Are you organic? C’è qualcosa di nuovo, anzi di antico nel mercato del vino: la delocalizzazione dei mercati e l’evoluzione delle attenzioni e dei gusti dei consumatori sta portando ad una progressiva perdita di significatività della tradizionale piramide della qualità basata solo sull’origine e alla perdita, salvo i casi più importanti, del valore identificativo delle denominazioni. Are you organic? (sei biologico?) è questa spesso la prima domanda che i nostri produttori si sentono rivolgere da esportatori, buyer, storyteller: la “green-attitude” è diventata il nuovo criterio di classificazione qualitativa, sempre più spesso adottata da mediatori chiave per i mercati più sensibili (nord Europa, ma anche nord America).
Se la risposta è negativa occorre ingegnarsi a descrivere un impegno in favore della sostenibilità originale, efficace e convincente. Nasce forse da questa esigenza la proliferazione di slogan, di aggettivazioni e di autodiplomi: vini naturali, liberi, etici, sinergici, simbiotici, a impatto zero, a ciclo chiuso, persino vegani. Certo, se si sceglie una filosofia produttiva con una forte connotazione ambientale, sarebbe meglio affrontare percorsi che prevedano almeno la certificazione. Si risulta così più credibili, soprattutto nei mercati più evoluti. Anche perchè la green-attitude nel nostro Paese non è più una merce rara. Tutto il mondo del vino italiano ha intrapreso, ormai da alcuni anni, un percorso di sviluppo profondamente caratterizzato dalla sostenibilità. Un approccio che coinvolge tutte le fasi della filiera e considera non solo l’aspetto ambientale, ma anche quello economico e sociale. Una ricerca di performance che ha portato alla nascita di disciplinari che contengono al loro interno indici su cui le aziende vitivinicole si possono confrontare, migliorarsi e gareggiare. Ne sono un esempio le esperienze di Tergeo e Magis.
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