Con l’articolo 26 della bozza della Legge di Bilancio 2026, il Governo ha scelto di voltare le spalle alle imprese agricole che hanno investito in innovazione e sostenibilità. Infatti, se in fase di discussione nelle due camere non ci saranno cambiamenti, dal primo luglio del prossimo anno sarà vietato compensare i crediti d’imposta con i versamenti previdenziali, assistenziali e assicurativi. Una misura che, sotto il pretesto di contrastare le frodi, colpisce anche chi ha rispettato le regole.
Dal 2020 al 2025, le imprese agricole hanno creduto nelle politiche pubbliche, investendo tantissimi euro in tecnologie avanzate.
Ora, quei crediti d’imposta diventano carta straccia. Il Governo cancella con un tratto di penna un meccanismo che ha sostenuto la modernizzazione del settore. È una decisione che mina la fiducia tra Stato e imprese.
La norma non distingue tra chi ha abusato del sistema e chi ha operato correttamente. Il divieto è generalizzato e colpisce anche i crediti legittimi. Inoltre, il limite per le compensazioni in presenza di debiti fiscali viene dimezzato da 100.000 a 50.000 euro, aggravando la situazione per le imprese in difficoltà.
Le imprese agricole, già provate da crisi, pandemia e rincari, rischiano di trovarsi con crediti inutilizzabili e contributi da versare.
Il paradosso è evidente: chi ha crediti certificati dovrà indebitarsi per pagare l’Inps. È una scelta miope, che ignora la stagionalità del settore e i margini ridottissimi con cui operano le imprese. Il messaggio che arriva dal Governo è sbagliato: investire non conviene.
Ma gli imprenditori devono sapere che investire conviene se c’è redditività, se si migliora l’efficienza, se si innova, non se ci sono i contributi. Gli incentivi sono strumenti, non motivazioni.
Perciò devono continuare a investire, nonostante le scelte discutibili della politica. L’agricoltura è presidio del territorio, lavoro, coesione sociale. Colpire le imprese agricole significa indebolire la filiera agroalimentare, abbandonare i campi, desertificare le aree rurali. È una scelta che ignora il ruolo strategico del settore nella sicurezza alimentare e nella transizione ecologica. Nel dibattito pubblico si parla di sovranità alimentare, ma quando si tratta di difendere concretamente gli agricoltori, il silenzio è assordante. Sono soli davanti alle calamità, ai rincari, alla burocrazia. E ora, anche davanti a una norma che cancella uno strumento vitale per la loro sopravvivenza economica.
Il Governo è ancora in tempo per ritirare questa norma e aprire un confronto serio con le associazioni di categoria.
Le compensazioni fiscali non sono un privilegio, ma uno strumento di equità. Penalizzare chi ha investito significa scoraggiare l’innovazione e compromettere il futuro del settore agricolo. Se davvero si vuole contrastare l’evasione, si intervenga con controlli mirati, non con divieti indiscriminati. L’agricoltura non può essere il capro espiatorio di scelte contabili. Il Governo dovrebbe difendere chi lavora, investe e innova.
di Luciano Mattarelli
Tributarista, revisore contabile, esperto di fiscalità in agricoltura











Bravo sono d’accordo la penso come Te un’azienda ha fatto il movimento sapendo che vige la compensazione altrimenti non si sarebbe indebitata tanto chi investe va premiato non tartassato