Sempre più di frequente capita d’imbattersi nell’espressione agricoltura sostenibile o in discorsi in cui viene citata la sostenibilità dell’agricoltura; spesso si ha l’impressione di un abuso retorico di questa terminologia, non tanto o non solo come impiego eccessivo, quanto come distorsione o meglio riduzione del suo vero contenuto.
Il cosìddetto sentire comune, infatti, è incline a percepire la questione come una semplice “rinuncia a”, “assenza di” e/o “ritorno a”. Ciò tende a risolversi per alcuni in un’accettazione acritica di tale paradigma, per altri in un’insofferenza epidermica verso un conformismo politically correct dominante che, tuttavia, ha sempre maggiori e dirette implicazioni sull’attività produttiva e sui redditi degli agricoltori.
Molteplici obiettivi
Sia pure in modo sintetico, vale perciò la pena cercare di esplorare il reale significato di “agricoltura sostenibile” che, in sé, racchiude diversi aspetti o finalità in parte convergenti e in parte contrastanti.
Le finalità ambientali, intese come miglioramento della qualità dell'ambiente e preservazione delle risorse per le generazioni future, appaiono evidenti e ampiamente condivise, costituendo una precisa sfida per l'agricoltura. Ad esse si aggiungono, quasi naturalmente e con sempre maggiore evidenza, quelle legate al benessere della collettività, nello sforzo di migliorare la qualità della vita rurale e della società nel suo complesso, spaziando ad esempio da aspetti legati alla salute dell’alimentazione alla fruizione del territorio e del paesaggio.
A ciò occorre tuttavia aggiungere anche le finalità produttive, mirate a soddisfare i bisogni di alimenti, di fibre tessili e a contribuire alla disponibilità di fonti energetiche rinnovabili, nonché quelle economiche, allo scopo di sostenere sia la sicurezza dei redditi agricoli che l'accesso all'alimentazione.
Ridurre la sostenibilità a una sola di queste finalità, come spesso accade ai portatori dei diversi interessi coinvolti, è come sedersi su un trespolo piuttosto che su una sedia e ciò rappresenta un grave errore, perché può di per sé compromettere la capacità di raggiungere la stessa finalità perseguita, nonché quella di provvedere ai bisogni essenziali dell'umanità.
D’altra parte la sovrapponibilità delle finalità non può che essere parziale; come rappresentato nella figura solo una minima parte presenta una perfetta sostenibilità, che per altro differisce in ogni specifico agro-ecosistema, mentre nella realtà concreta ci si trova a operare al di fuori della stessa in posizioni diverse e ad una distanza più o meno accentuata.
Le diverse finalità si sostanziano poi in obiettivi specifici (tab. 1) che possono portare a sinergie così come a trade off e che comportano valutazioni, spesso complicate, al fine di limitare gli effetti negativi su altri obiettivi e sulle finalità sia specifiche che complessive.
Le scelte "sostenibili", in termini di tecniche, metodi e modalità di organizzazione della produzione, dovrebbero perciò agire in direzione centripeta e non centrifuga, sostanziandosi caso per caso e situazione per situazione.
Ogni diverso sistema produttivo agricolo, da quello più intensivo a quello a più basso impatto ambientale, può contribuire al miglioramento della sostenibilità complessiva, perseguendo con maggiore efficienza le diverse finalità, ovvero migliorando le proprie specifiche performance (ad es. la produttività) riducendone al tempo stesso le ricadute negative (ad es. la qualità del suolo, dell'acqua e dell'aria). D'altro canto ogni sistema produttivo, anche quello più ecologico, può diventare insostenibile per errori di gestione o per cambiamenti (economici, sociali, ambientali, ecc.) della realtà esterna.
Ben si comprende allora la complessità della questione, molto diversa dalla semplice rinuncia a qualcosa, e l’esistenza di una varietà di soluzioni o meglio di approcci possibili e razionali per conseguire una maggiore efficienza, non solo produttiva o non solo ambientale, stante uno dei fondamentali dell’attività agricola, ovvero l’estrema variabilità delle condizioni in cui si opera.
Sostenibilità competitiva
A questo riguardo un recente volume a cura di Michele Pisante (Agricoltura sostenibile, Edagricole-Gruppo 24ore) utilizza come paradigma quello della «sostenibilità competitiva», considerando che per «la limitata disponibilità di risorse naturali e la crescente richiesta di cibo da parte della popolazione mondiale non c’è altra scelta se non quella di intensificare la produzione agricola», in direzione di un approccio multidisciplinare indispensabile per «riequilibrare con saggezza il ruolo dell’agricoltura nella filiera alimentare, un modello integrato di tecnologie e innovazioni rivolte ad assicurare un equo profitto economico, salvaguardare la fertilità del suolo agrario e valorizzare le risorse naturali a beneficio dei consumatori, dell’ambiente, del clima e più in generale a favore delle future generazioni».
A questo fine viene evidenziata la necessità di innovazioni e tecnologie efficienti da integrare, applicare e diffondere razionalmente con l’obiettivo di perseguire una «Intensificazione sostenibile della produzione».
Un obiettivo realizzabile se si considera la sostenibilità dell’agricoltura non come uno stato (magari spacciato per naturale), ma come un percorso che tende progressivamente all’ottimo, affinando nel tempo, attraverso la ricerca, la sperimentazione e la valutazione, svariate soluzioni che nella maggior parte dei casi rimarranno un compromesso tra i diversi aspetti della sostenibilità (ambientale, economica, produttiva, sociale).
Al fine di sviluppare i principi dell’agricoltura sostenibile (uso prudente delle risorse rinnovabili, miglioramento e non semplice preservazione o riduzione del degrado delle risorse naturali, miglioramento della qualità della vita e del reddito) si rende quindi indispensabile prendere in considerazione i possibili “sistemi produttivi sostenibili” (agricoltura integrata, biologica, di precisione, conservativa, ecc.) e tutte le diverse tecnologie disponibili, da adottare e applicare in modo razionale e con differenti soluzioni integrate, negli specifici contesti.
Non quindi un “prescritto set di pratiche”, anche se si può evidenziare come alcune pratiche agronomiche (rotazioni, lotta integrata, minima lavorazione) possono nella maggior parte dei casi costituire opzioni tecniche di carattere generale.
Se la sostenibilità non è quindi uno stato definito, ma un processo dinamico, risulta inoltre fondamentale valutare la capacità di adattamento (resistenza, recupero, elasticità) a mutate condizioni (biotiche, abiotiche, di mercato, ecc.) e tener presente che le scelte operano secondo differenti orizzonti temporali.
Nel breve-medio periodo l'approccio sarà necessariamente di carattere incrementale, comprendendo pratiche/tecniche produttive in grado di aumentare la sostenibilità già raggiunta: minima lavorazione, agricoltura di precisione, piani di fertilizzazione, diversificazioni colturali (rotazioni, varietà, ecc.), metodi d’irrigazione, lotta biologica integrata, miglioramento genetico tradizionale e moderne tecniche d’ingegneria genetica, ecc., ma anche diversificazione dell'attività aziendale, nuovi mercati e/o nicchie di mercato. L'adozione di una o più di queste e altre soluzioni ovviamente potrà variare in rapporto al territorio, alle caratteristiche aziendali, al mercato.
Nel lungo periodo, viceversa, è possibile prospettare scelte che portino a una vera e propria trasformazione del sistema e/o del territorio produttivo e che richiedono investimenti e valutazioni molto complesse, ma che possono portare, ad esempio, significativi miglioramenti nella gestione di una risorsa preziosa e limitata come l'acqua attraverso il raggiungimento di economie di scala. Tali scelte, ancor più di quelle di breve-medio periodo, necessitano di un'intensa attività di ricerca interdisciplinare allo scopo di valutare ex-ante la complessità degli effetti della trasformazione.
Crescita demografica e fattori produttivi
Non ci si può nascondere come le diverse finalità (ambientale, economica, produttiva, sociale) presentino gradi d’importanza variabili nel tempo e nelle diverse parti del mondo. Esiste tuttavia un ulteriore obiettivo che le sovrasta e del quale è necessario avere sempre consapevolezza anche nelle situazioni in cui non se ne ha una percezione diretta. Ci riferiamo alla lotta alla fame nel mondo: la sottonutrizione riguarda ancora circa 900 milioni di persone, pur se molto è stato fatto negli ultimi decenni, se non altro per impedire che aumentasse il numero assoluto di persone sottonutrite, tanto che la percentuale sul totale della popolazione mondiale si è quasi dimezzata nell'arco di quattro decenni.
La situazione è quindi relativamente migliorata, ma permane drammatica presentando preoccupanti aspetti di fragilità anche improvvisa: basta ricordare come durante la crisi alimentare del 2009 la popolazione sottonutrita sia repentinamente arrivata a superare il miliardo, a causa della difficoltà di accesso al cibo determinata dall'impennata dei prezzi.
Senza riuscire a risolvere o quanto meno a ridurre drasticamente questa situazione la distanza dalla “perfetta” agricoltura sostenibile rimane abissale; la lotta alla fame è quindi la priorità da perseguire e la sfida principale per l’agricoltura mondiale.
Avendo come orizzonte la metà del secolo, studi recenti indicano che ridurre il numero di persone sottonutrite, portandone l’incidenza a meno del 5% della popolazione mondiale, può essere sostenibile tenendo conto di alcune condizioni e raggiungendo alcuni obiettivi (tab. 2).
Un primo aspetto riguarda la crescita demografica e l’aumento del consumo di alimenti, in previsione anche di un incremento dell’apporto calorico medio giornaliero. Il balzo che ci attende appare vertiginoso (39% per la popolazione e 55% per le calorie), è tuttavia inferiore a quello che si è verificato in un arco temporale analogo a partire dagli anni Sessanta dello scorso secolo (110% per la popolazione e 164% per le calorie).
Per raggiungere questi livelli di alimentazione, tenuto conto anche degli utilizzi non alimentari, la produzione agricola dovrà però crescere del 60%, quella dei cereali del 46% e quella della carne del 76%. Anche in questo caso si tratta di incrementi consistenti, ma nettamente inferiori a quelli degli ultimi decenni.
Esistono anche dei vincoli legati alla disponibilità di fattori produttivi: così il contributo derivato da nuove superfici e dall’espansione di quelle irrigate sarà limitato e molto inferiore rispetto al passato, mentre la crescita nell’impiego dei fertilizzanti dovrebbe rallentare. Inoltre anche il contributo derivante dall’incremento delle rese tenderà a diminuire con tassi di crescita via via decrescenti, come nel caso dei cereali, a causa dell'avvicinamento al massimo potenziale biologico delle specie coltivate.
Su questo scenario grava poi l'incombenza dei cambiamenti climatici il cui impatto globale è difficilmente stimabile, dipendendo sia dall'intensità e velocità che dal bilancio perdite/guadagni che si andranno a determinare nelle diverse parti del mondo, ma che sicuramente andrà a condizionare le scelte.
Indietro non si torna
Come sarà possibile quindi perseguire l’ambizioso obiettivo del contenimento della sottonutrizione e di conseguenza l’aumento della produzione agricola? Non esistono ricette univoche, ma molto si può fare attraverso il miglioramento dei fattori produttivi impiegati e una gestione più efficiente degli stessi, oltre a ridurre perdite e sprechi che vanno dal campo, soprattutto nei paesi poveri, alla tavola, soprattutto in quelli ricchi.
In senso generale un percorso virtuoso verso una maggiore sostenibilità complessiva necessita perciò di investimenti, di sperimentazione e assistenza tecnica, di formazione, di ricerca e di innovazioni di processo e di prodotto.
In questo scenario, senza nulla togliere a scelte locali o individuali razionali, un ritorno ideologico tout-court a modi di produzione "tradizionali", abbandonando quanto il progresso tecnologico ha reso disponibile nell'ultimo secolo (varietà migliorate, fertilizzanti minerali, prodotti per la difesa delle piante, ecc.) o rifiutando aprioristicamente quanto di nuovo si sta mettendo a punto (come ad es. nel caso delle piante geneticamente modificate) appare insostenibile a livello di sistema agricolo mondiale.
Abbassando la produttività unitaria ciò comporterebbe, infatti, la necessità di mettere subito a coltura, qualora fosse possibile, buona parte della superficie a prati e pascoli permanenti, arrivando a breve ad intaccare significativamente anche il 26,5% della superficie delle terre emerse attualmente riservata alle foreste; questo solo per mantenere l'attuale situazione alimentare.
Si tratta di un caso evidente di un modo di produzione che perseguendo finalità ambientali può determinare trade-off negativi rispetto alle finalità produttive, economiche e di benessere, mettendo a rischio la stessa preservazione delle risorse naturali. Una scelta razionale in ambiti specifici e in grado di migliorare la sostenibilità agricola di singole realtà aziendali (anche in termini economici e di benessere) può quindi tradursi in un pericoloso fallimento se venisse adottata come modello esclusivo di sostenibilità. Il ruolo dell'innovazione nelle sue diverse declinazioni rimane perciò fondamentale. n
L’autore è del dipartimento di Economia, management e metodi quantitativi (Demm), presidente del comitato di direzione della facoltà di Scienze agrarie e alimentari dell’Università degli studi di Milano.