Fare reddito in campagna ancora si può, ma servono tre ingredienti: una mentalità nuova, un grande impegno e una passione innata. Peculiarità che Marco Lisi, quarantenne di Gambettola (Forlì-Cesena), diplomato in Agraria, possiede a piene mani. Ma, nonostante questo, afferma: «Spero che i miei figli facciano un altro mestiere». La sua azienda è di circa 4 ha, di cui uno protetto dalle serre, e si avvale dell’aiuto di tre operai.
Siamo in Romagna, in quella pianura che degrada verso il mare. La zona è vocata per l’orticoltura, ma non da molto. «Fino a vent’anni fa – afferma Lisi – tutta la zona era un frutteto con peschi, albicocchi, susini. Terminati gli studi ho deciso di portare avanti l’azienda di famiglia, ma fin da subito sono stato chiaro: stop ai peschi e spazio alle orticole».
Giovane ma dalle idee chiare. Oggi in zona è soprannominato “il re del porro” e il suo prodotto è conteso dai migliori ristoranti della zona. In particolare uno, il più rinomato, utilizza i suoi porri nelle preparazioni a base di pesce.
La parola d’ordine di Lisi, per fare reddito, è questa: diversificazione. «Il 50 % della mia Plv è rappresentato dalle colture sementiere che faccio sia in pieno campo, sia in serra. Il 40 % è dato dalla vendita presso il mercato all’ingrosso di Cesena, mentre restante il 10% deriva dalla vendita diretta in azienda».
Pomodori deludenti
Per diversi anni Lisi ha ottenuto buone soddisfazioni dal pomodoro da mensa, ma negli ultimi tempi non è più così.
«Il pomodoro richiede almeno sei passaggi dal trapianto alla raccolta, quindi un dispendio di manodopera molto elevato. Ultimamente arriva ai mercati il prodotto olandese a 55 centesimi, già confezionato e scaricato. Io, per non rimetterci, devo venderlo almeno a 80 centesimi/kg. Purtroppo tutti parlano di qualità di vicinanza del prodotto, di freschezza: bei discorsi che cadono nel dimenticatoio di fronte al prezzo. Nessuno, o quasi, vuole riconoscere al prodotto italiano quei 25 centesimi in più e allora allargo le braccia e dico: mangiate il pomodoro olandese. Per questo mi sto orientando sempre di più verso altre colture. Occorre saper intuire i cambiamenti, non ci si può ingessare dietro alle proprie convinzioni o abitudini».
Ed ecco allora che radicchio, radicchio rosso, porro, cavolo cappuccio, lattughe, spinaci si alternano a seconda della stagione.
In campo, durante la raccolta, Lisi non entra con la trattrice allo scopo di non calpestare troppo il terreno.
Per quanto i pneumatici siano a bassa pressione, il trattore pesa 15 q più carro e prodotto. L’alternativa è una carriola cingolata che trasporta fino a 3 q: per portare il prodotto fino alla cella di lavorazione serve qualche viaggio in più, ma ne guadagna la struttura del terreno.
Nell’ambito delle colture da seme va annoverato anche l’accordo che Lisi ha con la Isi Sementi per fare prove sperimentali di nuove varietà oppure di varietà già in essere delle quali occorre verificarne l’adattabilità ad ambienti come la Romagna.
L’agricoltore ha un pensiero abbastanza originale su come dovrebbe essere condotto il settore agricolo. «Io abolirei tutti i contributi che, in genere, sono utili solo alle aziende molto grandi. Per noi piccoli coltivatori c’è solo della burocrazia e i soldi arrivano anche dopo anni rispetto alla necessità. Credo che dovrebbe essere il mercato a pagare bene i prodotti: noi non abbiamo bisogno di sostegni se ci viene dato il giusto per il nostro lavoro».
«Servirebbero più controlli – conclude Lisi – anche nel nostro settore. Ma controlli seri e utili, non tanto se un modulo non è stato compilato bene. La Finanza dovrebbe fare controlli incrociati fra fatture, movimenti bancari e volume d’affari. Io faccio oltre 800 fatture l’anno e anche un caspo di insalata lo vendo con lo scontrino. Non so se tutti, e ovunque, si comportano così».
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