I robot agricoli, detti anche Agbots o Farm Bots di cui abbiamo già parlato in precedenza, rappresentano un settore di punta della tecnologia, che promette importanti realizzazioni nel prossimo decennio o anche prima.
Per dimostrarlo parleremo di macchine alquanto particolari, che a prima vista non sembrerebbero neppure far parte di questa categoria. Come nel caso del progetto Plantoid (http://www.plantoidproject.eu/), coordinato dall’Istituto Italiano di Tecnologia di Pontedera (terminerà nell’Aprile del 2015), che sembra preso in prestito da una fiction di George Lucas.
Si tratta di realizzare un prototipo di robot che imiti gli apparati radicali. Sarebbe così possibile creare un network di protesi rizosimili la cui capacità di esplorazione del terreno si avvicini a quella delle comuni radici. Un appropriato set di sensori consentirebbe al robot distribuito di orientarsi e valutare le caratteristiche chimiche e gli stimoli dell’ambiente edafico. È un modello di pianta robotica che prende forma, le cui applicazioni potrebbero essere molte e importanti, fra le prime che vengono in mente: il monitoraggio del terreno, l’ottimizzazione delle operazioni di fertilizzazione o irrigazione, lo studio della rizosfera. L’originalità di questo progetto non deve far pensare di essere di fronte a una “stranezza”.
Perché oggi i robot possono entrare in forme effettivamente inusuali, tuttavia straordinariamente efficaci, nella gestione delle coltivazioni. Si tratta di congegni relativamente nuovi derivanti dall’interazione fra due mondi: quello degli apparati meccanici miniaturizzati con elevate capacità di auto-dislocazione e operative, con quello dei sensori, anche loro sempre più piccoli ed affidabili. Tutto ciò consentirebbe a una nuova generazione di Agbots di operare e rilevare, con la precisione vicina a quella di una strumentazione da laboratorio, la posizione, lo stato del suolo e della vegetazione, consentendo interventi pressoché “chirurgici” che un provetto agronomo non sarebbe capace di effettuare con mezzi ordinari.
Swarm Farm Bots
Altro esempio di tale approccio sono gli Swarm Farm Bots. Si tratta di piccolissimi robot (swarm significa sciame), che fra pochi anni vedremo “zampettare” come granchietti nel campo, collaborando fra loro, per effettuare operazioni colturali che richiedono precisione e massima dislocabilità. Se ne parla un bell’articolo di New Scientist TV “Autonomous robot swarm takes over farm work”, all’indirizzo (http://www.newscientist.com/blogs/nstv/2012/10/farm-robots.html).
Uno di questi robottini è stato realizzato dalla Dorhout R&D (http://dorhoutrd.com/prospero_robot_farmer), una piccola ma agguerrita Company high tech che opera nel campo dell’intelligenza artificiale. Il giocattolo, si fa per dire, si chiama Prospero, come il mago dominatore della natura nella Tempesta di Shakespeare o il robot liberato e sovversivo dei romanzi di Roger MacBride. Più prosaicamente Prospero è un Autonomous Micro Planter-AMP (micro piantatrice autonoma), in grado di operare in grandi numeri, per effettuare la semina, la cura e la raccolta di una coltivazione in pieno campo o in ambiente confinato. Per adesso Prospero semina soltanto, ma è molto preciso. Il breve filmato all’indirizzo (http://www.youtube.com/watch?v=jdEdV-ct1HM) lo mostra mentre trivella il suolo, lo fertilizza e vi inserisce dei semi. Insomma, un lavoro accurato che, cosa interessante, può essere effettuato in file ma anche seguendo una tracciato bidimensionale a piacere.
Naturalmente i micro robot si possono dislocare anche in cielo. È il caso dei Farm drones, piccoli aerei o elicotteri (controllati o autonomi), che volando possono monitorare suolo, colture e bestiame.
Droni e Api robot
Robobees, l’ape robotica (https://robobees.seas.harvard.edu/) è un progetto basato proprio su congegni di questo tipo che somiglia un poco, nell’approccio e nella scala dimensionale, a quello delle protesi radicali dell’Iit di Pontedera.
Il prototipo è stato realizzato da un gruppo di studio dell’Università di Harvard. Il tentativo è di creare un “Autonomous flying honey bee robot” (ape robot volante in modo autonomo), complesso macchinario delle dimensioni di un imenottero. Dal lato software, c’è da segnalare la partecipazione di scienziati dell’Università di Sheffield e del Sussex (http://inhabitat.com/uk-scientists-to-create-an-autonomous-flying-robot-with-a-virtual-honey-bee-brain/), che stanno cercando di elaborare un modello in grado di simulare l’attività cerebrale dell’ape mellifica. Così il minuscolo congegno potrebbe diventare addirittura autonomo, prendendo decisioni appropriate relativamente al contesto operativo mentre vola di fiore in fiore come un qualsiasi calabrone. Ma a che servirebbe?
Il fine dell’utilizzo del flying honey bee robot dovrebbe essere principalmente quello di garantire l’impollinazione delle coltivazioni. Come tutti sanno, questo processo è di vitale importanza per i vegetali, ma a causa dell’elevato disturbo dell’agroecosistema, a causa delle operazioni colturali e dei pesticidi, è diventato problematico in tutte le agricolture tecnologiche. Soprattutto i pesticidi allontanano o uccidono i pronubi veri, senza tuttavia infastidire minimamente quelli artificiali, che potrebbero così continuare indisturbati a impollinare i fiori. Il progetto è davvero fantastico, ma la motivazione di base, un po’ deprimente.
Sarebbe forse preferibile investire più intelligenza e finanziamenti per affrontare direttamente la questione dell’estinzione dei pronubi, piuttosto che cercare di sostituirli con la robotronica.
Questo tripudio di miniaturizzazione non deve comunque farci dimenticare che esistono anche droni un po’ più grandi di un’ape, copie degli aerei veri, ma del peso di pochi chili. Sono degli oggetti volanti guidati da terra (sarebbero il sogno di ogni bambino), grazie ai quali è possibile analizzare lo stato delle coltivazioni e del suolo dal cielo, fornendo all’agricoltore immagini preziose per impostare al meglio ogni intervento colturale.
Sfere sentinella
Ma non ci sono solo micro droni, apici radicali, insetti e granchietti meccanici.
Ecco a voi quelle che potremmo definire “bilie da esplorazione”. Si tratta dei primi risultati del progetto Rosphere dell’Università Politecnica di Madrid (http://www.upm.es/internacional/UPM/UPM_Channel/News/9ec27b9df516f310VgnVCM10000009c7648aRCRD) e rappresenta un altro fantastico esempio di inventiva del vecchio Continente.
Questa volta il modello funzionale che ha ispirato le teste creative sono le cosiddette Hamster ball, micro-palestre, in forma di sfere plastiche, in cui si possono racchiudere criceti e gerbilli. Gli animaletti hanno così la possibilità di muoversi liberamente, facendo rotolare il congegno per la casa o il giardino, senza la possibilità di scappare.
Rosphere (o spherical robot) vi somiglia notevolmente. L’apparato è provvisto internamente di una specie di pendolo, definito “instability generator mechanism”, come dire “meccanismo che produce instabilità”, il quale consente alla palla di sbilanciarsi dinamicamente (avanti/indietro/di lato), in modo di poter rotolare e anche cambiare direzione. Il robot è fornito di GPS e sensori di prossimità, con il quale guida la sua navigazione, e, grazie alla sagoma, può attraversare una coltivazione erbacea senza produrre danni. Sempre per la forma sferica è anche particolarmente adatto a muoversi su terreni sabbiosi e incoerenti, dove le zampe meccaniche incontrerebbero invece difficoltà a procedere. Una connessione Wi-fi consente il collegamento alla Rete e la trasmissione dei dati, che Rosphere rileva sul suolo e la coltivazione e che sono elaborati da due micro-computer interni. Per ora il prototipo misura l’umidità del terreno, ma presto la gamma di rilevazioni potrà essere ampliata, rendendo il robot particolarmente adatto per utilizzi nell’ambito dell’agricoltura di precisione.
Esperienze australiane
Non dimentichiamo che tutti questi congegni sono al centro di manifestazioni a metà fra il Workshop scientifico e l’esibizione circense, come Robotronica, definita dai suoi organizzatori come l’evento di: “Robotica epica e spettacolare che fornisce una visione sbalorditiva del futuro”), è un appuntamento di spicco della QUT (Queensland University of Technology), in cui uno dei settori significativi è stato proprio quello degli Agbots visibili su YouTube all’indirizzo (www.youtube.com/watch?v=aLHM4SOlWwM).
Citiamo l’iniziativa anche perché suscita in noi una certa dose di invidia se pensiamo che è considerata, a tutti gli effetti, un’attività a favore degli agricoltori, messa in campo congiuntamente dai Ministeri dell’Agricoltura e delle Risorse Naturali australiani.
Nel luglio del 2013 questi hanno avviato un programma dal titolo “Nuove tecnologie a sostegno degli agricoltori del Queensland” (http://statements.qld.gov.au/Statement/2013/7/19/new-technology-supports-queensland-farmers) e messo a disposizione tre milioni di dollari al fine di favorire la creazione di un sistema automatizzato di controllo delle infestanti ed in ultimo raddoppiare la produzione di alimenti per il 2040. Che altro aggiungere? Beati loro.
Utilizzazioni estreme
Abbiamo terminato il nostro breve viaggio nel mondo dei piccoli ma tostissimi Agbots di nuova generazione. Certo i robot rappresentano un vecchio sogno dell’umanità, quello di avere tanti servi ubbidienti e infaticabili, che lavorano per noi giorno e notte a testa china, ma senza darci la spiacevole sensazione di stare schiavizzando qualcuno. Perché un “pezzo di ferro” con circuiteria e un cuore di silicio non soffre per definizione. Sarò poi vero? Nella struggente fiction AI - Artificial Intelligence (2001), di Stanley Kubrick (da un’idea di Steven Spielberg), si parla di un piccolissimo automa, affettuoso come un bambino vero, che cerca disperatamente di trovare la propria mamma e alla fine muore fra le sue braccia. Ma stiamo tranquilli. Ancora per un bel po’ di tempo, sarà difficile si possa arrivare a tanta perfezione.
I robot sono il nostro futuro provvisorio, prima che qualcosa di ancora più sofisticato arrivi a solleticare la fantasia dei “tecnomadi”, alla perenne ricerca di applicazioni sempre più “estreme” (non abbiamo ancora parlato di vere nanotecnologie) nell’agricoltura come anche nel controllo ambientale.
Avrete notato che c’è davvero molta creatività in questi congegni. Gruppi di tecnologi e scienziati ce la stanno mettendo proprio tutta come nel progetto italiano dell’Iit, o nelle sfere rotolanti del Politecnico di Madrid.
I presidi e i docenti delle Facoltà di Scienze agrarie siano allora accorti. Se non l’hanno già fatto, considerino attentamente l’introduzione di corsi operativi di reti, robotica e sensori, soprattutto per gli indirizzi di produzione vegetale e animale. Così potranno offrire ai propri studenti una via che li condurrà a un intero continente di applicazioni avanzate che sta per arrivare e sarà probabilmente una parte significativa del loro futuro professionale. The robots are coming!