In Europa si coltivano meno pere, ma se ne esportano di più. I nuovi mercati (Brasile, ad es. e Medio ed Estremo Oriente) rappresentano per i nostri produttori quella garanzia di maggiore rendimento che ormai i consumi domestici non danno più a causa del declino di consumi e prezzi: secondo Freshfel -9% nei primi sei mesi 2015 sul 2014.
La spinta all’export deriva anche dall’appesantimento del mercato dell’Ue che paga lo scotto del secondo anno di embargo russo con un eccesso di offerta di pere sui mercati cardine come la Germania, di cui l’Italia è il principale fornitore (circa 80mila t esportate su un totale di circa 150mila t acquistate dall’estero) e che oggi si trova a dovere competere con le produzioni dei colossi belgi e olandesi vocati all’export (100% della produzione pericola) e fino a due anni fa, erano i principali fornitori del mercato sovietico.
Basti pensare che prima dell’embargo era diretto in Russia il 70% dei volumi di pere Ue (240mila t nel 2010) mentre dopo il solo primo anno di embargo, i volumi si sono contratti al 32% delle esportazioni Ue (154mila t). Una buona parte di questo differenziale è finito sulla piazza europea, ma i produttori stanno studiando delle strategie per arrivare ai nuovi mercati dove invece la domanda di pere cresce a ritmo sostenuto.
Il Medioriente innanzitutto (+107% da 0,98 a 2,03 kg procapite all’anno dal biennio 2003-2005 al 2012-2014); l’Asia (+32,5% da 2,55 a 3,38 kg) e i Paesi dell’Emisfero Sud, escluso il Sudafrica (+17% da 1,58 a 1,85 kg) che sono in netta controtendenza coi consumi europei (-18,4%, da 4,39 kg a 3,58)
Per aggredire i nuovi mercati innovazione tecnologica e varietale sono must ai quali tutti i principali competitor si stanno votando. Tanto più considerando che in questa congiuntura economica, l’Argentina che è un grosso esportatore di pere (soprattutto verso gli Usa), ha rallentato a causa del cambio sfavorevole. «In questo senso – stende una mano Miguel Angel Giacinti presidente di Cif, Centro de informacion frutihorticola argentino – si potrebbe ragionare su un’attività di coordinamento tra i produttori dei due emisferi per arrivare compatti sui nuovi mercati». Il più appetibile di tutti, al momento resta quello statunitense. Ma anche il più proibitivo per via delle barriere fitosanitarie. Qui l’Italia gioca in vantaggio con altri produttori, come la Spagna, perché da un anno i due governi hanno raggiunto l’intesa bilaterale sulle pere. «Gli americani – ha spiegato Kevin Moffit del Pear Bureau statunitense – conoscono poco le diverse varietà di pere, ma sono aperti a sperimentare; bisogna sapere comunicare e trovare il canale giusto che resta la gdo. Le cultivar che destano maggiore interesse sono le rosse». Per aggredire i nuovi mercati, in Italia sono da poco nate due nuove realtà aggregate (Opera e Origine) che puntano sul lavoro di branding e sull’innovazione varietale. «Stiamo testando – precisa Alberto Garbuglia, managing director di Origine – quattro nuove varietà di pera. Un processo quasi dovuto considerato che quelle esistenti sul mercato risalgono all’Ottocento». La regina delle pere italiane è l’Abate fetel ma anche qui lo scenario potrebbe mutare rapidamente nel giro di qualche anno a causa dell’ingresso di un nuovo competitor per questa varietà: il Sudafrica. «Abbiamo iniziato – spiega Mariette Kotze, information manager, agricultural economics per la sudafricana Hortgro – a piantarla massicciamente. Adesso è l’1% dei volumi, ma vogliamo arrivare al 10% in cinque anni». Il Sudafrica è un pericoloso concorrente soprattutto perché si presenta sui mercati esteri con prezzi più competitivi degli italiani e differenziali del 30%.Venti di novità anche dal mercato portoghese, forte nell’export oltreoceano, dove sta per nascere la prima organizzazione interprofessionale dell’ortofrutta che permetterà di lavorare di più anche sul consumo interno. «Prevediamo di costituirla – spiega una portavoce di Portugal Fresh – in un anno. Chiave di volta sono stati gli aiuti statali arrivati per la prima volta a sostegno della metà della produzione e la capacità del comparto ortofrutticolo, sempre più organizzato, di coinvolgere la gdo attraverso cui transita l’85% del totale delle pere vendute».
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