La limitazione all’uso dei diserbanti combinato con l’allarme per l’aggressività delle infestanti a causa di nuove resistenze è, probabilmente, il problema che più toglie il sonno ai risicoltori italiani in questa vigilia di campagna 2016.
Questa affermazione, tuttavia, non precisa che tra la cancellazione di numerosi principi attivi stabilita dalla direttiva Ue 128/2009 e la crescita esponenziale delle resistenze vi è un legame di causa-effetto. Di questo, oltre ai risicoltori, sembrano essere convinti anche gli esperti che hanno partecipato al convegno su “Agrofarmaci in risicoltura: impiego sostenibile e competitività delle aziende” promosso da Confagricoltura e svoltosi a inizio mese presso la Borsa di contrattazione di Mortara (Pv), nel cuore del territorio risicolo italiano.
Sempre meno molecole disponibili
In ottemperanza alla direttiva europea sull’uso dei fitofarmaci e al piano nazionale (Pan) del febbraio 2014, le regioni Lombardia e Piemonte hanno, nel marzo e dicembre scorso, regolamentato l’uso di fitofarmaci e diserbanti in risicoltura. Due approcci molto diversi, ma identici nel ridurre l’impiego di alcuni principi attivi molto utilizzati nelle risaie. A creare problemi non sono però soltanto le norme regionali, ma la drastica riduzione di principi attivi presenti sul mercato.
Come ha ricordato nel corso dell’incontro il professor Aldo Ferrero, dell’Università di Torino, rispetto a prima della regolamentazione europea il numero di molecole utilizzabili si è ridotto di almeno il 70%.
«Del migliaio di formule presenti, oggi ne resta circa un quarto e soltanto alcune sono ammesse per il riso. Questo, unito al fatto che i prodotti residui hanno bene o male lo stesso principio di funzionamento, ha fatalmente aumentato la resistenza tra le infestanti» ha ricordato il relatore.
Le scelte delle Regioni
Beniamino Cavagna ed Elena Anselmetti, rispettivamente del servizio fitosanitario della regione Lombardia e della Dg Ambiente del Piemonte, hanno illustrato le rispettive regolamentazioni regionali. Normative che presentano, in diversi punti, forti differenze, finendo con il creare disparità di condizioni tra risicoltori che lavorano a poche centinaia di metri uno dall’altro. E creando problemi anche maggiori a quelle aziende – e ovviamente non sono poche – che sono attraversate dal confine tra i due territori e hanno dunque una parte di terreni in Piemonte e l’altra in Lombardia. Per entrare più nel dettaglio, la Lombardia, con la dg 3233/2015 del marzo scorso ha ridotto le superfici trattabili con Glifosate e Oxadiazon (limitatamente alla semina in asciutta, per quest’ultimo): 80% della Sau nel 2016, 60% nel 2017, 50% dal 2018 in poi, con misure per limitare la deriva del 30% a partire dal prossimo anno.
Il Piemonte, invece, ha scelto di fissare la quantità massima utilizzabile per alcuni prodotti, fornendo anche regole per la distribuzione. In particolare, per Oxadiazon coltivato in sommersione è prevista una dose massima di 0,8 l/ha, da impiegare in un unico trattamento una settimana prima della semina in acqua e con divieto di apertura delle bocchette di scarico della risaia per i successivi cinque giorni. Dose raddoppiata se la semina è in asciutta. Vincolati, come da schema che pubblichiamo, anche quinclorac, triciclazolo e azoxystrobina. Per tutti i trattamenti si prescrive inoltre l’ugello più esterno tagliato, per evitare di disperdere prodotto nei canali di scolo durante i trattamenti a bordo campo.
Le azioni vanno diversificate
Consigli utili per “sopravvivere” ai piani regionali vengono dal professor Ferrero che, dopo aver ricordato come infestanti praticamente inesistenti 20 anni fa – per esempio certe varietà di ciperacee e alismatacee – sono oggi un grosso problema per i risicoltori, ha aggiunto che, stanti i prodotti attualmente ammessi, lo sviluppo di resistenze è praticamente automatico. «La resistenza è legata al ridotto numero di prodotti in circolazione – sono ormai cinque anni che non abbiamo una molecola davvero nuova – e al fatto che quasi tutti presentano lo steso meccanismo di azione» ha chiosato.
Contro questo stato di cose, ha aggiunto, non è più possibile impostare la lotta alle infestanti esclusivamente sulla chimica, fermo restando che essa sia imprescindibile. «La rotazione diventa un elemento chiave. In aggiunta possiamo praticare il diserbo anche in pre-emergenza, oppure giocare sull’alternanza tra semina in acqua e in asciutta».
Altre strategie consistono nell’alternare i principi, in modo da non superare i limiti per singola molecola, ma anche nel controllare che la mietitrebbia, dopo la raccolta di un campo particolarmente critico, sia pulita a dovere, per non diffondere le malerbe.
«Tra le pratiche agronomiche ricordo poi il livellamento del terreno, che favorisce un’emergenza omogenea delle infestanti e dunque massimizza l’efficacia del trattamento, e l’importanza del tipo di lavorazione: alcune infestanti, per esempio, sono favorite da minima lavorazione o sodo rispetto ai terreni arati (non oltre i 20 cm di profondità, ndr)». Altra soluzione, ha spiegato Ferrero, è quella di applicare prodotti destinati ad altri tipi di infestanti ma che abbiano un’azione parziale anche su quelle che si intende debellare. Quanto alla scelta del Piemonte di vincolare il ricircolo dell’acqua, Ferrero nota che molti prodotti si dimezzano in una settimana, dunque il rinvio dello scarico delle acque riduce potenzialmente l’inquinamento dei canali.
Verso un tavolo tecnico
Giuseppe Sarasso, oltre a ricordare come la monda manuale sia oggi inapplicabile, ha illustrato i risultati – deludenti – di alcuni test di controllo meccanico svolti sui suoi terreni, il convegno si è trasformato in una tavola rotonda. Vi hanno partecipato il commissario del Crea Michele Pisante, il presidente di Airi Mario Francese, il responsabile della Divisione Crop Protection Sud Europa di Basf Alberto Ancora, il presidente dell’Ente Risi Paolo Carrà e la delegata del ministero dell’Ambiente nella commissione consultiva fitosanitaria Giovanna Azzimonti.
Da quest’ultima è venuta una delle proposte più interessanti di tutto l’incontro, vale a dire la possibilità di realizzare un tavolo tecnico che valuti la specificità della risaia e a cui partecipino, oltre ai ministeri interessati, il mondo dell’industria, i rappresentanti degli agricoltori e la ricerca.
«Occorre – ha precisato la funzionaria – trovare un’alternativa alla chimica, che non può essere il solo strumento di difesa delle colture». Nel merito, l’Azzimonti ha criticato il costante ricorso alla decretazione d’urgenza, con l’ammissione di alcune molecole per uso eccezionale: «Quando si arriva a sei anni consecutivi di uso eccezionale, è chiaro che non si può più parlare di eccezionalità. È invece il caso che questi prodotti siano registrati anche per gli impieghi finora considerati eccezionali». Le registrazioni, tuttavia, costano e non sempre l’industria chimica è disposta a investire ingenti capitali per una coltura che, paragonata alle estensioni di grano e mais, resta comunque di nicchia.
Non la pensa così Basf, almeno nelle parole di Alberto Ancora: «Di fronte alla scelta tra sostenere molecole esistenti o cercarne di nuove, noi abbiamo deciso di fare entrambe le cose: difendiamo le molecole registrate e cerchiamo soluzioni-ponte in attesa di principi innovativi che stanno per essere registrati». In particolare, Ancora farebbe riferimento a erbicidi erbicidi Ac-Casi inibitori, di famiglia diversa dagli attuali ALS inibitori.
Un sostegno forse inaspettato sul tema della chimica è giunto da Mario Francese, che ha ricordato come grazie anche all’azione dell’Airi si è riusciti a salvare il triciclazolo dal rischio di divieto.
Industriali e agricoltori sembrano quindi andare a braccetto in questa lotta per la sopravvivenza della risicoltura italiana che, ha spiegato il presidente dell’Ente risi, deve guardare al miglioramento genetico come soluzione principale ai suoi problemi. Ma, nel frattempo, deve anche trovare il modo di portare a casa il raccolto ogni anno.
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