Massimo Rivetti non è un viticoltore qualunque. Titolare di un’azienda che totalizza 20 ettari, suddivisi tra tre corpi, produce 150mila bottiglie, 130mila delle quali finiscono all’estero. È stato, per molti aspetti, un precursore: tra i primi a utilizzare la cimatura – allora manuale – nelle Langhe («Era il 1985», ricorda), primo del suo territorio – Neive e dintorni – a fidarsi della confusione sessuale per la lotta a tignola e tignoletta.
Tra i primi a convertirsi al biologico, inoltre, con un processo durato oltre dieci anni, durante i quali ha progressivamente imparato a fare a meno dei diserbanti e a ridurre sempre più anche i principi attivi usati nei trattamenti. Al punto che in una stagione non complessa ma nemmeno semplicissima come quella che si sta chiudendo, ha superato di pochissimo i 2 kg di rame per ettaro di vigneto: praticamente la metà del massimo consentito per legge.
«Confesso che quando iniziammo la transizione avevo paura. Rinunciare ai diserbanti non era un grosso problema; in fondo i mezzi meccanici per tagliare l’erba abbondano, ma quando si parla di difesa le cose sono diverse. Con il metodo biologico cambia completamente la gestione del vigneto e lo scoglio principale è imparare ad accettare che non sempre tutto sarà in perfetto ordine.
Per esempio, si apprende che con la malattia si deve convivere; l’obiettivo non è avere zero attacchi, ma fare in modo che la pianta superi bene lo stress dovuto all’infezione, minimizzandone gli effetti. Questa cosa l’ho imparata, e riesco a ottenerla, anche grazie a Kalos, che negli ultimi otto anni ci ha affiancato nella gestione dei nostri vigneti con prodotti che hanno cambiato la risposta delle piante agli stress, sia climatici sia sanitari».
Viticoltore nelle Langhe
La famiglia Rivetti coltiva viti a Neive (Cuneo) da cinque generazioni. Massimo appartiene alla quarta, come ci spiega con orgoglio.
«Dopo di me vengono i miei tre figli: Davide, Andrea e Simone, già tutti inseriti in azienda. Fino al nuovo millennio – prosegue – abbiamo prodotto uva e vino per altre cantine. Un’esperienza preziosa, che ci ha permesso di entrare in contatto con decine di enologi e metodi di lavoro diversi e di capire pregi e difetti di ciascuno».
Dal 2000 in poi, Rivetti crea un proprio marchio e inizia a vinificare le proprie uve. Oggi, come abbiamo visto, supera le 150mila bottiglie, con una fortissima vocazione per l’export e due punti vendita, uno a Neive e un altro ad Alba. I suoi vini principali sono ovviamente Barbera, Nebbiolo e Barbaresco, ma nella sua cantina troviamo un po’ tutta la produzione tipica delle Langhe, dal Moscato al Chinato, passando per Chardonnay e spumante di Nebbiolo, in versione rosata o bianca. Vini che nascono principalmente in campo, da vigne – fa notare con giusto orgoglio – tra le più vecchie del territorio: 76 anni per la Barbera di Serraboella, una sessantina per alcuni Nebbioli e per il Moscato.
«Abbiamo anche vigneti più giovani. Giovani per modo di dire, perché comunque hanno superato i 20 anni. Sono quelli dei corpi aziendali separati e sono quasi tutti ad altitudini elevate, dai 500 metri in su, per cercare condizioni ambientali migliori e ridurre un po’ la concentrazione alcolica. Il cambiamento climatico non è un’eventualità, ma un fenomeno già in corso e con cui dobbiamo convivere, aumentando le scorte d’acqua in inverno e riducendo la dispersione estiva. Impiantare vigneti in quota ci permette di avere vini con minor concentrazione alcolica e maggior complessità aromatica. Vale soprattutto per i bianchi, ma abbiamo impiantato anche Nebbiolo delle Langhe su colline oltre i 500 metri, con eccellenti risultati».
La collaborazione con Kalos
Occorre adattarsi al cambiamento climatico, dunque, e aiutare la pianta a sopportare stress che in futuro saranno sempre più frequenti e intensi. Questo è appunto uno degli obiettivi degli induttori di resistenza commercializzati dalla Kalos, ditta friulana che tratta concimi speciali, distribuendo i marchi K&A e Yara Vita.
«Tra i nostri prodotti – ci spiega il responsabile per la zona Giovanni Carriero – vi sono diverse famiglie, ma tutte hanno lo scopo di rendere la pianta più forte e in grado di far fronte sia alle malattie sia agli stress abiotici, come i picchi di caldo. O anche di freddo, uno dei quali si è verificato giusto la scorsa primavera».
Per quanto riguarda la lotta alle patologie, i preparati Kalos servono a indurre nella pianta una risposta all’infezione. Risposta che la pianta svilupperebbe in modo naturale quattro o cinque giorni dopo l’attacco.
«Il nostro obiettivo è di anticipare questa reazione, facendo sì che sia al suo massimo nel momento in cui avverrà effettivamente l’infezione».
Somministrando gli induttori Kalos in contemporanea con il trattamento e in previsione di una pioggia che può comportare condizioni favorevoli a un attacco fungino, si ottiene una doppia resistenza: quella esterna introdotta dalla copertura del rame e una interna, provocata dagli induttori stessi.
«In questo modo la pianta è più protetta e meglio in grado di difendersi. L’attacco avverrà in ogni caso, ma avrà conseguenze minori e solitamente trascurabili».
Grazie a questa soluzione, diventa possibile contenere peronospora e oidio con dosi di rame e zolfo molto inferiori a quelle tradizionalmente impiegate.
«Nel 2021 siamo scesi fino a 2,1 kg di rame per ettaro, nonostante si siano fatti 14 trattamenti. Un risultato che non sarebbe stato possibile senza Kalos -, conferma Rivetti -. Nonostante si sia usata una quantità così bassa di rame, la peronospora non ha fatto danno, se non qualche segno sulle foglie o su pochi acini».
Lo stesso, continua il viticoltore, vale per l’oidio, che in stagioni siccitose come quella appena trascorsa in verità non è il principale dei problemi.
«Tuttavia lo zolfo è caustico per la vite e come noto va usato con temperature basse. Grazie a Kalos possiamo ridurne il dosaggio e talvolta evitare di usarlo, scongiurando il rischio di bruciature sui grappoli».
Terreni più vitali
«Riducendo i prodotti di sintesi – prosegue Carriero – si lascia alla pianta la possibilità di esprimere al meglio il suo potenziale e si esalta la diversificazione varietale».
Un’opinione che è confermata da Rivetti: «Da quando collaboriamo con Kalos non abbiamo più avuto problemi di fermentazione malolattica, una fase che in passato ci ha dato diversi grattacapi. Siamo arrivati, in alcune stagioni, a imbottigliare senza che questo passaggio fosse avvenuto; in altri casi si aveva soltanto a primavera inoltrata. Oggi si verifica con regolarità durante o subito dopo la fermentazione. Questo nonostante il fatto che in cantina si usino soltanto lieviti indigeni. Inoltre imbottigliamo dei Barbareschi con anche cinque anni di invecchiamento in botte e soltanto 50 o 60 mg di solforosa. Praticamente la metà del consentito».
Nel 2020, continua l’agricoltore, si è tentato un esperimento di Barbera senza solfiti. «Per la prima vinificazione non è andato sul mercato, ma quest’anno ripeteremo il test. Abbiamo già pronta l’etichetta, dobbiamo soltanto valutare il comportamento al secondo anno di prove».
Risultati di questo tipo non si improvvisano e richiedono anni di lavoro in sinergia tra proprietà e consulenza specializzata. Inoltre è importante curare, oltre che la salute della parte aerea, il benessere dell’apparato radicale e dunque la fertilità del terreno. Al riguardo, Rivetti applica un metodo impegnativo ma ricco di risultati. «Produciamo, già da anni, humus mescolando i residui della cantina – vinacce, raspi e fecce – con letame bovino proveniente da allevamenti della zona. Facciamo maturare il tutto per alcuni mesi e poi lo distribuiamo sui terreni».
Da due anni, questo compost, che Rivetti considera un concentrato di vitalità, è arricchito da Vitalumi, un integratore di Kalos a base di torba arricchita con acidi umici e fulvici, micorrize, attivatori della microflora della rizosfera, Trichoderma e batteri Pgpr (Plant Growth-Promoting Rhizobacteria), che sono responsabili dell’accrescimento radicale.
«Il risultato è una pianta «che sta bene». Non saprei dire altrimenti: la parte aerea è sana, vitale, bella da vedere. Sintomo che quella ipogea è ben nutrita e ben trattata. Dal Dopoguerra a oggi siamo passati da una fertilizzazione fatta soltanto con letame a una concimazione totalmente chimica, in cui con quattro o cinque quintali di prodotto minerale si risolvevano tutti i problemi. Ne abbiamo ottenuto un terreno impoverito, compatto, privo di sostanza organica. Dopo due anni di trattamento con humus e Vitalumi, il suolo è ricco di vita, resiste meglio alla siccità e supporta validamente la pianta. Il risultato sono uve che hanno meno problemi in cantina e vini più complessi, strutturati ma equilibrati, non dolci perché fermentati al punto giusto. Proprio ciò che cerchiamo di fare nella nostra cantina. Per questo motivo sono molto soddisfatto della strada intrapresa. E, soprattutto, non ho più paura del futuro».
Leggi la versione integrale dell’articolo dedicato da Terra e Vita all’azienda Rivetti