La ruggine nera (in inglese stemrust o blackrust) è una patologia fungina che colpisce principalmente gli steli e le guaine fogliari dei cereali autunno-vernini (frumento duro, tenero, orzo e triticale). È causata da Puccinia graminis f. sp. tritici, una specie appartenente alla famiglia delle Pucciniaceae e allo stesso genere di Puccinia striiformis (ruggine gialla) e Puccinia recondita (ruggine bruna).
Segnalazioni in aumento
Questo fungo è molto frequente in Africa e in Medio Oriente, dove ha causato, nei decenni passati, ingenti danni produttivi, con perdite anche totali in annate molto favorevoli e con attacchi precoci. Ciò che però preoccupa gli operatori del settore è che, negli ultimi anni, si ripetono le segnalazioni anche nei nostri areali. Nei decenni passati, sporadici attacchi erano stati osservati quasi esclusivamente in Sardegna, Sicilia, Lazio e le nelle altre regioni del sud. L’anno scorso le infestazioni hanno interessato soprattutto la Sicilia, come documentato da Riccardo Bugiani e Massimo Bariselli in un recente articolo sulla ruggine nera nel bacino del Mediterraneo (Terra e Vita n°10-2017). Quest’anno, invece, sono pervenute numerose segnalazioni in vari areali anche del centro e del nord Italia. Le segnalazioni in passato descrivevano infestazioni generalmente sporadiche, discontinue negli anni e circoscritte a certi materiali genetici in specifici areali. La primavera 2017, quindi, si ricorderà come una delle annate peggiori a causa della numerosità e gravità delle infezioni.
Nuovo clima, nuovi ceppi
L’aumento della ruggine nera in diversi areali cerealicoli italiani può essere dovuta alla combinazione di due fattori: l’evoluzione dei ceppi patogeni e/o il cambiamento climatico. Non è però chiaro quali dei due fenomeni sia prevalente o se entrambi stanno contribuendo al progressivo aumento della patologia. Sicuramente la diffusione di nuove razze e/o l’aumento della virulenza di quelli già presenti verso i materiali genetici oggi in commercio sono un’ipotesi da non sottovalutare. Diversi studi del secolo scorso hanno dimostrato come questi fenomeni si siano già verificati e non sorprende che possano ripetersi. Quello che è certo è che, in passato, la problematica della ruggine nera era già stata affrontata individuando geni di resistenza che erano stati introdotti nelle varietà coltivate tramite il miglioramento genetico. Di conseguenza, le varietà in commercio hanno in passato ostacolato un esteso sviluppo di questo fungo nei nostri areali. I cicli biologici dei funghi del genere Puccinia, anche grazie alla loro complessità, sono però comunemente riconosciuti come facilmente adattabili e mutevoli al modificare dell’ambiente colturale (relazione clima-pianta).
Un esempio di questa grande capacità di adattamento è la scoperta in Uganda nel 1999 di una nuova razza di ruggine nera (chiamata Ug 99 o TTKS) molto aggressiva e in grado di sorpassare le resistenza abitualmente presenti nelle varietà di frumento e orzo in commercio, come confermato da una recente intervista ad Angela Iori del CREA e dall’allarme lanciato dalla FAO. Questa razza negli anni successivi è stata riscontrata in diverse località africane, nel Medio Oriente e nell’Asia centrale ed è virulenta nei confronti del gene di resistenza Sr31 e Sr38, geni normalmente presenti, in alternativa, nelle varietà utilizzate in occidente. Ha causato perdite produttive enormi e, sebbene non ci siano ancora prove definitive al riguardo, non si può certo escludere che sia ora sopraggiunta anche in Italia.
Tuttavia, nei nostri areali, già da anni si accertano epidemie originate da un altro patotipo altrettanto virulento, chiamato TTTTF. La capacità dei due geni suddetti di contrastare questo patotipo non è chiara, alcune varietà sono resistenti, altre no. Questo ipotizza che certe varietà sono probabilmente portatrici anche di altri geni di resistenza.
Non meno importante potrebbe essere il contributo derivante dal riscaldamento globale. Secondo il Climate Prediction Center di Noaa (National Oceanic and Atmosphere Administration) in Italia il mese di giugno è risultato dai 3 ai 4 °C sopra la media del periodo, mentre i 3 mesi primaverili (da marzo a maggio) hanno generato un’anomalia termica positiva di 2 °C. Queste forti anomalie termiche positive per ben 4 mesi sono state generate da lunghi periodi con altre pressioni. Infatti, l’andamento delle precipitazioni è risultato fortemente deficitario ovunque in Italia sia come media dei 3 mesi primaverili (con deficit idrici tra il 25 e il 75%) che in giugno (con deficit idrici tra il 50 e il 75%). Questo andamento molto caldo, ma nel contempo afoso e asciutto in termini di precipitazioni, ha molto probabilmente favorito lo sviluppo del fungo che, come è noto è il più termofilo fra gli agenti di ruggine dei cereali.
Nei campi Horta
Nella primavera 2017, oltre alle segnalazioni pervenute da tecnici e agricoltori di diversi areali del centro-sud Italia, la ruggine nera è comparsa anche nei campi sperimentali di Horta a Ravenna e a Foggia, con attacchi a fine fioritura, su piante ancora verdi. Nei campi sperimentali di Foggia la malattia è stata riscontrata in modo piuttosto esteso e generalizzato a maggio in diverse varietà di frumento duro appartenenti a diverse linee genetiche e case sementiere (Fig. 1).
Nei campi sperimentali di Ravenna la malattia è stata invece segnalata per la prima volta il 6 giugno sia su frumento duro che tenero, sebbene gli attacchi più estesi siano comparsi a metà mese (in fase di maturazione). A Ravenna sono risultate particolarmente coinvolte le semine più tardive (semina di dicembre) e hanno interessato molti materiali genetici (seppur in modo sporadico) di origine italiana e francese di frumento duro, tenero e orzo. Particolarmente forti sono risultati anche gli attacchi ad alcune linee genetiche di farri dicocchi.
Infezioni più diffuse, su matriali genetici di diversa origine e genealogia potrebbero supportare l’ipotesi che i geni di resistenza attualmente presenti nelle varietà coltivate non siano più in grado di ostacolare le infezioni e la conseguente comparsa della sintomatologia.
Sintomi tardivi
Questa ruggine manifesta i sintomi dalla fioritura, ma generalmente in fase di riempimento della cariosside e in maturazione (Fig 2). Confrontandola con le altre ruggini è sicuramente la più tardiva. Ciò nonostante può creare seri decrementi produttivi, in special modo se compare precocemente.
I sintomi rilevati da Horta hanno interessato principalmente lo stelo e la guaina della foglia bandiera (Fig 3). Sono stati osservati anche limitati sintomi su lamine fogliari e spighe (Fig 4).
La sintomatologia sullo stelo consiste in lacerazioni dell’epidermide con la comparsa di pustole oblunghe ricche di spore rosso scuro, marroni e poi quasi nere che fuoriescono dalle lacerazioni longitudinali dello stelo. Queste spore, quando si disperdono, creano una polvere rugginosa. Le spore sono brune quando la pianta è ancora verde ed è stata recentemente infettata. Solo successivamente evolvono a colorazioni molto scure o nero; generalmente in estate (giugno-luglio) quando la pianta sta disseccando (Fig. 5).
Il ruolo degli ospiti secondari
La ruggine nera ha un ciclo di vita caratterizzato da un ospite primario, il cereale autunno-vernino, e ospiti secondari come gli arbusti del genere Berberis (come il crespino comune), Mahoberberis e Mahonia (Fig 6). In primavera, o inizio estate, le aeciospore prodotto da infezioni avvenute sull’ospite secondario raggiungono, grazie al vento, i tessuti verdi della pianta di frumento o orzo. Queste germinano e penetrano nel tessuto fogliare, si nutrono e iniziano rapidissimi cicli riproduttivi che generano urediospore che, sempre trasportate dal vento, vanno ad infettare altri tessuti sani e verdi circostanti. Questa fase di riproduzione asessuata è estremamente rapida ed aumenta in maniera esponenziale la quantità di nuovo inculo disponibile per nuove infezioni, con conseguente rapida diffusione del patogeno in campo e comparsa di nuovi sintomi.
Le spore prodotte sono emesse dall’epidermide tramite apposite strutture fruttifere che compaiono nel punto in cui l’epidermide viene lacerata. Le urediospore sono brune e sono le prime a comparire. Successivamente, sui tessuti colpiti e disseccati, vengono prodotte un secondo tipo di spore: le teliospore. Quest’ultime sono nere e compaiono tardivamente, da giungo nei climi più caldi fino all’autunno con climi più freschi. Solo attraverso la produzione delle teliospore il fungo si garantisce il superamento del periodo freddo. Quest’ultime spore trascorrono l’inverno nei residui colturali (paglia e stoppie) e a fine inverno producono dei basidi con un terzo tipo di spore: le basidiospore, che non possono infettare piante di cereali. In primavera queste basiodiospore possono solo infettare tessuti vegetali dell’ospite secondario (cioè specie dei generi Berberis, Mahonia o Mahoberberis spp.). Su queste piante avviene la riproduzione sessuata del fungo e si producono, in apposite pustole le aecidiospore che in piena primavera (da fine aprile all’estate) possono infettare nuove piante di cereali.
Con climatemperato caldo come il Nord Africa, Golfo del Messico, Australia e i paesi arabi gli inverni possono risultare particolarmente miti permettendo alle urediniospore di superare l’inverno su tessuti fogliari e steli di cereali e graminacee selvatiche che crescono in inverno. In questi casi l’ospite secondario risulta superfluo e le fase di riproduzione sessuale viene saltata. Di conseguenza di anno in anno si susseguono solo fasi riproduttive asessuate con urediospore. Nei nostri areali probabilmente si manifestano entrambi i percorsi riproduttivi.
Via col vento
Come prima descritto, le teliospore producono basidi con basidiospore che riescono a infettare solo specie dei generi sopra elencati. Risulta quindi chiaro come uno dei metodi più efficaci per limitare lo sviluppo del fungo sia quello di ridurre al minimo la presenza dell’ospite secondario. Nei nostri areali la presenza di specie appartenenti al genere Berberis, Mahonia o Mahoberberis è piuttosto sporadica. Tuttavia basta anche una sola pianta anche a centinaia di chilometri per innescare un’epidemia. Questo perché le spore possono percorrere migliaia di Km con la normale circolazione dei venti.
Venti di scirocco o libeccio possono portare nuove spore dai territori africani (dove il patogeno è più comune) e far partire iniziali e sporadiche infestazione che possono poi molto rapidamente diffondersi nell’areale circostante tramite la produzione di urediospore.
L’eradicazione quasi totale dell’ospite secondario eseguita nel secolo scorso negli Stati Uniti d’America ha notevolmente ridotto il rischio di questa malattia. Però, nonostante ciò, non è stato possibile debellare la malattia in maniera definitiva.
Clima e resistenza
I fattori che influenzano la patologia sono essenzialmente legati all’andamento meteorologico e alla scelta varietale (intesa come presenza nel genoma di geni di resistenza e lunghezza del ciclo biologico). Altri aspetti come le rotazioni con dicotiledoni piuttosto che cereali, la concimazione e la densità di semina non sembrano influenzare questa malattia.
La non lavorazione o la minima lavorazione, che lasciano sulla superficie molti residui colturali potenzialmente infetti, possono aumentare le spore invernali (teliospore) e incentivare gli attacchi agli ospiti secondari, se presenti nel territorio.
Il fungo per poter avviare nuove infezioni sui tessuti verdi dei cereali ha esigenze termiche elevate, medie giornaliere di 25-30 °C e un andamento meteo con elevata umidità relativa durante la spigatura e la fioritura. Temperature diurne fino a 40 °C e notturne superiori a 15-20 °C con notti umide favoriscono la sua crescita.
Scelte tecniche controproducenti
Riguardo i prodotti fitosanitari i sintomi più gravi si sono verificati su frumenti non trattati, pertanto si suppone che i prodotti fitosanitari attualmente in commercio siano comunque in grado di contenere eventuali infezioni precoci in fioritura e durante il riempimento delle cariossidi (le uniche fasi fenologiche che possono giustificare un intervento chimico per questa patologia).
Queste ipotesi dovranno essere confermate con opportune prove di campo confrontando differenti strategie di difesa. Le osservazioni condotte in campo nei campi sperimentali di Horta e le osservazioni giunte da tecnici agronomi in giro per l’Italia sottolineano come la malattia sta quindi inesorabilmente diffondendosi nei nostri areali.
Modello previsionale, lavori in corso
A seguito di queste rilevazioni Horta ha predisposto un piano di monitoraggio della patologia al fine di implementare, entro qualche anno, uno specifico modello fitopatologico previsionale per aiutare i tecnici e gli agricoltori a prevedere e a ostacolare l’insorgenza di rovinose epidemie.
Gli studi che verranno effettuati nei prossimi anni si concentreranno sulla valutazione della suscettibilità varietale, sullo studio del grado di virulenza delle popolazioni fungine e sulla comprensione del ciclo biologico del fungo.
Nuovi studi sulla resistenza
Nel frattempo le case sementiere dovrebbero riprendere strategie di miglioramento genetico che sappiano tener conto anche di questa nuova problematica fitosanitaria e promuovere studi varietali in quei luoghi dove la presenza della malattia è stata chiaramente riscontrata.
Questo permetterà di individuare in tempi brevi quali varietà, già in commercio, sono più idonee a resistere a questa nuova tipologia di ruggine.