Brevettare la vita? di Beatrice Toni
Brevetto industriale anche per le piante? Sinora adottato solo per gli ogm, è stato riportato alla ribalta da una recente decisione dell’Epo (Ufficio europeo dei brevetti) che, su ricorso, avrebbe dichiarato brevettabili due varietà ottenute con metodi tradizionali ovvero incrocio e selezione.
E ha creato nuovo scompiglio attorno a questi “patents” rilasciati nei primi anni 2000 per una varietà di pomodoro a ridotto contenuto in acqua e un’altra di broccoli a elevata percentuale di glucosinati.
Il problema non è solo etico: non si può brevettare la vita protesta il movimento No patents on seeds che ha messo radici in Francia, Germania, Spagna e Italia. E va ben oltre l’ormai superata diatriba pro-contro ogm.
Il problema tocca anche la ricerca sementiera sinora sotto il “cappello” del sistema europeo delle privative che consente a chiunque di utilizzare una varietà protetta per migliorarla e cambiarla. Qualora prevalesse il brevetto (su un gene, un metodo di costituzione, non solo sulla varietà) la stessa pianta potrebbe essere geneticamente migliorata solo previa autorizzazione e quindi essere commercializzata, pagando come sempre la royalty al detentore del brevetto.
Una bella ipoteca sul futuro della libertà di ricerca e la sua remunerazione. E, in prospettiva, limitazione al ventaglio già ristretto di biodiversità cui attingere per selezionare nuove piante.
Al di là dello scontro fra i due sistemi di tutela della proprietà intellettuale, il mondo agricolo assiste impotente? Anche questo riguarda il futuro del cibo. E di chi lo produce.
Invasione di campo di Marco Nardi*
Più sviluppo tecnico e conoscenze, cioè innovazione, in cambio dell’esclusiva per un certo numero di anni. Su questo equilibrio si regge la proprietà intellettuale (brevetto industriale, privative vegetali, marchi, dop e igp, diritto d’autore) che permea tutta la nostra vita quotidiana.
Diamo per scontato che una forma di tutela sia indispensabile anche in campo vegetale per assicurare le risorse necessarie alla ricerca. Ma è sulla forma che ci si divide. Nei paesi europei fino a metà degli anni ’90 c’era la sola strada delle privative vegetali, in base ai principi della Convenzione Upov. Una tutela non assoluta, mitigata dalla cosiddetta esenzione del costitutore (possibilità di fare liberamente selezione e miglioramento genetico sulle varietà in commercio).
A metà degli anni ’90 è stato dato spazio al brevetto di tipo industriale per tutelare le invenzioni biotecnologiche, cioè gli ogm. Quindi la possibilità di avere un gene, ovvero un carattere, tutelato da un brevetto, inseribile in una varietà convenzionale. Per chi fa ricerca, piena libertà di operare con la parte della pianta coperta da privativa, ma necessità di autorizzazione per la parte brevettata.
Ora, la decisione dell’Epo sulla brevettabilità di piante nuove pur se ottenute con processi essenzialmente biologici, sembra aprire ai brevetti il campo finora riservato alle privative. Siamo di fronte ad conflitto tra pianta e varietà, quella che poi va in commercio. Anzi a un bel pasticcio, dato che sia la Convenzione sul brevetto Ue, che la direttiva 98/44/CE sulla protezione delle invenzioni biotecnologiche, continuano a escludere dalla brevettazione le varietà.
(*) Direttore Assosementi