrizioni vi sono, e sono stringenti. Tuttavia basta informare e sensibilizzare adeguatamente gli agricoltori per risolvere ogni problema», conclude il tecnico.
L’opinione dei produttori
È il caso, per esempio, di Russel Jackson, agronomo di chiare origini britanniche che dirige l’azienda Retorto di Predosa (Al), una tenuta di 185 ettari di proprietà della famiglia Bruzzo. Nel 2014-2015, la Retorto ha partecipato alla filiera con 15 ettari, che diventeranno 40 con le semine di ottobre, su 75 dedicati al grano tenero. «Sono favorevole a qualsiasi regola, perché è giusto produrre secondo determinati criteri. Per esempio, vedo bene ogni iniziativa per migliorare la struttura del terreno», ci spiega.
I risultati dell’ultima campagna sembrano dargli ragione: «L’obbligo di rotazione, previsto dal disciplinare, ci ha spinto a seminare il grano della filiera su precedente di pomodoro, ottenendo una resa di circa 60 q/ha, contro i 53 della rimanente superficie. Per questo dico che appoggio ogni pratica conservativa, dalla rotazione all’adozione di cover crops, soluzione che mi permette di aumentare il contenuto di sostanza organica del terreno – attualmente esiguo – evitando il dilavamento invernale, inevitabile se si lasciano nudi i terreni già arati».
Nemmeno i vincoli sui trattamenti sembrano costituire un problema. «Abbiamo fatto un intervento insetticida e due fungicidi, come richiesto dal disciplinare. Per come abbiamo impostato il lavoro in questa azienda le differenze rispetto alle richieste della filiera sono modeste».
Anche Giovanni Albertazzi, proprietario di 180 ettari a Quargnento (Al) si trova nella felice situazione di poter entrare nella filiera modificando soltanto marginalmente la sua tecnica di coltivazione: «Eravamo già quasi totalmente in linea con ciò che chiede il disciplinare. Per esempio, da quasi dieci anni facciamo il trattamento antifungino: uno solo, ma arrivare a due – spiega – non è un gran problema». «Paragonati alle imposizioni, i vantaggi sono invitanti. La maggiorazione di prezzo, innanzitutto, così come la certezza di avere il prodotto già venduto a inizio stagione. Inoltre, altro piccolo pregio, il centro di conferimento è a pochi passi dall’azienda. La prima stagione è andata bene, tanto è vero che quest’anno raddoppieremo la superficie, arrivando a 40 ettari sotto filiera, su 55 investiti a grano».
Dello stesso parere la sorella Giuseppina, proprietaria di 40 ettari, metà dei quali a grano, a Castello di Annone, nell’Astigiano. «Non aumentiamo la superficie perché avendo pochi terreni non riusciamo a fare la rotazione richiesta dal disciplinare, ma la prima campagna è stata soddisfacente. È la prima volta che aderiamo a una filiera: le altre che mi erano state proposte erano troppo vincolanti. Questa, invece, ha il pregio di lasciare libertà all’agricoltore, pur richiedendo il rispetto di alcuni principi di base». Secondo i fratelli Albertazzi, filiere e la produzione di qualità sono una delle poche strade rimaste per migliorare la redditività del grano. Del resto, ci dicono, alternative a questo cereale non ce ne sono: «Se si vuol fare cereali, in questa zona il grano è d’obbligo, altrimenti ci si deve orientare su colture particolari, come le orticole».