A poco più di un anno dalla chiusura di Expo 2015 desidero proporre qualche valutazione sulla sua eredità. Cosa ha lasciato al nostro Paese, all’agroalimentare e all’agricoltura italiana la grande Esposizione Universale? Indubbiamente, ha contribuito a posizionare Milano in una nuova centralità sullo scenario globale: la città è stata capace di rispondere positivamente alla pressione creata dal grande flusso di visitatori che, sino alla fine, hanno letteralmente invaso il sito dell’Expo.
È certamente stata una grande vetrina internazionale sui temi dell’alimentazione, contribuendo a rilanciare il made in Italy, a portare all’attenzione del grande pubblico il cibo come elemento centrale della vita, sensibilizzando l’opinione pubblica sui temi della sanità, della salubrità, dell’etica e della qualità degli alimenti. Non ultimo, è stata focalizzata l’attenzione sulla problematica della tutela ambientale, con particolare riferimento all’utilizzo delle risorse rinnovabili.
Tuttavia, dal punto vista legato più strettamente all’aspetto produttivo, dell’agricoltura e alle politiche di settore, purtroppo nulla è stato realizzato; direi che, sotto questo profilo, il lascito di Expo è inesistente, nonostante la sottoscrizione del “Patto per Milano”. A dimostrazione di ciò possiamo sottolineare l’andamento dell’annata agraria 2016 che si è chiusa in modo del tutto insoddisfacente; anche quest’anno il mercato delle commodity è stato caratterizzato da prezzi non remunerativi per i produttori e da un andamento altalenante che evidenzia una situazione di volatilità dei prezzi che mette a rischio la redditività aziendale. Questo significa che il dibattito in Expo non è purtroppo servito a individuare strategie innovative per una reale nuova programmazione della politica agricola, a tutti i livelli: locale, nazionale, comunitario ed anche internazionale. Voglio sottolineare, ad esempio, quanto asserito dal presidente di Federunacoma alla chiusura della Esposizione Internazionale di Macchine per l’Agricoltura e il Giardinaggio, tenutasi a Bologna dal 9 al 13 novembre, la prima Eima dopo l’Expo, che ha visto un record di partecipazioni; il presidente Massimo Goldoni ha evidenziato una situazione negativa di mercato delle macchine agricole e ha invitato gli agricoltori a sfruttare meglio le risorse messe a disposizione dai Psr, Piani di Sviluppo Rurale, per modernizzare e innovare le loro aziende.
Fermo restando che, un buon imprenditore dovrebbe – per stare al passo con i tempi – essere portato a innovare, tutto ciò oggi è reso difficile a causa di una redditività che purtroppo ancora manca. È evidente che, dal punto di vista di chi produce la “strada dell’innovazione” è senz’altro d’obbligo, ma deve essere resa percorribile da un sistema politico e istituzionale, sia del ministero dell’Agricoltura che delle Regioni, che mettano l’imprenditore nelle condizioni di potervi accedere.
Ad esempio, sul fronte dell’innovazione, attualmente non esiste una misura specifica dei Psr che finanzia gli impianti di fertirrigazione delle colture, che consentirebbe di ridurre la quantità di fertilizzanti per ettaro, abbassando i costi di gestione e diminuendo l’impatto ambientale e, inoltre, permetterebbe un notevole risparmio idrico: tutto ciò a vantaggio della competizione economica dell’azienda.
Credo che solo realizzando una perfetta sinergia tra le misure dei Psr – opportunamente messe a punto da una volontà politica di grande attenzione alle reali esigenze delle aziende agricole moderne – e la capacità e la passione degli imprenditori agricoli si possa pensare di ottenere quell’innovazione necessaria a far progredire e, ci auguriamo, prosperare, il nostro sistema agricolo.
Mario Luigi Vigo
Presidente Innovagri