La mancata soddisfazione reddituale
espressa dal grano tenero nella campagna
2013 a differenza di quanto invece
accaduto col grano duro, ha spinto molti cerealicoltori
del Nord ad ampliare le superfici destinate
alla coltivazione del grano duro. Il ripetersi
dei risultati reddituali negativi del tenero
anche nella campagna corrente orienterà ancora
tali cerealicoltori ad aumentare in futuro la
produzione del grano duro rispetto al tenero.
La situazione descritta è scaturita parlando
con alcuni produttori agricoli, a fine raccolta grano e inizio
campagna di commercializzazione. Si tratta solo di una risposta
emotiva non sufficientemente ponderata, derivata da fatti contingenti
difficilmente ripetibili?
Difficile trovare risposte certe, ma proveremo ad analizzare
lo scenario di riferimento per cercare di orientare al meglio le
scelte di semina da effettuare nelle prossime settimane.
La figura 1 mostra alcuni dati relativi alle ultime sette annate.
Come si può notare le rese produttive del grano duro non
sono così diverse da quelle del grano tenero. Gli scostamenti di
resa media – in passato elevati fino a oltre 20 q/ha – negli ultimi
7 anni si sono contenuti al massimo a meno di 10 q/ha, e negli
ultimi 3 le differenze registrate sono risibili. Fino a scomparire.
Evidentemente non si può parlare che di tendenza, stante il
ridotto periodo di analisi, ma certamente molte delle problematiche
specifiche della coltivazione del grano duro al Nord si stanno attenuando, stante anche il fatto che gli
aspetti qualitativi espressi dalle produzioni
negli anni considerati sono sempre stati buoni.
Addirittura nella campagna di raccolta appena
terminata la qualità ottenuta in Settentrione
è superiore a quella registrata al Centro-
Sud determinata da un andamento climatico
particolarmente sfavorevole soprattutto durante
la maturazione e la raccolta.
Gli andamenti di mercato registrano quotazioni
medie annue sempre superiori per il grano
duro a eccezione della campagna 2010 ove risultano similari,
con un andamento progressivamente più favorevole al duro
rispetto al tenero.
In sintesi i cerealicoltori del Nord che hanno aumentato la
produzione di duro rispetto al tenero “ci hanno preso” – usando
il gergo di campagna – in quanto hanno concretamente
ottenuto maggiore reddito.
Preso atto di ciò, vanno segnalati altri aspetti. Il grano tenero
non riesce a decollare e registra rese medie ettariali modeste
rispetto alle potenzialità produttive padane. Il grano duro, invece,
evidenzia rese mediamente più prossime ai dati massimi
storici ottenuti nel Nord, spesso ottenute grazie a un’attenzione
nella scelta dei terreni sui quali seminare e a ben individuate
operazioni colturali.
Pertanto il ragionamento di prospettiva deve tenere conto
anche del fatto che aumentando le superfici generalmente i picchi
produttivi si abbassano in
quanto non è sempre presente
la medesima vocazionalità e
possibili attenzioni particolari.
Riteniamo quindi credibile
pensare che le rese del tenero
debbano aumentare significativamente
mentre per quelle
del duro meno ci si deve
aspettare il consolidamento
delle attuali, già significative.
La qualità storicamente è
sempre stata superiore al Sud
rispetto il Nord. E, se in questa
campagna ciò non è vero, lo si deve principalmente a un anomalo decadimento delle performance
centro-meridionali, più che al significativo aumento di
quella ottenuta al settentrione che è in linea con le altre annate.
In questo scenario è possibile un ulteriore avvicinamento al
duro dei cerealicoltori del nord che possono ambire a rese e
qualità elevate. Allo stesso tempo possono ridurre la coltivazione
di grano tenero proporzionalmente ponderando comunque i
minori rischi produttivi determinati dalla maggiore vocazionalità
territoriale e mediando così anche i rischi di mercato.
Ciclo ‘regolare’, qualità buona
Le semine sono state eseguite bene, in quanto la stagionalità al
Nord ha permesso di eseguire tutte le operazioni autunnali in
finestre temporali ampie, mentre in primavera la piovosità ha
creato qualche difficoltà all’esecuzione delle attività agromeccaniche
di periodo.
Comunque in terreni ben preparati con rete scolante efficiente,
gli input tecnici e agronomici applicati con approccio generoso
stante i risultati reddituali dello scorso anno, hanno potuto
evidenziare ricadute positive sulla resa e qualità in modo diffuso.
Infatti il dato produttivo medio (tab. 1 e fig. 2), pari a 65 q/ha
per il grano coltivato su terreni lavorati e circa 60 q/ha ottenuti
con la tecnica del sodo, è generalizzato nell’intero areale padano.
Come per il grano tenero lo scostamento produttivo ottenuto
su terreno non lavorato si è limitato a circa 5 q/ha dato che
evidenzia una preventiva selezione dei terreni, che quando
denotano compattamenti vengono giustamente lavorati per
ripristinare la corretta struttura.
Situazione che ha favorito anche l’uso di tecniche di semina
combinata alla lavorazione del terreno che mediano il costo di
preparazione del terreno.
Costi e punto di pareggio
Come per il grano tenero i costi non hanno registrato significativi
scostamenti rispetto alla campagna scorsa e, considerando
costante la resa ettariale, le incidenze di costo per unità
di parametro quali ettari e q non subiscono variazioni significative.
Attualmente, registrando un prezzo di mercato superiore a
29 €/q, si pareggiano i costi nella coltivazione su terreno lavorato
, mentre con la tecnica del sodo si produce un avanzo di oltre
150 €/ha. Se rimarrà costante il prezzo il potere di acquisto del
grano duro permette con 65 q/ha su terreno lavorato e 54 su
sodo di pareggiare i costi di produzione (fig. 2).
Nel dettaglio degli istogrammi che evidenziano graficamente
i fabbisogni di quintali di grano per la copertura delle principali
voci di spesa, si vede che, su lavorato e su sodo, occorrono
12 q per coprire i costi di affitto al netto della Pac, 7 per i costi
generali, 3 per gli oneri finanziari e circa 18-19 per i mezzi
tecnici. I costi agromeccanici nella modalità di coltivazione su
lavorato assorbono circa 24 q, mentre con la tecnica del sodo
solo 14 che stante le rese ottenute permette di destinare all’utile
il corrispettivo di circa 5 q ettaro.
Come per la scorsa campagna diminuzioni di prezzo rispetto
l’attuale andrebbero a compromettere il risultato di sostanziale
pareggio in modalità terreno lavorato e l’utile in modalità
sodo ma questa evenienza nel prosieguo della attività di commercializzazione
in corso, a detta degli esperti, non dovrebbe
avverarsi per il grano duro prodotto nel Nord caratterizzato da
buona qualità contrariamente a quello prodotto nel centro-sud.
Pur se modesta la redditività espressa dal grano duro nel
Nord Italia contribuisce a portare prezioso se non indispensabile
ossigeno alle imprese dei cerealicoltori Padani che possono
pensare di avere una opportunità in più da sviluppare nel
ventaglio delle coltivazioni da introdurre nel piano colturale.
Ovviamente come descritto precedentemente è indispensabile
analizzare seriamente il contesto di coltivazione aziendale e
continuare a ricercare metodiche di coltivazione che contengano
significativamente l’incidenza dei costi di produzione più
credibilmente possibili con l’accrescere delle rese che con la
compressione delle spese. Infatti dove è l’agricoltore a decidere,
come ad esempio ogni qualvolta ci sono le condizioni
agronomiche per l’adozione della semina su sodo, si è tagliato.
Per le operazioni agromeccaniche che contribuiscono anche
agli aspetti di resa e qualità delle produzioni, le medesime sono
più convenienti grazie all’uso di innovazioni tecnologiche atte
a contenere i mezzi tecnici assicurandone comunque l’efficacia.
Contenimento non ottenuto invece per i prezzi dei mezzi tecnici
e i costi generali subiti dagli agricoltori, ma ancor peggio
invece con gli affitti il cui prezzo invece è in parte determinato anche dagli agricoltori che spesso non ne ponderano le ricadute
in termini di incidenza ed assorbimento della produzione necessaria
a soddisfare il corrispettivo pattuito.
Ne è una chiara dimostrazione il fatto che per il grano tenero
occorrano oltre 30 q (quasi la metà della produzione media
ottenuta) per soddisfarne il costo mentre grazie al prezzo attuale
solo 20 q di grano duro. Nonostante tale incongruenza,
diffusamente gli agricoltori nei confronti dell’acquisizione del
bene fondiario quale elemento primario a monte della coltivazione,
appaiono impreparati a ponderare correttamente le richieste
della proprietà fondiaria, facendo seguire a valle le
operazioni di recupero di marginalità. Esercizio che spesso
rischia di stressare la buona esecuzione di operazioni colturali e
pertanto l’efficacia dei mezzi tecnici, infatti mentre il terreno
affittato indipendentemente dal costo sostenuto non contribuisce
minimamente al miglioramento della resa e della qualità
pertanto meno costa meglio è, gli altri fattori produttivi invece
contribuiscono significativamente all’ottenimento degli obiettivi
posti.
(*) L’autore è coordinatore del settore agromeccanizzazione
di Legacoop Agroalimentare
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