Risorsa girasole. Il conflitto in Ucraina incide sui prezzi del seme, dei panelli e soprattutto dell’olio di questa composita, una materia prima di cui il nostro Paese è fortemente deficitario. Convincendo così molti agricoltori a puntare sul “giallo” per le loro rotazioni.
Il grande ritorno del giallo
Nel nostro Paese l’area più vocata è il Centro Italia, ma anche al Sud si registra un grande ritorno, anche a causa della parallele difficoltà di altre colture ad alta incidenza idrica ed energetica come il pomodoro da industria.
Una scelta corretta?
Lo chiediamo ad Andrea Del Gatto, ricercatore del Crea CI di Osimo (An), uno dei maggiori esperti di questa coltura in Italia.
La crisi geopolitica in corso – risponde - sta solo portando alla luce criticità i cui segnali erano evidenti da tempo, ma a cui non davamo peso. Il girasole in Italia ha potenzialità molto maggiori di quelle che riesce a esprimere oggi. Le superfici potrebbero essere tre volte superiori. Il top di investimenti lo abbiamo raggiunto circa 15 anni fa con 250mila ettari che poi pian piano, venendo meno i pagamenti diretti Pac, si sono ridotti fino alla quota di 100mila ettari da cui non siamo riusciti a “schiodarci” per anni. Nelle aree interne dell’Italia centrale, venuta meno la barbabietola da zucchero, è diventato però insostituibile: per spezzare la monocoltura a frumento in aree non irrigue non c’è altro. Ora, con l’incremento dei prezzi, torna ad essere attrattiva anche per aree più settentrionali e meridionali.
Ma rimangono alcuni pregiudizi da superare riguardo alla possibilità di coprire le spese, a causa di alcuni errori del passato. È una coltura infatti a basse esigenze idriche, ma l’irrigazione può essere comunque un fattore limitante. Nel senso che nelle pianure irrigue del Nord continuano ad essere più competitive alcune colture ortive, e al Sud, se non vengono assicurati apporti irrigui in alcune specifiche fasi critiche, le rese possono essere sotto le attese. La tecnica però è molto migliorata negli ultimi anni, grazie alle conoscenze acquisite. Rimangono da superare, in alcune zone, le difficoltà causate dall’avifauna. La scelta corretta riguardo alla sua coltivazione va quindi compiuta con un occhio al bilancio e un altro alla vocazione territoriale.
Il non plus ultra per le rotazioni
Con l’obbligo delle rotazioni imposto dalla Pac, diventa preziosa la possibilità di fare affidamento su una coltura da rinnovo come il girasole.
Il girasole è una coltura che si è diffusa e ben adattata nel nostro Paese negli anni ‘80 grazie anche alle attività dello specifico progetto di ricerca ad ampio raggio portato avanti dal Ministero delle Politiche agricole per oltre 10 anni. Consentendo di mettere a punto la tecnica colturale che oggi la fa sembrare “facile” dal punto di vista della gestione agronomica, con buona adattabilità, basse anticipazioni colturali, la capacità di produrre bene anche in coltura asciutta. Il ciclo colturale breve la rende particolarmente adatta alle rotazioni, con nessuna controindicazione per le successioni. Anzi, il ciclo primaverile estivo che si conclude entro la fine dell’estate agevola la preparazione dei terreni per la coltura che segue e la qualità dei suoi residui colturali, con ridotta resistenza meccanica e buon coefficiente isoumico consente buoni risultati anche se si ricorre alla minima lavorazione o semina su sodo della coltura successiva. L’apparato radicale fittonante profondo consente di sfruttare al meglio le riserve idriche. Viviamo però un periodo di forti stress climatici e riguardo ai fabbisogni irrigui occorre ribadire che è importante assicurare la disponibilità di acqua in alcuni periodi critici che vanno formazione del bottone fiorale fino all’allegagione.
Fattori limitanti
I fattori più limitanti sono però altri. Quali nel convenzionale e quali nel biologico?
Nel biologico, come per tutte le colture, occorre valutare bene le produzioni ottenibili e quindi la redditività anche in base al differenziale del prezzo rispetto al convenzionale. È una coltura che si può adattare bene a questo metodo di coltivazione perché anche nel convenzionale gli apporti chimici sono limitati e riguardano principalmente la concia del seme, in particolare per contrastare la peronospora del girasole) e il diserbo, oltre ovviamente alla concimazione. Queste due ultime pratiche possono essere surrogate nel bio.
In particolare il diserbo con validi interventi di sarchiatura nelle prime fasi colturali. La peronospora, se non ben contrastata, può invece risultare un problema limitante perché porta a mancate emergenze o nanizzazione delle piante, con accorciamento degli internodi e compromissione delle rese. Poi ci sono gli attacchi dell’avifauna, che oggi causano i più grossi problemi sia nel bio che nel convenzionale.
Piccioni “impazziti” e protetti
Su questa coltura, oltre agli immancabili danni da cinghiali, si concentra infatti l’attività granivora dei columbidi, come mai?
I danni sono elevati alla raccolta, ma soprattutto all’emergenza e posso testimoniarlo in prima persona perché l’azienda sperimentale del Crea CI di Osimo non è stata risparmiata dall’attacco di stormi di piccioni che hanno causato numerose fallanze. Durante l’emergenza vi è infatti la trasformazione amilacea e la liberazione degli zuccheri che rendono la fase cotiledonare particolarmente appetita a questi uccelli («ne vanno pazzi”) che strappano le piantine appena emerse causando fallanze e capitozzature. Dove non arrivano i piccioni, ci pensano i cinghiali o gli istrici. Il problema è anche di carattere sociale perché, per evitare i danni nel campo sperimentale, abbiamo allertato le guardie venatorie preposte. Che però non sono potute intervenire per le proteste degli animalisti.
I figli inselvatichiti
Riguardo alle specie infestanti invece?
Il problema più limitante rimane il cosiddetto “girasole selvatico” che non può essere contenuto da diserbanti selettivi e che in realtà deriva dalla disseminazione della coltura in precessione, con semi che tornano a germinare con la preparazioni letto di semina. Per il girasole si utilizzano infatti eslcusivamente ibridi F1. Il seme prodotto è f2, con segregazione dei caratteri negativi dei parentali che venivano mascherati dall’ibridazione. Ovvero piante di girasole con calatidi piccole e ramificazioni che se raccolti assieme alla coltura posson fare calare il carattere alto oleico. Nel convenzionale si può ormai eliminare questo problema con la tecnologia Clearfield che caratterizza particolari ibridi resistenti alla molecola erbicida distribuita in post emergenza. Nel biologico occorre invece curare la tecnica della falsa semina per fare in modo che il “tappeto” di girasole selvativo emerga in modo da erpicarlo prima della semina effettiva.
Valorizzare le rese in olio
Problema rese: nell’area vocata dell’Italia Centrale (nella fascia che attraverso Toscana, Umbria e Marche va dal Tirreno all’Adriatico) il girasole presenta produzioni pressoché costanti attorno alle 2 t/ha mentre i principali competitor sono riusciti a incrementarle (2,9 la Francia, 2,8 l’Ungheria, 2,4 i Paesi del Mar Nero). Qual è il problema?
A pesare sulle rese sono: tutti i problemi che abbiamo già elencato. Il loro miglioramento passa attraverso tre punti “caldi”: vocazione territoriale, buona tecnica colturale disponibilità di buone varietà.
Nel nostro Paese ci sono le condizioni pedoclimatiche per coltivarlo al meglio. In passato erano disponibili solo varietà che non raggiungevano l’umidità giusta alla raccolta ed era un problema. La brevità del ciclo è stato oggetto di interventi mirati di miglioramento genetico. Ora sono disponibili ibridi di classi precoci o medio precoci con buone produttività e scarse disponibilità idriche. Un altro fattore critico è rappresentato dalla distribuzione delle piogge: se la coltura è raggiunta da una forte piovosità nelle prime fasi, produce un’architettura importante che poi, se non è supportata da adeguate dotazioni idriche nelle fasi successive di fioritura e allegagione, determina problemi. La pioggia “utile” è invece quella in fase di bottone fiorale (anche solo 20 mm) o una ventina giorni dopo. La tecnica colturale, invece, non è un problema. In italia sappiamo fare bene il girasole, a meno di non essere costretti a risparmiare nei mezzi tecnici o nelle rotazioni per fare tornare i conti. Gli ibridi oggi coltivati vengono selezionati all’estero e vanno verificati nelle nostre latitudini per produttività e adattabilità.
Cosa si può migliorare dunque?
Un aspetto su cui mi batto da tempo è quello di valorizzare non le quantità raccolte ma la resa in olio. È il prodotto principale del girasole, più che i quintali di acheni è questa la variabile che determina il successo della coltivazione. Occorrerebbe quindi utilizzare lo stesso meccanismo di remunerazione utilizzato per la barbabietola da zucchero, dove si utilizza un riferimento di prezzo in base al contenuto in saccarosio. L’attenzione alla tecnica colturale può infatti incidere fortemente sulla quantità e sulla composizione dell’olio negli acheni.
Contratti di filiera, strada obbligata
Per ora abbiamo solo differenziato tra varietà alto oleico e linoleico. Hanno rese e fitness diversi?
Oggi le varietà alto oleico sono indistinguibili dal punto di vista agronomico rispetto a quelle tradizionali. Questo carattere commerciale è relativamente recente, scoperto nel 1976 da un ricercatore russo in una mutazione e poi, con opportuni programmi di miglioramento genetico, inserito nei primi ibridi commerciali.
All’inizio si trattava di varietà a ciclo tardivo in cui il carattere alto oleico non era stabile (e questo generava contestazioni commerciali) ora il problema è superato e queste varietà stanno soppiantando quelle convenzionali perché allargano lo spettro degli utilizzi industriali sia per l’alimentazione umana che zootecnica. Ma rimane ancora un’importante richiesta di olio tradizionale.
Come valorizzare queste varietà?
I contratti di filiera sono la strada più conveniente. Lo stiamo capendo nel settore dei frumenti e deve essere la chiave per sostenere anche la coltura di girasole perché consente di conoscere prezzi e condizioni di vendita prima dei raccolti o addirittura delle semine e in questo modo gli imprenditori agricoli possono programmare adeguatamente il piano delle rotazioni. Altrimenti si ricade in una situazione guidata dall’emotività come quella attuale, in cui ad annate con prezzi elevati che stimolano un aumento delle semine, seguono annate a prezzi bassi perché si è seminato troppo girasole.