Puntuale come un treno svizzero anche quest’anno si è ripresentata la polemica sul caro prezzi dei prodotti ortofrutticoli.
Ai più dovrebbe parere ovvio che la produzione si riduca drasticamente quando le principali aree di produzione ortofrutticola invernale del paese sono coperte di neve o malversate dal cattivo tempo.
Ai media italiani no. Presumibilmente per molti di questi l’elementare legge della domanda e dell’offerta è ancor ostica da comprendere.
Pare giusto che un agricoltore che vede la propria produzione decurtata, per quel poco che riesce ad avviare sul mercato, riesca a realizzare di più. E se il consumatore vuole alimentarsi con prodotti temporaneamente rari dovrà spendere di più - in alternativa potrà acquistare altri prodotti la cui offerta non è condizionata dal maltempo.
Tutto molto semplice.
Potrebbero allora sembrare polemiche speciose: non è purtroppo così. Il vizio di “sbattere l’ortofrutta in prima pagina” ha fortemente condizionato i consumatori ed è uno dei fattori che in passato ha presumibilmente contribuito al crollo delle vendite (ricordiamo che dalla fine degli anni '90 al 2014 il settore ha perso il 25% circa dei volumi).
Da notare che gli stessi consumatori hanno poi spostato le loro preferenze su prodotti notevolmente più cari e molto meno sani rispetto all’ortofrutta. Che sono sempre avvantaggiati da campagne come queste.
Oggi il consumo di ortofrutta sta lentamente ri-crescendo. Segno di una maggiore consapevolezza dei consumatori verso un’alimentazione più sana e più saggia. E anche di faticose campagne di educazione, che dovranno assolutamente continuare in un Paese che vede percentuali preoccupanti di adulti e bambini affetti da obesità o in sovrappeso.
Il vero problema da evidenziare è invece che questi prodotti – fondamentali per la nostra salute - costano spesso poco per tutto il resto dell’anno. In un qualsiasi supermercato potete comprare, per esempio una mela, diciamo per 30 centesimi. Provatevi allora a cercare un altro articolo (non ortofrutticolo) che costi di meno.
Provatevi poi a confrontare i prezzi di frutta e verdura con quelli del junk food (il cibo spazzatura) o ancora con quelli degli integratori alimentari.
Gli agricoltori italiani devono fare capire meglio ai consumatori il grande valore dei loro prodotti (e della loro attività per il Paese).
E i consumatori si devono abituare a nutrire con meno prodotti, di maggiore qualità e magari di maggior prezzo.
Detto questo: bisogna denunciare le speculazioni e anche la frequentemente ingiustificata volatilità dei prezzi, esiziale per il settore agricolo, dannosa per i consumatori.
Per i cereali, per esempio, vi è spesso volatilità anche con offerta pressoché costante. Un fatto dovuto magari a speculazioni finanziarie o alla gestione infelice di qualche derivato.
Ma per l’ortofrutta non è così. Ed è un bene che più gente possibile lo sappia.
di Duccio Caccioni
Direttore Marketing&Qualità del Caab (Centro agroalimentare di Bologna), Editor di Fresh Point Magazine