Il mercato mondiale delle commodity, incluse quelle agricole, negli anni della globalizzazione e poi della crisi ha assunto un’importanza nuova rispetto al passato.
Nella finanziarizzazione dei mercati i cereali, la soia e le altre oleaginose, lo zucchero, i prodotti coloniali e, fra i non alimentari, il cotone, il caucciù e il legno sono stati al centro di momenti controversi e di operazioni di imprevedibile ampiezza.
Base dell’alimentazione
In questo contesto i cereali sono diventati emblematici determinando il quadro di tutte le produzioni agricole di cui rappresentano il 16%. La strategicità nasce dall’importanza nell’alimentazione, nell’impiego di superficie, nelle quantità prodotte. Con maggiore evidenza, hanno dimostrato di poter divenire gli strumenti di una vera politica estera agricola da parte delle maggiori potenze oltre al peso rilevante nelle speculazioni che hanno caratterizzato la crisi.
La dinamica di lungo periodo dimostra che in 50 anni si è realizzato un equilibrio mobile, grazie a una costante crescita produttiva che ha bilanciato quella della domanda per l’alimentazione umana e animale (fig. 1). Risultato della costante crescita delle produzioni, dovuto più che all’ampliamento delle superfici, agli incrementi di produttività. Nello stesso tempo si è avuto un aumento del volume degli scambi e dell’incidenza degli stessi sulla produzione che sale per tutti i principali cereali ed è la più alta fra le commodity alimentari arrivando al 13%-15% del totale, ma nel caso del frumento al 25%. Questi fenomeni hanno condotto ad una riduzione degli squilibri per le principali aree geografiche, compresa l’Asia e parte delle Americhe, ma con eccezioni in Africa. La globalizzazione del mercato, soprattutto nella fase successiva agli accordi Gatt/Wto della fine degli anni ‘90, ha consolidato queste tendenze.
Il rilevante incremento dei consumi alimentari pro-capite è stato reso possibile dall’aumento dell’offerta mondiale dei cereali che ha consentito di soddisfare sia un maggior numero di consumatori, sia modelli di consumo più elevati. A livello mondiale in calorie essi erano il 49% delle 2200 cal/giorno degli anni ‘60, e sono il 46% delle 2800 del 2009. Inoltre, attraverso l’alimentazione animale, forniscono il 40% delle proteine i cui consumi sono in forte espansione. Tuttavia, il loro ruolo nelle diverse aree è molto variabile, basti pensare al peso del riso in tutta l’Asia e a quello del frumento nei paesi occidentali.
La crisi mondiale
Le prime avvisaglie che la crisi stava investendo l’agricoltura si manifestarono nella tarda estate del 2007 con l’incremento dei prezzi delle materie prime agricole che precedette di poco quello dei prodotti energetici e dei minerali. Un’impennata rapida che ha colto di sorpresa i mercati agricoli anche perché provenivano da un lungo periodo di prezzi flettenti. Inizialmente i movimenti si concentrarono sui cereali. Nonostante la situazione di quasi euforia dell’agricoltura in tutto il mondo.
La situazione agricola, però, si trasformò negativamente dal momento in cui anche i costi si adeguarono all’evoluzione dei prezzi al rialzo. Ma la salita di questi ultimi si rivelò presto una fiammata, la discesa iniziò già nell’aprile 2008 col frumento, seguito dalle altre commodity, con un ritorno alle quotazioni di ante-crisi. La seconda ondata al rialzo si manifesta dopo quasi due anni di prezzi depressi, inizia nell’estate 2010 protraendosi fino ai primi mesi del 2011, seguita da una nuova flessione meno grave. Infine, è storia recente, nell’estate 2012 inizia la terza fiammata che sembra esaurirsi con l’inizio autunno e presenta prezzi in calo per i successivi 5 mesi sino a oggi.
3 fiammate in 5 anni
Una dinamica così irregolare in tempi tanto brevi solleva interrogativi. Il mercato delle commodity agricole in passato era già stato investito da crisi di prezzo di intensità molto elevate con differenziali anche superiori a quelli attuali, ma diverse per alcuni aspetti:
– cresce la volatilità e cioè la reattività dei prezzi in relazione all’ampiezza delle oscillazioni;
– aumenta la frequenza con cui si alternano le diverse fasi,
– anche se le cause scatenanti sono collegate ad aspetti tecnici del mercato del singolo prodotto, sembrano evidenti fenomeni di amplificazione collegabili a variabili extra agricole;
– si accresce in modo patologico il ruolo della speculazione finanziaria;
- sul piano delle politiche agricole si manifesta un ritorno al protezionismo come reazione alla crisi.
Le tre crisi presentano intensità e modalità diverse, ma certamente tutte rientrano in un solo scenario collegato alla crisi. Pur con le specificità dei mercati agricoli, la dinamica complessiva dei prezzi delle commodity appare discretamente omogenea come si vede, ad esempio, nel confronto con il petrolio (fig. 2), ma le componenti interne al sistema agricolo possono agire su queste crisi?
L’impennata 2012
L’impennata 2012 è inaspettata, troppo vicina alla precedente e con motivazioni essenzialmente tecniche: a) clima imprevisto in Europa e Nord America con caldo prolungato unito alla siccità; b) stock di grano bassi e in via di contrazione per la tenuta della domanda; c) tendenza rialzista per molte oleaginose, in particolare la soia i cui derivati sono a loro volta in tensione.
Così, da giugno i prezzi agricoli iniziano a salire, ma rispetto alle due crisi precedenti qualcosa cambia: la forza della salita appare minore, la speculazione sembra poco presente se non indifferente, mentre alcuni importanti istituti bancari decidono per ragioni umanitarie di chiudere i fondi basati sulle commodity agricole. La fase di crescita conduce a prezzi molto elevati, senza forti variazioni, in qualche caso oltre i massimi della prima crisi (fig. 3). Tuttavia la durata è breve, i primi cedimenti iniziano già ad agosto, vi è qualche ripresa, ma tutto procede lentamente, anche se la lenta flessione continua almeno fino a gennaio 2013. Il fatto più importante è la riduzione della volatilità e l’apparente assenza di componenti speculative di rilievo. In sintesi, non è la solita crisi.
Materie prime e costi
Gli osservatori in questi anni si sono concentrati sui prezzi delle commodity agricole, ma insieme ad essi si muovono anche quelli dei mezzi di produzione, in particolare energia e fertilizzanti che incidono sui costi di produzione (fig. 4).
Il loro aumento aggrava il rapporto costi-ricavi, soprattutto nel corso della prima crisi, mentre nelle altre l’impatto è minore, anche se presente. Come conseguenza, dopo l’esperienza della prima crisi, gli agricoltori riducono gli acquisti di mezzi per contenere i costi, ma ciò provoca effetti negativi sulla produzione anche se il livello dell’output mondiale rimane elevato. Un problema particolare è quello delle imprese zootecniche che si devono approvvigionare di alimenti per il bestiame a costi crescenti e con andamenti imprevedibili in presenza di una domanda debole e di prezzi stazionari.
Uscire dalla crisi
Come è noto la dinamica di lungo periodo dei prezzi agricoli è calante e ciò pone seri problemi alle imprese agricole. Se nonostante le impennate il trend prosegue senza correttivi gli squilibri sono destinati a riprodursi con frequenza e ampiezza crescenti in un contesto in cui la domanda, dopo la crisi, è prevista in crescita, sia per l’alimentazione diretta sia per gli allevamenti.
L’unica risposta possibile per fronteggiare la domanda a prezzi stabili è data da incrementi di produttività. Ma dall’inizio degli anni 2000 la produttività rallenta nei paesi sviluppati senza che gli incrementi in corso nei Pvs compensino il fenomeno in atto in Europa e, in misura minore, nel Nord America (fig. 5). A fronte di consumi previsti in crescita per effetto demografico ed effetto reddito, ciò può rendere ancora più instabili i mercati.
Torna il problema degli incrementi di produttività, ma ciò riapre un dibattito importante. Al centro alcuni temi molto controversi come:
a) il supposto raggiungimento dei limiti delle tecnologie in uso che ne sconsiglierebbe il proseguimento;
b) la visione semplificata che attribuisce ogni responsabilità delle crisi solo a problemi di cattiva distribuzione e di scambi;
c) l’esistenza di forti differenze regionali che ne vanificherebbe la diffusione;
d) i primi effetti del cambiamento climatico che sarebbero solo negativi sulla produttività;
e) l’azione contraria dei recenti indirizzi delle politiche agrarie.
Ma alcuni aspetti vengono enfatizzati a danno di una visione più equilibrata, trascurando l’impatto positivo di forti investimenti nel progresso tecnologico e nel suo trasferimento al settore che potrebbe ricavarne importanti aumenti di produttività positivi anche in termini di stabilizzazione dei mercati.
La storia degli ultimi decenni insegna che le variazioni dei prezzi possono essere provocate sia da fenomeni legati all’agricoltura sia da altri eventi. Per i cereali (fig. 6), negli ultimi decenni, dalla guerra di Corea all’attuale crisi mondiale. L’agricoltura può contrastare le variabili “interne” intensificando la produzione, ma ha difficoltà a contenere gli effetti di quelle “esterne”.
Meno “fondi” agricoli
Gli stessi fenomeni speculativi indicano che la crescita del volume dei contratti a termine sulle materie prime risale al 2000 quando negli Usa il Commodity futures modernization act autorizzò nuovi operatori e alzò i limiti degli investimenti. Gradualmente il mercato dei future è diventato il centro del mercato mondiale tradendo la sua funzione stabilizzatrice. L’organo regolatore, la CFTC, ha tentato un passo indietro nel 2012, ma una sentenza ha bloccato, almeno per ora, le sue decisioni. Nel 2012 numerose banche hanno eliminato i fondi agricoli e, in effetti, la crisi 2012 ha mostrato una speculazione in calo: gli interventi regolatori possono avere effetti positivi.
Futuro dei cereali
Proprio gli avvenimenti in corso indicano che, nonostante la crisi, i mercati sono in evoluzione. Nel 2012 forse vi è un ritorno alla normalità con minore volatilità e meno speculazione, mentre migliora la convergenza fra prezzi futures e a pronti.
Ma i problemi posti dalla crisi e dal futuro dell’alimentazione mostrano che è necessario contrastare gli squilibri interni del mercato attraverso incrementi di produttività che implicano un uso migliore dei mezzi tecnici. Allo stesso tempo occorre superare i problemi irrisolti delle logiche finanziarie che esaltano gli squilibri. Quando la crisi finirà la domanda salirà, ecco perché serve un’offerta potenziata, che sia in equilibrio con le risorse produttive dando luogo a un assetto davvero “sostenibile” dei mercati agricoli.
Nel futuro dobbiamo prevedere che i prezzi reali scendano, mentre quelli monetari rimarranno elevati, ma inferiori a oggi, in una prospettiva di crescita generalizzata di domanda e offerta. Per stimolare la produttività i prezzi devono permettere un miglioramento della redditività nell’interesse di una popolazione mondiale in crescita e consumi in aumento.
Allegati
- Scarica il file: Più tecnologie e più offerta contro la crisi di produttività