«Sono quasi coetaneo della Pac e so come ci si sente a questa età».
Più saggi e riflessivi, ma forse un po’ meno battaglieri. Con un occhio più disincantato verso le grandi pianificazioni di un futuro di sviluppo, come quelle del New Green Deal.
E più accondiscendenti nei confronti dell’irruenza di politiche più giovani, come quelle della transizione energetica del Fit For 55 o della strategia Farm to Fork, che vorrebbero imporre alla Pac le scelte su cosa e come coltivare e come venderlo.
La “confessione” di Dino Scanavino, presidente di Cia Agricoltori Italiani è però solo una battuta. Perché nella tavola rotonda sulla riforma della Pac 2023-2027, che si è tenuta nel corso dell’evento inaugurale della 115° Fieragricola di Verona, il presidente di Cia Agricoltori Italiani non si è certo mostrato meno agguerrito nel criticare i punti dolenti della riforma che entrerà in vigore il prossimo gennaio.
Troppi obiettivi con meno risorse
Al Palazzo della Gran Guardia l’ente fieristico veronese ha acceso i riflettori sull’importante ricorrenza dei «Sessant’anni di Politica agricola comune: quali sfide per la Pac? La vision al 2050». Una giornata di riflessione dedicata alla prima politica di aggregazione dell’Europa unita, applicata dal 1962, suddivisa in tre diversi momenti di approfondimento.
Nel Focus conclusivo, dedicato per l’appunto al futuro (incerto) della prossima programmazione della Politica agricola comunitaria, il moderatore Roberto Iotti de Il Sole 24 Ore ha ricordato gli ambiziosi obiettivi della riforma:
- garantire un reddito equo agli agricoltori (obiettivo storico fin dal 1957);
- aumentare la competitività (idem);
- riequilibrare la distribuzione del potere nella filiera alimentare (lungi dall’essere realizzato);
- agire per contrastare i cambiamenti climatici (obiettivo tutto nuovo);
- tutelare l'ambiente (non inedito, ma recente);
- salvaguardare il paesaggio e la biodiversità (idem);
- sostenere il ricambio generazionale (ça va sans dire);
- sviluppare aree rurali dinamiche (occorre però mettersi d’accordo sul termine “dinamismo”);
- proteggere la qualità dell'alimentazione e della salute (se la soluzione è il Nutriscore, l’Italia ha molto da ridire).
Obiettivi raggiungibili in sei anni?
«Non sono negativo – spiega Scanavino - nei confronti della prossima Pac». «Con la guerra in Ucraina e dopo due anni di emergenza sanitaria siamo in uno dei periodi più cupi dal dopoguerra, ma Pac, Pnrr e ancor più il Green Deal Ue non devono essere messi in discussione».
«La Pac - ricorda Scanavino, attribuisce agli agricoltori un ruolo decisivo, almeno a parole: quello di costruire e garantire quella sostenibilità ambientale, economica e sociale fortemente auspicata dalle nuove generazioni».
«Però la sua architettura e in particolare le scelte riguardo agli ecoschemi non possono diventare occasione di competizione sleale tra i diversi Paesi Membri». «Abbiamo fatto le corse per elaborare in tempo il Psn, piano strategico nazionale, mentre molti devono ancora consegnare a Bruxelles il proprio, ad esempio la Germania. A questo punto era meglio se eravamo noi ad aspettare le scelte altrui ed adeguarci di conseguenza».
Questa non è più politica economica
«In 60 anni la Pac -riconosce Massimiliano Giansanti, presidente di Confagricoltura - ha fornito strumenti decisivi per la crescita dell’agricoltura e la tutela sui mercati». «Proprio ora che il mercato diventa sempre più selettivo, la Pac ha però smesso di essere una politica economica, condizionata da un insieme di indirizzi ingarbugliati che rischiano di non farci raggiungere nessuno degli obiettivi auspicati».
«Di sicuro – stigmatizza - non quello di garantire un reddito equo agli agricoltori, come certificano gli studi di impatto prodotti dagli States e da alcune organizzazioni europee. Ma forse nemmeno quelli di tutela ambientale, visto che i primi sono fortemente legati ai secondi».
Sostegni flat rate
Una volta infatti la Pac ammortizzava le differenze di reddito, ora si va verso il sostegno forfetizzato. Affrontiamo un taglio del 15% delle risorse, e gli effetti finora rimandati della convergenza interna. «Tutti perdiamo qualcosa con questa Pac – conferma Giansanti-, ma il Psn (Piano strategico nazionale) ha responsabilizzato il Governo e ha consentito a tutti noi di contribuire per dare una direzione al Paese».
«Il guaio ora è che se Bruxelles, nella sua analisi dei Psn che dovrebbe finire entro giugno, interviene su alcune delle scelte, ad esempio sugli ecoschemi, salta tutto il castello di pesi e contrappesi che abbiamo costruito per salvaguardare i settori più penalizzati dalla Pac (come quello dei seminativi, zootecnia, pomodoro da industria ecc)».
Si torna a parlare di autosufficienza alimentare
«È tutto drammaticamente vero – conferma Ettore Prandini, presidente Coldiretti - ma i problemi non sono solo a Bruxelles». «I tagli all’agricoltura – evidenzia - rendono ancora più scandaloso il fatto che alcune amministrazioni regionali perdano le risorse del secondo pilastro per incapacità di spesa senza che sia possibile ridistribuire questi fondi alle più virtuose».
La Pac è da 60 anni un importante momento di unità per il vecchio Continente. «E non è certamente scontato che questa esperienza termini con la prossima programmazione, come si sosteneva a Bruxelles prima delle emergenze di questi mesi». «Ciò che sta accadendo nelle ultime ore – evidenzia il presidente di Coldiretti – mette in luce la necessità di essere sempre meno dipendenti dalle importazioni».
Abbiamo imparato quanto l’agroalimentare sia un settore strategico, dopo l’emergenza per l’impennata dei prezzi dell’energia non possiamo subire quello dei beni di prima necessità. «Puntare all’autosufficienza non è più un tabù, ma per riuscirci occorre investire per consentire al nostro settore di competere».
Reciprocità, anche dentro l'Unione
Non è solo una questione di risorse. «Fondamentale è tutelare il principio della reciprocità. Le regole che vengono imposte all’interno dell’Ue e dell’Italia da questa Pac devono valere allo stesso modo per tutti i Paesi da cui importiamo».
Vale per il riso a dazio zero che proviene da Paesi dell’estremo oriente che utilizzano prodotti da noi banditi 40 anni fa e che ricorrono a manodopera minorenne, ma deve valere anche all’interno dell’Unione, dove alcuni principi attivi revocati in Italia continuano ad essere utilizzati altrove. «Altrimenti succede come per le pere, indifese in Italia di fronte all’attacco di parassiti e malattie, e poi sugli scaffali troviamo quelle spagnole».
Sbloccare le Nbt da domani
«Quando invece la nostra missione dovrebbe essere quella di portare i prodotti di qualità del made in Italy nella grande distribuzione di tutto il mondo, cancellando l’usurpazione dell’italian sounding».
Ci si può riuscire, secondo Prandini, valorizzando il tema della ricerca. «Le Nbt o Tea (tecnologie di evoluzione assistita) possono dare un grosso contributo nella difesa delle nostre tipicità, ma non possiamo aspettare i lunghi tempi della burocrazia Ue: lo decida domani il Consiglio dei Ministri agricoli convocato a Bruxelles lo sdoganamento immediato di queste risorse».
Non vince nessuno, ma qualche settore perde più di altri
Scettico sulla prossima Pac anche Franco Verrascina, presidente di Copagri
«Ci hanno promesso semplificazione, e nella nuova Pac non c’è».
«Ci hanno garantito tutele sul reddito. Invece l’importo dei pagamenti di base è stato deciso con una logica residuale, dopo un taglio del 15% delle risorse complessive per l’Italia, ma del 35% nei sostegni diretti».
E tutto questo si verifica in un momento in cui i costi energetici vanno alle stelle. «Non vince nessuno -riconosce Verrascina-, ma alcuni settori perdono più di altri (seminativi, zootecnia, olivicoltura) e alcune Regioni pagano pegno in modo particolare. Dovremo cercare di utilizzare al meglio gli ecoschemi, ma non è facile. E il Farm to Fork mette a rischio il made in Italy in settori chiave come quello dei prodotti tipici di qualità».
«Riteniamo fondamentale da parte dell'Esecutivo comunitario – suggerisce Verrascina - un intervento che miri a limitare l'impatto sul primario della fiammata senza precedenti dei costi produttivi ed energetici». «Un'operazione che richiederebbe un aumento degli anticipi degli aiuti Pac o quantomeno la possibilità di utilizzare i fondi dello sviluppo rurale per coprire, anche solo parzialmente, questi gravosi aumenti».
Golubiewski: «Per sciogliere i nodi strutturali c’è il Pnrr»
Una richiesta accolta come una provocazione da Maciej Golubiewski, capo di gabinetto del Commissario Ue all’Agricoltura. «Abbiamo già sperimentato – dice – quanto sia rischioso legare i contributi comunitari al tema della difesa della produttività e al bilanciamento dei costi produttivi».
La Pac secondo il politico polacco, non deve essere concepita come un’assicurazione per il reddito, altrimenti si indebolisce solo la posizione del comparto primario all’interno della catena del valore. «C’è molto del vostro Paese – ricorda – nello sviluppo di questa Pac. L’Italia è il Paese più virtuoso riguardo alla riduzione della chimica, tra i più virtuosi nel rapporto tra emissione di gas serra e prodotto lordo agricolo.
Il nostro obiettivo è proprio quello di premiare questi comportamenti virtuosi, ma anche quello di favorire lo sviluppo economico rurale attraverso filiere corte». I nodi messi in evidenza dalle associazioni agricole possono essere sciolti, secondo il rappresentate della Commissione, stimolando l’aggregazione e risolvendo i gap strutturali. E l’Unione europea, attraverso il Next generation Eu ci ha fornito le risorse proprio per raggiungere questi risultati (ma questa è un’altra storia).