Semina e Trapianto

Biochar, ritorno al passato

Un tipo di carbone vegetale ottenuto dalla carbonificazione di biomasse che migliora il pH di terreni acidi, favorisce la nutrizione delle piante limitando la lisciviazione e facilita le difese microbiche naturali del suolo ai patogeni

Sembra che la soluzione ai problemi ambientali dei nostri giorni arrivi dal passato e sia racchiusa in un materiale conosciuto da sempre: il carbone vegetale, oggi chiamato con svariati nomi in base al materiale d’origine e al suo processo di lavorazione, tra cui biochar. Con il termine “biochar” s’intende il materiale ottenuto dalla carbonificazione di biomasse diverse, prodotto specificatamente per l’applicazione al suolo a fini agronomici e ambientali. La scoperta delle sue proprietà agronomiche risale alle civiltà di epoca pre-colombiana che per promuovere la scarsa produttività dei suoli, molto poveri a causa della loro origine e del forte dilavamento, usavano interrare il carbone vegetale. A testimonianza di tale pratica e dell’alto grado di persistenza nel terreno del carbone vegetale, sono i ritrovamenti nella foresta amazzonica di suoli molto fertili (terra preta dos Indios) contenenti elevate concentrazioni di carbone vegetale poco alterato malgrado il lungo tempo di permanenza all’interno del suolo. L’interesse della comunità scientifica internazionale per quella che avrebbe potuto essere classificata come una semplice curiosità storica è stato promosso dalla considerazione che oggi disponiamo di un materiale del tutto simile all’antico carbone vegetale. Infatti, dal processo di combustione di biomasse diverse in assenza di ossigeno, detto pirolisi, è possibile ottenere un gas (syngas) con un medio potere calorifico, che può essere utilizzato per la produzione di energia elettrica e calore, e un sottoprodotto solido chiamato biochar. Se poi al processo di pirolisi fa seguito un processo di gassificazione, la resa energetica aumenta e il biochar residuo è quantitativamente minore e qualitativamente differente.

Carbon negative

Esistono quindi biochar diversi a seconda delle tecniche di combustione e dei materiali in ingresso (scarti legnosi, biomasse da colture energetiche, residui colturali, letami, compost, fanghi di depurazione ecc..). Malgrado questa eterogeneità all’interno della categoria, la maggior parte dei biochar possiede, con intensità e modalità differenti, la capacità d’incidere positivamente sulla fertilità dei suoli e quindi sulla produttività delle piante. Inoltre, la loro natura chimica complessa dà ragione della recalcitranza alla degradazione una volta incorporati ai suoli. In tal modo il biochar risulta essere una riserva a lungo termine di carbonio, in quanto la sua struttura aromatica ne ostacola la decomposizione da parte dei microrganismi del suolo e quindi la dispersione nell’atmosfera sotto forma di anidride carbonica. Si può parlare addirittura di “carbon negative” in quanto risulta che il biochar sia in grado di sequestrare carbonio più di quanto se ne emetta per produrre energia nel processo di pirolisi, anche se non è facile effettuare un bilancio in tal senso, per la complessità dei fattori da considerare e la scarsità dei dati sperimentali a tutt’oggi disponibili.

Pregi e difetti

Una delle caratteristiche principali del biochar è la sua elevata superficie reattiva, paragonabile a quella dell’argilla, dovuta a un’estesa porosità interna del materiale e che spiega la maggior ritenzione di acqua e nutrienti e l’assorbimento di molecole organiche e inorganiche. Altro aspetto importante è la sua reazione alcalina, dovuta all’abbondanza di carbonati e anioni organici, che lo rende idoneo per migliorare il pH di terreni acidi. Il biochar favorisce la nutrizione delle piante non solo trattenendo i nutrienti sulle sue superfici reattive e quindi limitandone la lisciviazione, ma anche attraverso un diretto apporto di nutrienti. Quest’ultimo è tuttavia un effetto minore, a causa della relativa scarsità di nutrienti nelle maggior parte delle biomasse che originano i biochar, a cui fanno eccezione materiali ricchi in azoto come i letami e i compost. Inoltre si è visto in recenti studi che il biochar è in grado di trattenere nel suolo, a livello della rizosfera, nutrienti come i nitrati; di migliorare l’utilizzo dell’azoto da parte delle piante, agendo direttamente sui processi biologici di ammonificazione e nitrificazione; di migliorare la disponibilità dei microelementi, come ferro, manganese, zinco e nichel, in particolare nei suoli calcarei dove la loro presenza nella soluzione circolante del terreno è scarsa. È l’influenza del biochar sulle proprietà biologiche del suolo l’effetto che meglio spiega i benefici complessivi del biochar alle colture. Infatti le particelle di biochar ricche di acqua e nutrienti costituiscono dei ‘punti caldì nel suolo, nei quali le popolazioni microbiche e fungine autoctone trovano un microambiente favorevole. La maggior attività biologica conseguente può favorire la competizione con microrganismi patogeni, stimolando in tal modo un effetto soppressivo, come visto in recenti studi sulla Botrytis cinerea, patogeno fogliare di numerose specie coltivate; in particolare uno studio ha rivelato che in peperone e pomodoro la presenza di marciumi è diminuita in modo significativo nelle piante coltivate con biochar. Inoltre addizionato al suolo si è dimostrato capace d’influenzare la composizione della popolazione microbica della rizosfera, favorendo le popolazioni che promuovono la crescita delle piante e la resistenza agli stress biotici e abiotici. Il biochar è in grado di modificare il colore del suolo, in particolare se utilizzato in elevate quantità (5Kg/m3) andando così a diminuirne l’albedo. Molto documentata è la capacità di trattenere molecole inquinanti, sia inorganiche che organiche, tanto che se ne sperimenta l’impiego nel risanamento di suoli contaminati. Tra i possibili aspetti negativi legati all’impiego in agricoltura, il principale riguarda la natura fisica del biochar, costituita da materiale molto friabile e polveroso, che ne rende difficile la distribuzione e aumenta i rischi di erosione del suolo superficiale e di diffusione di polveri in atmosfera. Inoltre un possibile rischio può essere la contaminazione del suolo da metalli pesanti, diossine, idrocarburi policiclici aromatici, dovuta all’utilizzo di biochar ricavati da matrici inadeguate o da un processo di combustione non idoneo.

Coltivazione in vaso

Un settore di applicazione del biochar, nel quale le sue già sperimentate proprietà positive possono trovare una nuova valorizzazione, è quello della coltivazione di piante in contenitore, sia ornamentali che orticole. L’aggiunta di biochar ai tradizionali materiali costituenti i substrati di coltivazione (torba in prevalenza, ma anche cocco, compost e materiali vulcanici come lapillo e pomice) è potenzialmente in grado di apportare numerosi benefici alle piante allevate in un ambiente confinato. Un buon substrato di coltivazione deve offrire alle radici delle piante cresciute in vaso la massima disponibilità di aria e acqua, ospitare una flora microbica benefica in grado di contenere lo sviluppo di patogeni, dimostrare elevata stabilità sia fisica che biologica e infine permettere una facile gestione della concimazione. Il biochar è potenzialmente in grado di intervenire su quasi tutti questi aspetti. Saranno i risultati delle prime sperimentazioni che si stanno conducendo in Italia e negli altri Paesi a indicare concretamente l’efficacia, le modalità d’azione e i possibili settori di impiego del biochar nel florovivaismo professionale. Alcuni gruppi di ricerca italiani stanno conducendo ricerche in campo, in serra e in laboratorio, per valutare l’effetto del biochar su diverse colture ornamentali. Tra questi il dipartimento di Scienze agrarie e ambientali (Disaa) dell’Università degli studi di Milano, presso il quale sono in corso prove sperimentali su miscele di torba di sfagno e biochar da pirolisi, con l’obiettivo di valorizzare oltre alle proprietà fisiche anche il potere correttivo del biochar, in sostituzione dei correttivi calcici. A titolo di esempio, in tabella sono riportati i risultati riguardanti la neutralizzazione dell’acidità di una torba miscelata con 30% v/v di biochar ottenuto da pirolisi di conifere, impiegando tre diverse granulometrie quali: G1 da 10 a 6 mm, G2 da 6 a 3.5 mm e G3 inferiore a 3.5 mm. Dai risultati si osserva come il pH della torba sia aumentato in tutte e tre le miscele e che la granulometria più fine (<3.5 mm) sia stata in grado di portare il pH della torba quasi alla neutralità. Il miglioramento dell’ambiente fisico e chimico indotto dal biochar ha consentito inoltre di ottenere una più alta percentuale di semi germinati di crescione e un maggior accrescimento radicale di orzo. Questi primi risultati lasciano intravedere un promettente campo di applicazione, nel quale una pratica antica come la produzione di carbone vegetale potrà combinarsi con tecnologie moderne d’impiego. Gli autori sono del dipartimento di Scienze agrarie e ambientali, Università degli studi di Milano

Biochar, ritorno al passato - Ultima modifica: 2014-02-21T10:44:50+01:00 da nova Agricoltura

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