Quando ho detto che la primavera italiana 2018 è stata la quarta più calda in duecento anni, con 1,8 °C oltre la media, mi hanno preso per matto. Ma come? Se pioveva sempre!
Ventitre giorni di pioggia
E in effetti è anche stata più piovosa della media, con circa il 21 per cento in più a scala nazionale. Sul Nord-Ovest, con ben 23 giorni di pioggia in maggio, è stata sì molto anomala, ma non eccezionale, già vista in passato. Dunque piovosa non vuol dire necessariamente fredda. Ma viviamo più di percezioni che di fatti. E qui i fatti sono i numeri della banca dati sul clima storico del Cnr-Isac di Bologna.
Diagnosticare un problema climatico cronico da una singola stagione d’altra parte non è corretto. La variabilità naturale ci propone continue combinazioni di temperatura più o meno elevata, precipitazioni più o meno abbondanti, costellate qua e là di eventi intensi, al punto che è difficile emettere giudizi a breve termine. E per l’agricoltura questa variabilità, da millenni e in tutto il mondo, ha rappresentato l’aspetto gestionale più determinante: la speranza di una stagione equilibrata rispetto alle esigenze vegetazionali, altrimenti era carestia.
Fig.1/ Temperature medie in Italia dal 1800
(fonte: Isar Cnr -clicca per accedere)
Un grado e mezzo in più in 38 anni
Diverso è il comportamento climatico a lungo termine, quando vediamo emergere dalla casualità del clima una tendenza organizzata. E la banca dati del Cnr-Isac ci mostra che la variazione più evidente nel clima italiano è l’aumento della temperatura. Complessivamente negli ultimi due secoli abbiamo guadagnato oltre due gradi, ma l’aumento più evidente di circa 1,5 °C è avvenuto dopo il 1980, e questo riscaldamento vale per tutte le stagioni, in linea con quanto osservato a livello globale. Se invece guardiamo il grafico delle precipitazioni non osserviamo tendenze nette. È vero che il 2017 è stato l’anno più secco su duecento ma pari merito con il 1828. L’Ottocento era un po’ più umido, circa il 10 per cento in più rispetto al presente, ma dal Novecento a oggi siamo rimasti sostanzialmente costanti, al netto della consueta alternanza tra gruppi di annate più umide e più secche.
Quindi per ora il vero segnale di cambiamento climatico è la corsa verso il caldo. Ovviamente anche se l’andamento pluviometrico medio non è cambiato ci sono comunque novità: maggior temperatura, anche a parità di pioggia significa amplificazione del deficit idrico, perché cresce l’evapotraspirazione e diminuisce così la durata della riserva idrica dei suoli. Dunque la siccità 2017 assume caratteri eccezionali per la combinazione inedita di caldo e secco, rispetto a quelle di un passato più fresco.
Piogge più intense? Mancano dati storici
Il secondo elemento è la frequenza di precipitazioni intense, talora associate a grandine e alluvioni. È possibile che vi sia un aumento di questi eventi, ma al momento non siamo in grado di verificarlo con certezza, in quanto interessa soprattutto le intensità di pioggia sulla scala delle ore, e la maggior parte delle serie di osservazione italiane sono alla scala del giorno. Quindi la statistica secolare delle piogge giornaliere non ci mostra particolari tendenze, mentre per intervalli di minuti o ore tocca aspettare che le nuove reti di stazioni automatiche, in servizio da poco più di vent’anni, accumulino più dati, e poi capiremo se il clima italiano si fa più monsonico o meno. In ogni caso attrezziamoci contro il caldo, destinato ad aumentare: l’accordo di Parigi sul clima, siglato nel 2015, evidenzia che entro il 2100 anche nel caso di contenimento delle emissioni di gas serra aggiungeremo almeno un altro grado alla temperatura globale, e ben quattro se non faremo nulla.